Nei podcast di Marc Maron semplici interviste a comici e performer diventano conversazioni sincere sul senso della vita. Da Robin Williams a Obama, momenti WTF.
C’è una puntata, la numero 31, del podcast WTF with Marc Maron, che è cruciale nella storia del programma, e passeranno anni prima di capire quanto. Il contesto in due righe: il podcast esiste da pochi mesi, Marc è un comico non famoso che ospita altri comici – amici, veterani o nuovi talenti – per una chiacchierata informale, l’ospite di turno, l’attore Steve Rannazzisi, è un nuovo talento. La puntata entra nel vivo dopo venti minuti, quando Steve racconta di essere scampato per un soffio all’attentato alle Torri Gemelle, perché prima di diventare un comico lui aveva un noioso lavoro d’ufficio in una società finanziaria con sede alle Torri, ma quel giorno i muri hanno cominciato a vibrare, allora lui è scappato, ha visto i palazzi crollare, si è fatto il ponte di Brooklyn a piedi, un tassista sciacallo gli ha chiesto 500 dollari per un passaggio… è una storia lunga. Però c’è il lieto fine, perché uscire tutto intero da una catastrofe ha spinto Steve a realizzare i suoi sogni. È diventato un attore, recita in tv. E adesso sta a casa di Marc Maron, a parlare con lui di traumi, incubi e cose buffe.
Sei anni dopo, salta fuori la verità. Steve Rannazzisi non ha affatto rischiato la vita nell’attentato – la sua storia è un falso totale. Nel frattempo le puntate di WTF sono diventate seicento, e Marc Maron è il re del podcast confessionale. Il più ammirato, il più influente. Il suo programma è il posto dove essere, una tribuna per artisti, rockstar, scrittori, produttori, premi Oscar, inventori, Barack Obama. Una specie di conversazione permanente sull’intreccio tra personalità e creatività. Alla questione Rannazzisi, Marc dedica due minuti di commento, in apertura di una nuova puntata: “gran brutto affare, ma non dipende da me: io non faccio il giornalista, se un ospite viene qui e dice una bugia, la responsabilità è solo sua. Certo, la vita di Steve adesso cambierà completamente… Ma noi andiamo avanti”. Punto. La bugia è un problema del bugiardo, chi gli ha dato la parola non perde un grammo di credibilità. Il podcast rimane il luogo dove le persone vanno a raccontare se stesse e sono prese sul serio. A cominciare dal conduttore.
Marc Maron è il re del podcast confessionale. Il più ammirato, il più influente. Il suo programma è il posto dove essere, una tribuna per artisti, rockstar, scrittori, produttori, premi Oscar, inventori, Barack Obama.
“Quando ero ragazzo, fare il comico per me voleva dire essere autonomo, arrabbiato, onesto e divertente: essere vivo e presente in un determinato momento”. Indietro veloce fino al 2009: Marc Maron è due volte divorziato, ex cocainomane, depresso, ansioso, ipocondriaco. Sta perdendo l’ultimo in una serie di lavori che giudica marginali – conduce un talk show politico sulla radio Air America – e quando decide di mettere in piedi un podcast non sa nemmeno bene lui quale direzione prenderà. Le prime puntate le registra di nascosto, negli studi della radio, per poi trasferire l’operazione nel garage di casa. Se l’obiettivo iniziale del programma, a grandi linee, potrebbe essere “intervistare persone che lavorano nel mondo della commedia”, l’obiettivo umano del conduttore è provare a capire perché, a lui, vanno tutte storte. Il podcast diventa un manuale di auto-aiuto per un quarantenne incazzato. Molti dei suoi vecchi compagni di strada sono ricchi e celebri, da Zach Galifianakis a Sarah Silverman, mentre a Marc tocca il destino dell’eterno secondo classificato: quello che non è mai uscito dal circuito della alternative comedy, che non è mai stato nel posto giusto al momento giusto. Nelle prime puntate Marc parla spesso di soldi, chiede con insistenza “che lavoro faceva tuo padre?”. Paragona i suoi fallimenti ai successi degli altri, ma ammette i suoi errori, e a molti ospiti chiede scusa per essersi comportato male con loro, quando era più giovane e troppo sicuro di sé. E un po’ alla volta le persone cominciano ad ascoltarlo. Intorno a WTF cresce una comunità. Un articolo uscito su Slate collega la popolarità del podcast al momento in cui molti cittadini americani si ritrovano senza lavoro. Questo spiega solo la superficie: è ovvio che in un periodo di crisi collettiva il “fallito” può funzionare come personaggio. La vera benzina di Marc è la furia di un uomo in ginocchio che sta cercando di far ripartire la sua vita privata oltre che professionale. Prendiamo la conversazione con Louis C.K., datata 2010: i due comici hanno una storia costellata da invidia e risentimento, e la portano in campo con il primo scambio di battute. “Grazie di essere qui, Louis, ti ho invitato molte volte e tu non mi rispondevi alle mail”. “Prego, Marc, quando non rispondo a un messaggio è perché non ho niente da dire. E poi forse non te lo ricordi, ma per un anno intero io ti mandavo mail e tu mi ignoravi”. È molto imbarazzante ascoltare una chiacchierata così tra due persone che noi non conosciamo. Però, se teniamo duro, abbiamo la sensazione di stare attraversando qualcosa di reale. Contraddittorio, spinoso e divertentissimo. Non tutte le puntate di WTF possono attingere a una storia personale così ricca, ma le puntate migliori suonano, tutte, come una conversazione necessaria.
Il talento di Marc, secondo chi è passato dal garage, sta nel suo essere “emotivamente presente”, la sua capacità di mettere a fuoco l’ospite del giorno e lasciarsi trasportare dal dialogo che nasce tra di loro, senza cercare di pilotarlo o di stringere i tempi. Non c’è nessuna scaletta: tutto accade nel momento in cui accade. Per questo ci vogliono anni prima che qualcuno metta in dubbio il racconto di Steve Rannazzisi. Una storia drammatica è la normalità, per WTF, non l’eccezione. L’ospite arriva, si siede, parla. Il conduttore mette sul tavolo i suoi problemi, da uomo arrabbiato diventa un uomo empatico, un uomo saggio. L’apertura chiama apertura. Il fallout interminabile del suo secondo divorzio attira decine di storie simili, maschili e femminili; i racconti del suo passato eccessivo fanno sì che parecchi ospiti vadano da lui per raccontare le loro dipendenze, le loro manie più o meno appaganti. Si può parlare di tutto, si può ridere o piangere di tutto. La conversazione viene registrata, mai filmata. Il potere ce l’ha la voce, la conversazione. Il momento. E i primi a provare un’emozione sono il conduttore e l’ospite. (Questa tecnica funziona al di là del podcast, naturalmente: Asif Kapadia attribuisce la forza cinematografica di Amy alla sua decisione di registrare solo le voci delle persone che conoscevano Amy Winehouse, senza filmarle o fotografarle durante l’intervista). Una delle puntate considerate più importanti nella storia di WTF è la conversazione tra Marc e Robin Williams, quattro anni prima della morte dell’attore. È un bell’incontro per entrambi: parlano del legame tra commedia e onestà, degli artisti che li hanno influenzati di più, del modo diverso in cui affrontano il palco e le aspettative del pubblico, e alla fine della chiacchierata, così, in maniera semi-esplicita, Williams racconta di aver avuto qualche pensiero suicida. Lo dice e non lo dice. Apre una strana parentesi. La chiude. Marc glielo lascia fare. Non lo incalza, ma la cosa resta lì, in sospeso. Sapendo quello che sappiamo ora, è una puntata quasi impossibile da ascoltare. Lo stesso, dice Marc, “è spaventosa, ma è reale. Ha cambiato la mia vita”. Ha cambiato anche la vita di WTF come podcast: ogni puntata memorabile è la storia di come si è manifestata una vocazione creativa, e delle giornate nere in cui un creativo si chiedeva se sarebbe stato più felice con un lavoro normale.
Chi accetta oggi di andare ospite da Marc sa benissimo a cosa va incontro. Non tutti possono avere voglia di raccontare un grande segreto, ma un fallimento o un’abitudine anti-sociale vanno comunque tirati fuori. (Anna Kendrick butta nella spazzatura i regali dei suoi ammiratori, per esempio). Magari l’intervista coincide con un appuntamento promozionale, ma non si può prendere WTF come se fosse la versione podcast di un salotto televisivo. È un posto infinitamente più protetto, anche se lo ascoltano milioni di persone. Suona più vero. Apre molte più porte a chi parla con sincerità. Marc può presentare uno sconosciuto al suo pubblico, lanciandogli la carriera, oppure può ripercorrere una parte meno nota della vita di una persona, cambiando la nostra idea di lei a tempo indeterminato. Jason Bateman racconta i suoi dieci anni di transizione da attore adolescente a protagonista di Arrested Development. Penelope Spheeris racconta il suo arco di vita e lavoro, da regista di documentari di culto – la trilogia The Decline of Western Civilization – a regista di film comici su commissione. È la vita. Una puntata di WTF è per sempre. Non scade mai. Tutto rimane archiviato online, tutto può essere ascoltato e apprezzato ad anni di distanza. Marc Maron, per una volta, è arrivato in tempo. Era esattamente dove doveva essere, nel momento in cui doveva esserci. Ha cominciato con il podcast senza sapere se avrebbe avuto un futuro, come tecnologia e come vetrina per se stesso. Ha funzionato: è andato avanti. È ripartito. È un artista che ha trovato la sua voce più profonda nel periodo peggiore della sua carriera, in un posto che sembrava l’ultima occasione. E se tu vai ospite da lui e gli racconti una bugia? Cazzi tuoi. Sei tu la persona responsabile della tua narrazione: se la maschera che hai scelto di indossare ti fa orrore, amico, potresti provare a togliertela. Nel tuo tempo libero.
Violetta Bellocchio
Autrice di Il corpo non dimentica (2014), ha fatto parte di L’età della febbre (2015), Ma il mondo, non era di tutti? (2016), ha curato l'antologia Quello che hai amato (2015) e la traduzione italiana di The Art of Rivalry (2016). Ha collaborato a Rolling Stone, Vanity Fair, IL, Rivista Studio.
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