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Cultura pop

I Ferragnez come Age e Scarpelli

Delle vite di Chiara Ferragni e Fedez sappiamo tutto, tra Instagram e TikTok. Ma se questa narrazione costante di sé fosse il vero erede della lunga tradizione della commedia all’italiana?

C’è un’espressione usata spesso per descrivere personaggi pubblici come Chiara Ferragni e Fedez, “o li ami o li odi”. Proprio quando sembra che si sia spenta la fiammella della loro rilevanza sui media, i coniugi Ferragnez ci versano sopra una tanica di benzina, spesso involontariamente, per pura indole spettacolare. Sono ormai un po’ di anni che dominano incontrastati, nonostante i tantissimi rivali, l’universo pop nella sua declinazione social, anche se intramezzata da altre apparizioni in spazi mediali diversi – la musica, per entrambi, o la tv, anche se più raramente, visti gli episodi di resistenza ostinata e contraria che l’imprenditrice digitale ha incontrato. E il segreto del loro successo, probabilmente, risiede proprio in un dualismo interpretativo e voyeuristico che oscilla catullianamente tra un odi et amo: troppo belli per non essere amati, troppo belli per non essere odiati. 

Si è detto tutto sui Ferragnez, sul loro matrimonio, sulle loro gaffe, sul loro bambino, sui loro parenti e amici, sempre dondolando tra quel senso di fastidio – che a sua volta si ramifica in snobismo e invidia sociale, che un tempo magari avremmo chiamato odio di classe – e ammirazione. Si è detto tutto, è vero, e a differenza delle centinaia di coppie celebri di cui negli anni abbiamo divorato la vita da lontano, Chiara e Federico non lasciano spazio all’immaginazione, non ci danno il tempo di domandarci cosa sia successo, dove si trovino e cosa pensino che già il segmento di racconto quotidiano è servito dentro a un tondino colorato su cui premere il dito. I Ferragnez, simbolo di una narrazione contemporanea, sono l’apice dell’auto-racconto, un romanzo autobiografico che avrebbe fatto invidia al Tristram Shandy di Sterne per dettagli e minuzia temporale; per questo, nonostante gli occhi sbarrati e le mani portate davanti alla bocca per l’indignazione che questa affermazione può stimolare, sono anche gli unici eredi attuali della commedia all’italiana. I nuovi Age e Scarpelli, in un certo senso.

I finti biondi

Il passaggio dalla commedia all’italiana al cinepanettone, alla commedia sexy e alla deriva volgare ed esagerata del nostro cinema, per quanto si possano tentare le vie del revival e della riqualifica di qualsiasi contenuto disponibile in chiave ironica e postmoderna, non è certo un passaggio dal basso verso l’alto. Ci sono molte spiegazioni che si possono dare alla graduale decadenza estetica del racconto leggero del nostro cinema, passato da Stefania Sandrelli sdraiata su una barca con Marcello Mastroianni a Stefania Sandrelli impellicciata con Guido Nicheli a Cortina, senza scadere per forza nella battaglia tra bello e brutto. A prescindere dal valore – sia affettivo sia più universale – di un prodotto meno raffinato da un punto di vista della scrittura, l’abbassamento dell’asticella dagli anni Sessanta agli anni Ottanta è piuttosto evidente, anche se come in tutto ci sono dovute eccezioni. Tra i tanti film dei fratelli romani famosi per aver portato alla ribalta uno stile umoristico che va di pari passo con le espressioni facciali di Christian De Sica, ce n’è uno in particolare che si allontana dal puro cinepanettonismo da vacanze di Natale e abbraccia elementi tipici della commedia all’italiana: Le finte bionde, del 1989, sembra un film di vent’anni prima sia nei toni sia nei temi. I Vanzina raccontano la Roma arricchita dei Parioli attraverso le storie di alcune donne, parvenue anni Ottanta colmi di edonismo reaganiano, imbottite di luoghi comuni, ignoranza, ipocrisie tenute a bada da un velo pietoso di ossigeno sui capelli. Le finte bionde sono le nuove ricche, ben lontane da quell’atmosfera da Dolce vita e Cinecittà, sono i vizi (tanti) e le virtù (poche) – giusto per citare la classica descrizione della commedia all’italiana –, sono l’anticamera del berlusconismo pronto a esplodere in tutto il Paese, sono le Cinzie Leone buzzicone dentro e gran signore fuori. Ma tra tutte le caricature presenti nel film più acclamato dalla critica e più disertato dal pubblico dei Vanzina, Guido Nicheli, il celebre bauscia, e la moglie Paola Quattrini sono la più lungimirante e azzeccata. I due non si perdono un attimo senza una telecamera puntata addosso, un flash, una fotografia, un racconto della loro vacanza, una televisione in ogni stanza, uno schermo per tutte le occasioni; un complesso della mummia, come lo chiamava André Bazin, portato all’estremo in un periodo del Novecento in cui non era ancora a disposizione di tutti un imbalsamatore portatile, uno smartphone e, soprattutto, un social su cui scolpire la propria enorme, inutile e appagante sfinge di ego.

Quella dei Ferragnez è una famiglia moderna e perfettamente in linea con lo spirito del tempo. La commedia all’italiana portava l’Italia in America, la commedia ferragneziana porta l’America in Italia, e se non è questa l’emanazione diretta del nostro milieu sociale, cosa lo è?

La commedia all’italiana serviva proprio a sviluppare in modo più attuale quello che c’era stato prima, il neorealismo rosa, portando una ventata di cinismo in una confezione sì colorata e ridanciana, ma anche amara, spietata, piena di personaggi con cui ogni italiano poteva empatizzare ed esorcizzare i peccati. Il cinema non è morto, non ancora perlomeno, ma le forme di rappresentazione cambiano come cambia la società e Cinecittà si è trasferito nelle nostre stanze, nelle camerette di una youtuber, nelle mani di un’imprenditrice digitale. Cinzia Leone nel 1989 si tingeva i capelli per sentirsi più a suo agio tra le yuppie romane dei Parioli, Federico Lucia nel 2019 si tinge i capelli biondi per ovviare a un problema di canutismo evidentemente incompatibile con la sua carriera da first gentleman d’Italia, da coprotagonista, autore, sceneggiatore e regista insieme alla moglie della commedia più rappresentativa degli ultimi anni. 

La ragazza con il pistola

Se Zavattini pedinava e Age e Scarpelli osservavano seduti ore al ristorante per trovare un soggetto perfetto da rendere personaggio, Chiara Ferragni e Fedez non hanno bisogno di niente di tutto ciò se non della loro stessa esistenza, caratteristica che peraltro li rende anche facili bersagli di quel tormentato “Ma cosa fanno?”. In realtà cosa fanno entrambi lo abbiamo capito benissimo, ma non sono sicura che nel CV di nessuno dei due da qualche parte sia indicato “sceneggiatore di me stesso”: nel quotidiano e minuzioso reportage di ogni loro movimento, i due personaggi di una commedia che si scrive da sé – o almeno, questo è ciò che noi spettatori vogliamo vedere e credere – stanno raccontando tutto ciò che c’è da sapere nel cliché borghese e familiare del presente. Una famiglia atipica, in cui la donna indossa i pantaloni e l’uomo lo smalto sulle unghie, in cui una mamma lavora, gira il mondo e al contempo non si perde un istante della crescita di suo figlio, un case study di Harvard che ti racconta la favola della buonanotte; una famiglia in cui il padre rapper ma soprattutto simbolo del pop recente, audiovisivo più che musicale, si tatua fin sotto al mento, riempie la casa di giocattoli e si regala un palco dove suonare i Blink182 per il matrimonio. In una sola parola: moderna. 

Quella dei Ferragnez è una famiglia moderna e, contrariamente a ciò che sembra dalle polemiche che ruotano spesso attorno a loro, perfettamente in linea con lo spirito del tempo, un distillato di Zeitgeist in cui si svolge la trama bozzettistica di una famiglia italiana – e il bozzettismo era proprio quello di cui la critica cinematografica marxista criticava Age e Scarpelli. Non tanto un Sordi che aggredisce il famoso maccherone provocatore – simbolo di un’Italia affamata da dopoguerra – ma più La ragazza con la pistola che parte da una sperduta provincia sicula per diventare la donna del futuro in Inghilterra, emancipata, autonoma, fiera di potersi permettere da sola ciò che è, e tanti saluti caro Vicenzo, Assunta non è più “di marmo”. La commedia all’italiana portava l’Italia in America, la commedia ferragneziana porta l’America in Italia, e se non è questa l’emanazione diretta del nostro milieu sociale, cosa lo è? 

Straziami ma di limoni saziami

I bozzetti hanno un problema, che in realtà è anche la loro ragione d’essere, ossia tutto personaggio e niente arrosto. Nella lunga commedia Ferragnez questa cosa è piuttosto evidente, nel senso che la linearità della trama del loro racconto si piega e si accartoccia molteplici volte su di sé, ripetendo all’infinito le stesse dinamiche, gli stessi – umani e comprensibili – processi quotidiani. È per questo che il loro lungometraggio si misura nella dilatazione del tempo, scandito da macro-eventi, nuclei narrativi anticipati, programmati o magari anche inaspettati, come le più classiche e iconiche delle polemiche di cui sono stati protagonisti. Tutto comincia con uno scherzo più simile a una gag di American Pie che a una commedia di Dino Risi, ma pur sempre una gag: Federico cita Chiara in una sua hit estiva, Chiara gli scrive, lui le risponde “Limoniamo?”, più semplice di così non si può, un incipit che si potrebbe scrivere usando solo emoji. Da lì in poi la fusione tra le loro esistenze che dà vita alla famosa crasi un po’ cacofonica diventata un vero e proprio brand è tutt’altro che graduale, e quando durante una diretta su Tik Tok dei coniugi in lockdown – momento cruciale per la crescita della loro popolarità, altro nucleo narrativo – è chiesto loro per l’ennesima volta di raccontare come è nato l’amore, Fedez se ne esce con uno schema comico involontario ma che non sarebbe strano vedere interpretato da Monica Vitti e Alberto Sordi. Lei ricorda la prima cena in cui si conobbero, entrambi fidanzati con altri – lui, peraltro, saluta la sua ex in diretta dal talamo nuziale, “Ciao Giulia, sbloccami su Instagram!” –, Fedez dice che la prima cosa che ha pensato vedendola è che avesse il volto lucido, quasi unto; a questo l’imprenditrice risponde un po’ piccata, “Avevo un make up glowy”: he was a punk, she did ballet, cantava Avril Lavigne.

Un copione comico perfetto – aderente alla realtà, verosimile, relatable – che nessuno sceneggiatore oggi sarebbe in grado di scrivere anche solo perché, molto semplicemente, si scrive da sé. Una sequenza di scherzi e piccole ripicche di coppia, una coppia sposata ma fresca di novità, che trasmette da una casa che ricorda una versione Milanocity della villa di Anatra all’arancia. Il matrimonio, ovviamente, è il frutto non solo di questa nuova versione di Matrimonio all’italiana, con tutte le vicissitudini del caso – i Parenti serpenti, il fondotinta troppo scuro per Fedez, le lacrime che colano a fiotti per i discorsi ben infarciti di avverbi e citazioni di Bukowski –, ma anche un evento stracolmo di altri nomi del settore, I nuovi mostri youtuber, I soliti ignoti influencer, tanti Amici miei d’infanzia che poco hanno a che fare con quel nuovo lusso e non perdono occasione per mostrarlo al mondo. Un reality spontaneo, un Romanzo popolare, dove oltre ai presenti si notano anche i tanti assenti, C’eravamo tanto amati, o meglio shippati, sì, quando scrivevamo canzoni insieme e riempivamo San Siro.

L’armata Brancaleone Lucia Ferragni

Il racconto della commedia alla Ferragnez si struttura dunque attraverso due nuclei principali. Da un lato Fedez e la sua carica ironica dissacrante da conoscitore modesto ma attento delle tendenze internettiane – litigare con un politico, twittare come uno stan di Franca Leosini – e da portatore sano di amicizie che popolano il suo regno, uno su tutti Luis Sal, gran personaggio che si aggiunge alla dinamica familiare e con cui conduce un podcast di successo. Dall’altro Chiara Ferragni che dà “risposte epiche” agli hater dell’ultima ora, passa con disinvoltura da Dior a Galbani, si cimenta nel si vis pacem, para bellum di internet, ossia la tecnica di ribaltare a proprio favore ogni polemica si proponga – i piedi, la mamma sexy, gli account finti dei suoceri, le visite ai musei. Al centro tra i due, il figlio perfetto, ma non solo perché nelle fattezze sembra un putto rinascimentale – o la versione “posseduta” del piccolo de La famiglia Addams 2 –, Leone Lucia Ferragni è la punta acuminata di quel carro armato di rappresentazione che sono i Ferragnez in tutto il loro splendido quotidiano dosaggio di vizi e virtù: Leone “Lello” piange, gioca, fa i capricci, impara a parlare, veste firmato, veste buffo, gioca col cane, fa da collante a una trama già perfettamente rodata ma che in fondo – lo pensiamo un po’ tutti, perché alla fine siamo pur sempre italiani – non è completa se non c’è un pargolo a portare quella spinta verso il futuro; e allora Auguri e figli maschi. Tutti a casa: la dimora Ferragnez è teatro di posa completo, addobbato da personaggi minori che popolano la trama – le sorelle Ferragni e la madre scrittrice, magistralmente immortalata nel matrimonio alle prese con la momager Tatiana – e incarnano ciascuno un carattere simbolico del presente in questa Milano miliardaria, città simbolo del motore del progresso che avanza, luogo in cui si consuma il futuro. Un futuro che è pieno di possibilità, in cui la democratizzazione del mezzo di comunicazione ha reso possibile questa forma di rappresentazione, un contenitore che inevitabilmente toglie spazio al cinema, alla televisione, ai “vecchi media” – ma ogni tempo ha la sua forma. E dunque, da qualche parte bisogna pur attingere per soddisfare la propria necessità implacabile di racconto: Chiara Ferragni e Fedez hanno riempito questo spazio popolare e familiare, diventando loro stessi autori della propria versione del mondo, creando un ritratto di ciò che vogliamo essere nella modernità – una mamma in carriera, un padre che sa piangere – e quello che, tra sessant’anni, potremo guardare per vedere come eravamo. 

I bozzetti hanno un problema, che in realtà è anche la loro ragione d’essere, ossia tutto personaggio e niente arrosto. Nella lunga commedia Ferragnez questa cosa è piuttosto evidente, nel senso che la linearità della trama del loro racconto si piega e si accartoccia molteplici volte su di sé, ripetendo all’infinito le stesse dinamiche, gli stessi – umani e comprensibili – processi quotidiani.

L’oggetto di rappresentazione audiovisiva muta come muta la società. Il neorealismo rosa parlava del proletariato, della piccola borghesia. La commedia all’italiana sposta il focus sul boom economico, sui nuovi ricchi. La commedia instagrammatica dei Ferragnez cambia le tinte di questo genere, raffigurando con un misto di ingenuità e consapevolezza la famiglia del 2020. La differenza però esiste, non è strano storcere il naso davanti a un paragone simile, ma è quella che intercorre tra passato recente e presente: la scrittura è sostituita dall’oralità, la verticalità della storia diventa orizzontalità del racconto incessante, un fiume in piena da cui siamo noi spettatori a trarre la sintesi. Age e Scarpelli erano due sceneggiatori, Chiara e Federico sono due imprenditori, il punto di contatto sta nel mutamento incontrollabile di un’industria culturale in cui la distinzione tra arte e marketing è quasi del tutto mimetizzata; eppure qualcosa in comune tra le due coppie c’è, anche più di qualcosa. Nel documentario di Paolo Virzì La strana coppia del 2001, Furio Scarpelli dice una cosa interessante: “Non c’è più la tirannia armata, in divisa; c’è però la tirannia della convinzione che se non si è popolari e non si appare in televisione, se non si è pubblici non solo non si è cittadini, non si esiste”. Che l’apparenza abbia preso il posto della sostanza, per quanto interessante e densa possa essere questa nuova commedia di un’Italia diversa da quella di Nino Manfredi e Vittorio Gassman, lo possiamo anche dire senza farci troppi scrupoli; la descrizione del mondo, seppur si tratti di una dimensione privilegiata e unica, è affidata e nuove mani. E più che Brutti, sporchi e cattivi, dovremmo forse dire Belli, tatuati e virali.


Alice Valeria Oliveri

Autrice e musicista, si è laureata alla Sapienza in anglistica con una tesi di teoria della letteratura. Scrive su diverse testate online di cinema, tv, serie televisive, musica e attualità. Ha collaborato con Dude Mag, VICE, Noisey, Motherboard, Prismo, The Towner e The Vision, dove è stata redattrice.

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