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Chiara Ferragni Unsolved

Tutti abbiamo un’opinione forte su Chiara Ferragni. Mentre lei, anche nel documentario a lei dedicato, non scava mai a fondo. Proviamo a farlo noi, ripartendo da dove tutto è cominciato.

Purtroppo, neanche il documentario riesce a far luce sul mistero di Chiara Ferragni, che rimane insoluto come la ricetta della Coca-Cola. Ciononostante, ha ottenuto un prevedibile record di incassi (1,6 milioni di euro al box office), presenze (circa 160mila) e stroncature (tutte le recensioni lette fin qui). Nel caso di Ferragni, e di tutti quelli che sono diventati famosi su internet, successo e odio vanno sempre di pari passo, e l’uno alimenta l’altro. Il motivo per cui così tante persone sono andate a vedere la docu-fiction è lo stesso per cui la seguono da sempre online: capire come fare soldi e diventare famosi partendo dalla provincia italiana, senza una famiglia particolarmente influente e facoltosa alle spalle, senza aver studiato, senza particolari doti, senza saper cantare, recitare o anche solo sfilare. Ma come si raccolgono 17 e passa milioni di follower su Instagram? Perché non possiamo fare a meno di guardare la vita di Chiara Ferragni? Perché lei non può fare a meno di postarla? Continuiamo a interrogarci sul mistero della Ferragni come se risolvendolo, potessimo riuscire finalmente a capire questi anni così convulsi, strani e feroci. Il titolo del documentario però mette fuori strada: Unposted, come se la soluzione fosse nel non-postato. Invece, la chiave è nel posto migliore in cui si può nascondere: bene in vista, sfoggiata più volte durante la giornata al cospetto di milioni di occhi. Chiara Ferragni è una che si è scientemente addossata una maledizione che di solito spetta alle famiglie reali, quella di dover far vedere al mondo ogni momento della sua vita privata, elevandosi a icona, affinché influenzi le vite degli altri.

Oltre ai dati e ai numeri

Ma non è facile spiegare di cosa è simbolo Ferragni senza cadere nei soliti discorsi apocalittici o da hater. Non bastano i dati e i numeri a spiegare il fenomeno: è in cima alla lista della classifica degli influencer italiani praticamente da sempre, per portata e interazioni. Era già popolare nel 2007, quando postava solo su Flickr: ogni foto aveva più di cinquanta commenti e centinaia di migliaia di visualizzazioni, un numero enorme per l’epoca. In uno di questi commenti, risalente al 2009, un utente le scrive: “Continui a postare solo foto tue, tue, tue. Non lo trovo per niente costruttivo, non parli di niente”. Da allora, le cose non sono mai cambiate. Nel suo piano editoriale, infatti, Chiara Ferragni non parla mai di moda tout court, non suggerisce trend, non imbastisce nessun discorso intorno ai direttori creativi delle aziende della moda e al loro operato. I suoi outfit si inseriscono semplicemente all’interno di quella che dovrebbe essere la sua vita di tutti i giorni. Non ha reinventato nessun codice stilistico ma segue pedissequamente i dettami che vengono dall’alto e dalla cultura mainstream. Quello che indossa è quello che va di moda in quel momento, già indossato da altre celebrity e influencer. Non ha mai toccato temi d’attualità o preso posizioni politiche e sociali, se non su tematiche lontane dallo scenario italiano e in una maniera piuttosto blanda (per esempio, in una story aveva espresso la sua solidarietà ai bambini dei migranti alla frontiera Stati Uniti-Messico, ma non si è mai pronunciata su quelli che sbarcano a Lampedusa). I suoi riferimenti fashion sono cliché conclamati, Audrey Hepburn che fa colazione da Tiffany e la Barbie. Non a caso l’header del primo blog era una Barbie che faceva il bagno in una ciotola di insalata, foto poi sostituita da se stessa nella vasca da bagno piena di lattuga. The Blonde Salad, il blog aperto del 2009, ha continuato ad avere questa formula e tale e quale è rimasto il suo account Instagram dove si è poi spostato il suo racconto. Cambia il mezzo (Flickr, il blog, Instagram), non il modo di raccontarsi. 

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Che poi il racconto della vita della Ferragni scardina una delle regole di internet: “Più è WTF, più alla gente piacerà”. Invece, lei appare più o meno normale, più o meno media se non addirittura mediocre. Come ha scritto una volta Guia Soncini: “Una che sembra vestita Zara anche quando indossa Dior”. E neanche il racconto continuo che fa di sé stessa è una cosa così originale per i social. Tutti quelli che sono diventati influencer, lo sono diventati raccontando la loro vita negli aspetti più intimi, stabilendo un rapporto molto profondo con il loro pubblico. Solo dopo sono subentrati i brand che cercavano un nuovo modo di fare pubblicità associandola allo storytelling dal basso. Eppure, Ferragni è diventata la più famosa influencer “pura” (nel senso che non ha prima partecipato a reality, non è una star del cinema o una campionessa sportiva, non è Paris Hilton). Non ha certo i numeri di Kim Kardashian, ma quest’ultima ha avuto un reality dedicato e viene da una famiglia notissima del mondo dello spettacolo.

Era già popolare nel 2007, quando postava solo su Flickr: ogni foto aveva più di cinquanta commenti e centinaia di migliaia di visualizzazioni, un numero enorme per l’epoca. In uno di questi commenti, nel 2009, un utente scrive: “Continui a postare solo foto tue, tue, tue. Non lo trovo per niente costruttivo, non parli di niente”. Da allora, le cose non sono mai cambiate.

Carisma e dedizione

Chiara Ferragni da Cremona ci ha invece inchiodato con un evidente carisma al racconto quotidiano della sua vita per mezzo di internet. All’inizio si diceva che il deus ex machina dietro The Blonde Salad fosse Riccardo Pozzoli. Intervistandolo, nel 2012, e chiedendogli da cosa dipendesse il successo online della sua ex-fidanzata, mi disse: “Secondo me, quando scoppiano casi di questo tipo, c’è dietro un fattore non spiegabile. Ci sono quelle attrici di cui si dice che non sanno recitare, però quando la telecamera si accende spaccano l’obiettivo, ecco, penso che Chiara abbia quel potere lì. In qualche modo riesce ad attirare l’attenzione; sia in positivo che in negativo”. E ancora: “È certo una bella ragazza che indossa look da diecimila euro (dunque per niente semplici), che vive esperienze straordinarie, va ai red carpet, alle sfilate, a party pazzeschi ma, nonostante questo, rimane quella che è sempre stata: la ragazza della porta accanto. Gli utenti cercano una persona come loro. Infine, serve costanza, strategia e coerenza. Ossia, serve professionalizzare il tutto. Chiara, da quando ha aperto il blog, ha postato tutti i giorni e qualche volta anche due volte al giorno e questo fa la differenza. Il lavoro che c’è dietro è percepito dagli utenti, che si fidelizzano al blog. La mattina sanno che troveranno comunque un post di Chiara, in un contesto – internet – che ti propone un flusso continuo ed enorme di informazioni ogni giorno”. Riccardo Pozzoli ha avuto un posto d’onore anche in Chiara Ferragni Unposted: lei praticamente gli fa sapere via documentario che avrebbe avuto successo a prescindere da lui. 

Tornando alla ricetta del successo, si è parlato di medietà del racconto, dell’immediatezza di internet, del fattore X (o C), del duro lavoro e della professionalizzazione. Manca però una cosa importante: le emozioni. Il racconto che la Ferragni fa di se stessa, della sua vita, degli outfit, è un racconto emozionale, dove però l’unica emozione ammessa è la felicità. Le zone d’ombra possono essere raccontate solo a posteriori, quando sono già state sconfitte e archiviate e la felicità ristabilita. I suoi follower, invece, che emozioni provano quando scrollano i suoi feed e vedono i suoi aggiornamenti? L’analisi del sentiment intorno a Chiara Ferragni, come detto, è da sempre polarizzata e, soprattutto agli inizi, spostata molto di più sui commenti negativi che su quelli positivi. È quindi l’odio il carburante del motore che l’ha tenuta in cima alla lista dei blogger per così tanto tempo? Da un lato l’esibizione della felicità, dall’altro l’invidia (generata a tavolino), che può trasformarsi in ammirazione come in odio profondo. I follower che la ammirano lo fanno perché “si è fatta da sola”, “se lo vuoi può succedere”, e altri slogan un po’ triti, stile sogno americano. La felicità della Ferragni è da sempre connessa alle cose possedute e alle esperienze consumate e va continuamente alimentata con nuove persone, oggetti, attività. Il messaggio che trasmette è chiaro: per essere felice devi avere quelle cose, quei vestiti, quel tipo di affetto familiare, quei viaggi ed esperienze. Se non li hai, sei un loser: ed ecco la frustrazione, l’invidia, l’odio che cresce. Questo vale per tutti gli influencer: se da un lato vogliono ispirare positivamente i seguaci, dall’altro lato instillano loro insicurezze e frustrazioni, contribuiscono all’accrescimento di sentimenti tossici. Non è un caso se la Ferragni detiene anche il record di primo blog italiano di hater a lei interamente dedicato. 

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Chiara Ferragni e Riccardo Pozzoli

Odio, hater e altri backlash

All’epoca era “La faccia avvilita di Misha Barton”, che deve il nome a una delle prime apparizioni in tv di Ferragni, al Chiambretti Night, e ora è un gruppo su Facebook. Questa tipologia di community è detta “Tea Account” o “piccionaia”: gli utenti che ne fanno parte sviluppano un rapporto simbiotico con gli influencer anche se ne sono detrattori. Seguono scrupolosamente ogni aggiornamento, rilasciano informazioni e gossip che i follower cercano disperatamente, riempiono quel vuoto informativo sugli influencer lasciato da stampa specializzata e tabloid (che solo di recente hanno iniziato a occuparsene). Il loro obiettivo sarebbe “svelare gli imbrogli” dietro al fenomeno, rivelando retroscena che farebbero cadere il mito della “vita perfetta” e dell’autorealizzazione. In realtà account del genere sono funzionali al successo stesso dell’influencer, che come priorità ha quella di avere un’attenzione perenne addosso. E spesso sono proprio loro, gli influencer stessi, a fomentare le faide: cosa che fino a un certo momento Chiara Ferragni non ha fatto, evitando sempre di rispondere o scusarsi delle scivolate (per esempio, il post dedicato al latte in polvere è stato rimosso prima che potesse diventare un flame non controllabile). Questo approccio però è cambiato in concomitanza con l’inizio della relazione con Fedez: la Ferragni ha iniziato a blastare pubblicamente gli hater, ha iniziato a postare contenuti autoironici (come la pizza che rimane intatta anche se Chiara ne ha una fetta in mano), ma i tempi erano maturi per farlo. Resta il fatto che molti commenti degli hater sembrano scritti da gente intossicata da un veleno molto potente, veleno che alla fine ha aperto delle crepe anche nel mondo fin qui immacolato di Chiara Ferragni.

Mi riferisco all’Insalata-gate: il compleanno a sorpresa di Fedez in un supermercato di una nota catena alimentare. Ovviamente, non era un semplice party ma un evento creato a tavolino dall’agenzia di comunicazione digitale di Chiara Ferragni, TBS Crew. Ne erano già stati fatti altri in concomitanza dei trent’anni della Ferragni, dell’addio al nubilato e per il matrimonio. I momenti più importanti della vita della Ferragni sono quelli dove l’attenzione del pubblico è ai massimi livelli e i brand sono disposti a investirci molti più soldi per pubblicizzarsi. Ma se per gli eventi precedenti era andato tutto abbastanza bene (tranne forse l’implicazione di Alitalia per l’addio al nubilato), qualcosa nella festa a sorpresa per Fedez è andato storto: le persone che seguivano le stories hanno iniziato a sentirsi a disagio quando gli invitati si sono lanciati addosso del cibo che poteva sfamare qualcun altro. Si sono visti backstage in cui per la prima volta la Ferragni era visibilmente nervosa e Fedez addirittura fumava. Si è intravisto come può essere una vita al servizio dei brand che pagano per garantire il tuo stile di vita. Loro pagano, certo, ma tu in cambio devi cedere tutto, appunto, la tua vita.
Sono molti gli influencer che riconsiderano il loro essere sui social. Tavi Gevinson, fashion blogger a 11 anni ed editor di Rookie Mag a 15, in un lungo saggio-confessione ha ammesso che Instagram non le ha fatto bene e di non capire più chi è veramente, se una persona reale o un simulacro a disposizione dei brand. Di essere finita nel gorgo dei like, “un videogioco dove in palio c’è la tua autostima”. Non sappiamo se anche Ferragni si pone questi problemi. Bisogna riconoscere che si è sempre adattata ai mutamenti repentini della rete: intuendo la morte dei blog è passata a Instagram e poi da influencer ha iniziato a farsi chiamare imprenditrice digitale. Ma l’era degli influencer sta finendo? E lei continuerà all’infinito il racconto della sua vita? Cosa penserà suo figlio del fatto che tutti, lui compreso, possono rivendere la sua storia (dalla prima ecografia) solo scrollando all’indietro il feed di sua madre? Ferragni ha fatto di se stessa un esperimento sociologico e antropologico. È a lei che guardiamo per cercare risposte su di noi e su questo periodo storico in cui i social fanno da padrone. La guardiamo cercando rassicurazioni e a volte siamo felici di constatare che ancora è lì e che va tutto bene. Alcune risposte le avremmo volute già nel documentario. Ma le scopriremo nel prossimo post e in quello dopo ancora.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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