I meccanismi che soggiacciono all’industria dei videogiochi passano spesso inosservati, scomparendo tra l’annuncio di una nuova console e la promozione dell’ultimo sequel di successo. Sotto la superficie, però, il settore videoludico rivela un panorama ricco di sfide e complessità.
Nel delineare le tendenze del settore videoludico nel 2024, emerge come inevitabile punto di partenza la serie di licenziamenti che, a partire dalla fine del 2023, sta interessando un numero sempre crescente di aziende, producendo un impatto senza precedenti sull’industria dei videogiochi. Ci sarà spazio anche per le altre tendenze, ma è impossibile non iniziare da qua. Se nel 2023, infatti, circa 10.000 persone impiegate a vario titolo nell’industria dei videogiochi hanno perso il proprio lavoro, nel 2024 si sono verificati già 5.000 licenziamenti. Fra tutte queste scelte spicca quella di Microsoft, che dopo l’acquisizione di Activision Blizzard King ha deciso di tagliare 1.900 persone e bloccare lo sviluppo di progetti che erano in corso da circa sei anni.
Ovviamente, questi numeri includono situazioni molto diverse tra loro, dalla persona che probabilmente troverà presto un nuovo lavoro in un’altra azienda a quella che si è appena trasferita in California, una delle regioni più care degli Usa, e che adesso deve capire come fare per pagare l’affitto. A prescindere dalla posizione lavorativa occupata, sono tutte vittime di un mercato speculativo che ha subito un brusco capovolgimento. Perché se da una parte ci sono i licenziamenti di Microsoft, dall’altra ci sono quelli di Embracer, supergruppo che fino a poco tempo fa aveva fatto grandi acquisti, mettendosi nel carniere marchi emergenti e firme storiche, tra cui i diritti dei giochi de Il Signore degli Anelli e Crystal Dynamics, che sta lavorando a un nuovo capitolo di Tomb Raider, per poi iniziare una serie impietosa di licenziamenti e chiusure di progetti già annunciati.
Un circolo vizioso
Quello che stiamo vivendo oggi è il fallout degli investimenti fatti durante il periodo del covid. La necessità di rimanere in casa, e il conseguente aumento del consumo di prodotti di intrattenimento e di tecnologia casalinga, ha senza dubbio messo in difficoltà alcuni settori, ma ha anche iniettato ingenti quantità di capitale in altri, tra cui i videogiochi. Improvvisamente, alcune aziende si sono ritrovate con abbondanti risorse da investire per generare ulteriori profitti. E la regola di ogni azienda è che quando ti danno soldi tu li usi, altrimenti potrebbero non dartene più. Questo afflusso di denaro ha portato a notevoli assunzioni e all’introduzione di vari benefit.
Improvvisamente, però, la nuova ondata di ricchezza si è arrestata e il meccanismo ha iniziato a incepparsi. I primi a scomparire sono stati alcuni benefit, seguiti dalla perdita di posti di lavoro. Sono emersi discorsi sulla necessità dei licenziamenti per mantenere la competitività e sull’inevitabilità dei cambiamenti, presentati come una normale evoluzione del settore. Ciò avviene perché, in questo sistema, paradossalmente un’azienda che licenzia non perde valore, lo guadagna. Perché questi licenziamenti spesso non sono indice di una crisi, ma un modo per “ottimizzare” e aumentare il fatturato. Nel frattempo, chi perde il lavoro si trova a cercare nuove opportunità, talvolta accettando di rinunciare ai benefit precedentemente garantiti. Questa dinamica non è esclusiva dell’industria videoludica, ma si estende a molti altri ambiti tecnologici che stanno assistendo a licenziamenti su larga scala. Ad aggravare la situazione nell’industria videoludica, però, c’è anche il fatto che il settore sta vivendo un periodo di stagnazione, soprattutto per quanto riguarda i cosiddetti giochi “tripla A”, ovvero quelli dove si investono tantissimi soldi. La creazione di questi giochi richiede molto tempo, tantissimi soldi e il ritorno economico non è garantito, se non utilizzando meccanismi come il Battle Pass di Fortnite o altre soluzioni che trasformano i videogiochi in servizi a lungo termine.
Prima spariscono i benefit, poi alcune posizioni, poi iniziano i discorsi sul bisogno di licenziare per rimanere competitivi, sul fatto che inevitabilmente ci sono dei cambiamenti. Ma un’azienda che licenzia non perde valore, lo guadagna.
E quando i giochi diventano servizi a lungo termine finiscono per monopolizzare il mercato. Si prendono tutto lo spazio, mentre altri titoli, che magari non hanno componenti monetizzabili nel tempo, faticano a emergere in un contesto stagnante dove si cerca sempre di andare sul sicuro. Si tratta tuttavia di una sicurezza illusoria, in cui il margine di errore si è ridotto molto insieme alla voglia di sperimentare, salvo rare eccezioni rappresentate da giochi indie completamente folli che inseguono il sogno di un successo improvviso.
Tentativi di sindacalizzazione
Questo ci porta a una delle probabili tendenze di quest’anno, ovvero l’aumento delle richieste o dei tentativi di creare unioni sindacali all’interno degli studi di sviluppo. Nel dicembre del 2023 gli iscritti alla Game Workers – una branca della IGWB – sono quasi raddoppiati, un trend che si è verificato anche nei mesi precedenti. A ogni nuovo annuncio di licenziamenti cresce il numero di persone che cercano di comprendere come salvaguardare, se non la propria posizione lavorativa, almeno il diritto a negoziare un’adeguata buonuscita.
I sindacati nei videogiochi sono una novità recente e, ovviamente, rappresentano un’iniziativa molto osteggiata dalle aziende più grandi. Questa avversione deriva dal fatto che l’industria videoludica condivide, seppur indirettamente, la stessa etica lavorativa di Silicon Valley, in cui è normale lavorare tantissimo per un progetto, passare le giornate al computer e trascurare tutto il resto. Se in passato, però, erano piccoli gruppi di programmatori a lavorare senza sosta per inseguire il sogno di pubblicare il loro videogioco, oggi questa prassi si è estesa a intere aziende che, in cambio delle ore di intensivo lavoro dei propri dipendenti, offrono benefit come palestre e aree benessere. In alcuni casi si può arrivare anche al cosiddetto crunch time, ovvero turni di lavoro ancora più serrati, specialmente in prossimità del lancio di un gioco o per affrontare problemi improvvisi.
La questione è strettamente legata allo stato precario dei videogiochi attuali, a cui è richiesto un grado di realismo sempre più elevato, fatto di mappe sempre più vaste, avventure sempre più interessanti, e il cui ciclo di marketing prevede anteprime e una ricerca costante dell’attenzione del pubblico, anche con promesse difficili da mantenere. Queste aspettative non sempre soddisfatte possono scatenare reazioni violente, che si riversano sui lavoratori, i quali, in situazioni estreme, subiscono persino minacce di morte. Un sindacato, pur non essendo una soluzione definitiva, offre sostegno ai programmatori e alle programmatrici, rendendoli meno vulnerabili. Questo supporto si estende anche a chi lavora al testing, alla traduzione, al doppiaggio, al marketing e all’art direction, provocando spesso reazioni ostili nelle grandi aziende. Ecco perché Activision è arrivata ad adottare tattiche di sorveglianza e intimidazione nei confronti dei propri dipendenti, allo scopo di soffocare ogni tentativo di organizzazione collettiva, e finendo persino per negare gli aumenti salariali a coloro che si erano sindacalizzati.
Nintendo e la sua Next Gen
Da almeno quattro anni circolano persistenti voci di corridoio sull’uscita della nuova console Nintendo e da almeno quattro anni è un nulla di fatto. Quest’anno, però, la prospettiva appare più concreta del solito, nonostante il persistente successo della Switch, che continua a rappresentare un favoloso cortocircuito in un settore che sembra sempre guardare avanti.
Il motivo è semplice (anzi, no): si tratta di una console che, nonostante i suoi otto anni di età e le prestazioni paragonabili a un telefono di fascia bassa, costa pochissimo da produrre, ha ricevuto un solo aggiornamento hardware, ovvero lo schermo OLED, e continua a registrare vendite eccellenti senza subire notevoli ribassi di prezzo. Per questi motivi Nintendo fino a oggi non ha avuto alcun motivo di sostituirla. Ovvio, i lavori per la nuova console sono iniziati anni e anni fa – probabilmente è già pronta – e forse la pandemia ne ha rallentato l’uscita, onde evitare di finire come PlayStation e Microsoft con la crisi dei chip, ma fino a oggi sono trapelate pochissime informazioni. Quest’anno potrebbe essere quello giusto, ma lo sarà davvero?
Si è parlato molto di come l’IA possa rendere alcuni compiti più leggeri, ma anche dei rischi che comporta, soprattutto per tutti gli artisti che improvvisamente vedono le proprie illustrazioni o il proprio stile replicati senza autorizzazione.
Per adesso siamo appesi alle informazioni dei soliti bene informati, ma senza dubbio una console nuova, con un hardware un po’ meno anziano (ma sempre un passo indietro) non sarebbe male. Visti i numeri, Nintendo avrà un bel problema nel replicare il successo di Switch, sia nel traghettare i giocatori verso la nuova console che nell’ottenere gli stessi risultati. Tuttavia, data la reputazione del marchio, le sorprese sono sempre possibili. Secondo molti la nuova console potrebbe essere retrocompatibile, così da sfruttare gli oltre 700 milioni di titoli già venduti. Seguendo invece il fiuto di chi analizza le varie aziende produttrici di hardware e le loro mosse pare che lo schermo potrebbe essere di 8’’, quindi ancora più grande dell’attuale modello OLED che monta uno schermo da 7’’.
L’unica certezza è che Nintendo, in un settore di console che stanno rapidamente diventano un po’ come i nuovi smartphone – ovvero sempre più potenti ma senza guizzi particolari – è ancora in grado di darci il brivido dell’incertezza, ben sapendo che anche se dovesse andare male potrebbe sempre provarci con quella successiva. D’altronde il denaro non manca e neppure i marchi storici e affidabili.
L’invasione della IA
L’intelligenza artificiale, se così vogliamo chiamare per semplicità tutto quel sistema di strumenti in grado di generare immagini, testi e altre cose in base alle nostre istruzioni, non è una novità assoluta nel mondo dei videogiochi. A dirla tutta, il termine si usa da molti anni per identificare tutte le scelte che il videogioco fa, spesso per opporsi al giocatore. Per esempio, se sto combattendo contro soldati controllati dal computer e questi mi accerchiano, posso affermare che il titolo ha una buona intelligenza artificiale, per quanto il termine sia usato, ancora una volta, a sproposito.
Da molto tempo, nei videogiochi è anche presente un sistema di creazione di ambienti, situazioni ed elementi che viene definito procedurale. Un algoritmo, per esempio, partendo da un set di elementi fissi, può elaborarli per creare mondi, creature e livelli, finendo per costruire un intero mondo virtuale. Negli ultimi anni, si è parlato molto di come questi strumenti possano aiutarci a rendere determinati compiti più leggeri, ma anche dei rischi che comportano, soprattutto per gli artisti che improvvisamente vedono le loro illustrazioni o il loro stile replicati senza autorizzazione. Senza addentrarci in quel tema, è evidente che dietro ai videogiochi moderni c’è un grande lavoro di bozzetti, visualizzazione, art direction e illustrazione. Ovvio, dipende anche dal tipo di gioco, ma anche progetti di medie e piccole dimensioni non possono esimersi da una corposa parte visiva e progettuale.
Sotto questo punto di vista le IA possono offrire una varietà di strumenti per creare bozzetti, ma anche asset veri e propri da usare in alcuni videogiochi, per non parlare della possibilità di creare linee di dialogo o aiutare direttamente in fase di coding e debug. Fino a oggi Steam, la più grande piattaforma di distribuzione di videogiochi per PC, aveva arginato i giochi basati sulle IA con regolamentazioni abbastanza stringenti, ma quei paletti sono saltati verso la fine del 2023 ed è quindi probabile che presto saremo invasi da titoli che fanno un uso massiccio di asset generati, un po’ come i libri scritti dalle IA hanno riempito gli scaffali virtuali di Amazon.
Ora, considerando che solo nel 2023 sono usciti 14.000 videogiochi su Steam, quali conseguenze avrà questo ulteriore aumento del “rumore” in un mercato già abbastanza complesso? E che situazione si troveranno a vivere le persone che sul fare asset per i videogiochi contavano di costruire una carriera? Lo vedremo a fine anno.