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Intervista a Jim Allen

Anche la tecnologia contribuisce ad avvicinarci sempre più alle vite reali della gente comune. Per scoprire cosa fanno davvero bambini e teenager.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 19 - Gente dovunque del 12 novembre 2015

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La televisione della gente è una tendenza internazionale, l’unscripted è un genere e un linguaggio capace di varcare i confini. Basta scorrere velocemente la lista dei canali. O soffermarsi su carriere come quella di Jim Allen, direttore del factual entertainment per Itv in Gran Bretagna e poi responsabile di Rdf, società del gruppo Zodiak. Un professionista che ha lavorato su Hell’s Kitchen e su un format di enorme successo in molti mercati europei come Come Dine with Me, che si è sporcato le mani su I’m a Celebrity, Get Me Out of Here!, e che ora sta cercando di spostare in avanti i confini di ciò che va in scena sul piccolo schermo.
Con lui parliamo dei suoi successi, e di come si può usare la tecnologia di ripresa digitale per capire come si comportano – davvero – i bambini di quattro anni e i teenager che scoprono le loro pulsioni.

Sei uno dei più importanti produttori mondiali di unscripted television. Ci racconti i passaggi salienti della tua carriera? 

Per 25 anni ho lavorato a Itv, in pratica ho trascorso lì la maggior parte della mia carriera lavorativa. All’inizio mi occupavo di serie televisive, di documentari e di talent affair, man mano però i programmi factual sono diventati sempre più importanti nel panorama tv, così come l’utilizzo di persone comuni e di celebrity in sempre nuove sfide. I factual sono diventati una costante nel palinsesto britannico. Molti anni fa ho avuto una conv ersazione con una collega, a cui era venuta l’idea di usare un dinner party per un programma televisivo. Come si deve preparare una cena, come si devono accogliere gli ospiti in casa… e questa conversazione ci ha portato all’idea alla base di Come Dine with Me, un format venduto in tutto il mondo. Questo è quello che amo delle televisione: il fatto che da una semplice conversazione tra colleghi sia potuto nascere uno dei format di maggior successo degli ultimi vent’anni, venduto in tutto il mondo.

Sappiamo poi che hai lavorato con Gordon Ramsay…

Sì, un altro programma importante è stato Hell’s Kitchen, perché con Gordon quello che vedi in tv è quello che succede davvero. Molte persone si trasformano in televisione, ma Gordon era impetuoso, appassionato, brillante e difficile a telecamere spente e quando le telecamere si accendevano rimaneva esattamente la stessa persona impetuosa, appassionata, brillante e difficile. Sono felice che la televisione possa mostrare il bene e il male delle persone, e penso che sia questo il motivo per cui Gordon piace alla gente: perché tutti pensano che sia totalmente onesto nel mostrare come si comporta e come gestisce il proprio lavoro. Altrettanto importante è stato poi I’m a Celebrity, Get Me Out of Here!, un game che deriva dalla semplice idea di voler vedere cosa potesse succedere a una celebrità tirata fuori dalla sua vita di lusso e inserita in un contesto pericoloso, come la foresta pluviale o la giungla. Inizialmente doveva essere un programma di un’ora per una settimana, alla fine è diventato uno scripted program per Itv per tre settimane, visto da 17 milioni di persone.

Uno dei tuoi progetti più recenti è The Secret Life of 4 Year Olds. Ce ne puoi parlare?

Quando riesci a trovare qualcosa di completamente nuovo in televisione è magnifico: ogni produttore vuole credere di aver inventato qualcosa di incredibilmente innovativo e diverso, ma in realtà, se guardi indietro agli ultimi quindici anni di tv, sono le persone “normali” a essere riuscite a creare programmi di successo a partire da qualcosa in qualche modo legato alla loro vita.
I bambini sono “personaggi” che agiscono per la prima volta: non sono neonati, non sono adolescenti, sono avvolti da una certa aura di fascinazione e mistero. L’idea alla base di The Secret Life of 4 Year Olds era implementare l’uso di nuove tecnologie nella produzione tv: abbiamo posizionato 27 microcamere in una nursery per riprendere bambini di 4/5 anni che non si erano mai incontrati prima. Solo così siamo riusciti a far ridere, far piangere e generare una miriade di emozioni intense. Il programma è completamente diverso da tutti gli altri dello stesso genere perché è basato su un intento semplice e serio. È affascinante osservare come già negli anni dell’infanzia sia possibile capire che genere di persona si diventerà da adulti. In qualche modo è una vecchia idea, reinventata grazie alle moderne tecnologie che consentono di attrezzare le location in modo tale da farci osservare e ascoltare tutto, da ogni angolo, senza perdere niente. È questo a essere completamente nuovo ed eccitante e questo è il motivo per cui funziona: un gruppo di bambini interessante, osservato in modo moderno e dinamico.

Le tecnologie digitali quindi permettono di lavorare senza filtri, in modo che i protagonisti possano agire come bambini normali in una situazione normale?

Certo, le tecnologie fanno sì che le persone siano meno consapevoli della loro presenza, ed è per questo che programmi come The Secret Life of 4 Year Olds, o One Born Every Minute, sono in grado di avvicinarsi così tanto alla realtà. Anziché un cameraman che punta una telecamera in faccia ai soggetti ripresi, ci sono numerose telecamere posizionate a una certa distanza e questo consente sia alla produzione di osservare e di ascoltare qualsiasi cosa, sia alle persone riprese di rilassarsi e comportarsi nel modo più naturale possibile, come mai avvenuto prima. Con le telecamere nascoste siamo per la prima volta in grado di osservare come le persone vivono, come agiscono e come si relazionano tra loro realmente, in un modo che non avremmo mai potuto immaginare prima.

È stato difficile realizzare The Secret Life of 4 Year Olds?

Ogni volta che hai a che fare con i bambini in televisione devi assumerti la responsabilità profonda di badare a loro e alle loro famiglie. Questo vale sia per i bambini di 4 anni sia per gli adolescenti. Per questo motivo lavoriamo sempre con un’équipe di esperti, composta da assistenti e psicologi che ci dicono esattamente per quanto tempo si possono effettuare le riprese senza farli stancare. Dobbiamo lavorare con le necessità televisive e accordarle alle esigenze dei bambini. Sono adorabili, interessanti, ma bisogna rispettare le severe regolamentazioni che stabiliscono come si può lavorare con loro, come assicurarsi che i genitori siano consapevoli di quello che stai facendo, come garantire le condizioni di sicurezza… Bisogna assumersi le proprie responsabilità sul serio, e ricordarsi che i bambini vengono sempre assolutamente al primo posto.

Come è stato invece lavorare con gli adolescenti in Sun, Sex and Suspicious Parents? Un programma che tratta argomenti molto difficili, come il rapporto tra i teenager e il sesso… 

Se devo scegliere quale tra questi due programmi sia stato una sfida maggiore, direi senz’altro Sun, Sex and Suspicious Parents, perché sia i bambini sia gli adolescenti sono complicati, ma i secondi sono incostanti, cambiano continuamente, vanno protetti anche da loro stessi. Le loro emozioni sono amplificate e dovevamo essere sicuri che si sentissero a loro agio. Una delle problematiche maggiori è derivata dai social media, che giocano un ruolo importante nella vita degli adolescenti. Ma, si sa, le persone su Twitter o Facebook non si preoccupano nel postare commenti negativi e offensivi: una delle sfide che la tv dovrà affrontare nei prossimi anni è quella di prestare attenzione al contributo apportato dai social, perché le persone scrivono cose orribili relative a ciò che vedono in televisione. Con gli adolescenti abbiamo dovuto assicurarci che comprendessero che è una cosa che succede sempre, e che si sentissero supportati nelle loro scelte.

Una situazione piuttosto complessa da gestire.

C’era poi un’altra grande problematica legata al programma: quando ho avuto l’idea, ero preoccupato che nessun genitore avrebbe mai accettato di spiare i propri figli. Non pensavo che il programma si potesse realizzare. Però non è stato così, anzi: i genitori hanno accettato subito di farlo, perché erano sinceramente convinti che potesse essere un modo per imparare, sia per loro sia per il pubblico. Molti di essi desideravano comprendere più a fondo i loro figli, convinti del fatto che conoscere i motivi del loro comportamento li avrebbe aiutati ad andare avanti e a capire in che modo i loro “bambini” stavano diventando adulti. Molti genitori avevano un ottimo rapporti con i figli ed erano terrorizzati di scoprire cosa facessero in loro assenza, ma alla fine si è rivelata un’esperienza costruttiva sia per gli adolescenti sia per i genitori, perché ha permesso loro di vedersi in una nuova luce.

Spiare i propri figli: un sogno e un incubo allo stesso tempo.

I genitori a volte sono rimasti scioccati o terrorizzati ma, onestamente, se il programma avesse adottato il punto di vista dei genitori i figli avrebbero fatto esattamente solo ciò che ci si aspettava da loro e il programma sarebbe risultato mortalmente noioso. Avevamo bisogno di uno scontro generazionale e culturale: per i genitori osservare come si comportano gli adolescenti con l’alcol e il sesso può essere impressionante, ma aiuta entrambi a parlarsi come mai prima e a capirsi meglio.

Ragionando sulla scrittura e sulla produzione, come si riesce a integrare in questo tipo di programmi la componente scripted e quella unscripted? Qual è il giusto mix?

I cosiddetti scripted reality sono programmi che hanno sì come protagonista la gente comune, ma la produzione prepara e scrive con esattezza tutto ciò che devono fare: la storyline, i dialoghi. Non ho mai fatto cose del genere: i miei programmi hanno un approccio diverso, basato sulla costruzione ad hoc di una situazione, di una location o di una sfida iniziale, che poi viene “lasciata a se stessa”. La mano del produttore c’è solo all’inizio, poi si limita a lasciare che le cose accadano senza che siano controllate. I migliori reality sono quelli in cui accade di tutto. Odio i programmi in cui è tutto preprogrammato, dove se poi le cose semplicemente non accadono allora non c’è più nulla di interessante. Preferisco i programmi basati su una preparazione a monte, con il casting, con la realizzazione dell’idea, con una sfida o una situazione in cui qualsiasi cosa succeda, questa può risultare davvero interessante.

Quindi: imposta bene il programma e poi lascia che le cosa accadano. In qualche modo, è un concetto anti-televisivo…

Assolutamente sì. In tv si tende a cercare di controllare tutto, ad accumulare sempre più materiale per avere la certezza di coprire tutte le ore di programma. Vogliamo tenere sotto controllo il budget, ci serve che ci sia abbastanza materiale e che questo sia abbastanza creativo e spettacolare. Ma controllare tutto non è necessariamente il modo migliore di fare televisione, perché si rischia di realizzare programmi sicuri, ma prevedibili o banali. La cosa bella dei reality sta nel fatto che non puoi controllare tutto, perché succede sempre qualcosa che non potevi prevedere. In una stagione di I’m a Celebrity, un famoso ha fatto un’affermazione razzista e siamo stati costretti a eliminarlo e a scusarci pubblicamente. Non volevamo che accadesse ma è successo, e la realtà è che sono proprio quei momenti più scomodi e imprevedibili a suscitare interesse nel pubblico. Questo è terrificante per un produttore, ma eccitante per i telespettatori.

Quali sono gli elementi più importanti da considerare in un casting per questo tipo di programmi?

Penso che le persone smaniose di apparire in tv non siano le migliori da selezionare: è meglio puntare su persone curiose e desiderose di affrontare la sfida del programma, perché saranno più motivate e quindi interessanti. Per esempio in Sun, Sex and Suspicious Parents abbiamo selezionato quei genitori davvero desiderosi di conoscere meglio i propri figli. Un’altra tipologia di persone da tenere in considerazione, che di solito è scartata nei casting, sono le persone più timide e riservate. Ovviamente quelle loquaci sono una garanzia, una fonte sicura di guai e problemi. Ma i programmi tv non hanno bisogno solo di questo, ma anche di personaggi con alti e bassi, capaci di evolversi. Si tratta di creare il giusto mix e di ricordarsi che quando si fanno i casting di questo tipo di programmi si devono trovare persone che si possano incontrare per strada, e che possano condividere delle esperienze. Per esempio in The Secret Life of 4 Year Olds c’era una bambina di nome Jessica, nervosa e timida, ma attraverso la sua timidezza si è rivelata essere la più profonda del gruppo. Bisogna avere il coraggio di selezionare persone che non sono subito ideali per lo schermo, ma che possano in qualche modo arricchire il programma. Spesso lo devo ricordare anche a me stesso, perché come produttore tendo a buttarmi su persone che smaniano per ricevere attenzione.

Tornando a The Secret Life of 4 Year Olds, quanto tempo avete impiegato per realizzarlo?

Proprio adesso stiamo realizzando sei episodi da un’ora, due su gruppi di bambini di 4 anni, due su bambini di 5 anni e due su bambini di 6 anni. Per ottenere sei ore di trasmissione, prima abbiamo impiegato tre mesi per fare i casting in tutto il paese e poi le riprese di due gruppi di bambini hanno richiesto due settimane. In pratica, per un’ora di episodio ci serve una settimana di registrazione. L’intero processo avrebbe potuto essere più veloce, ma per noi è importante che sia molto intenso. In Inghilterra abbiamo budget che ci consentono più tempo per realizzare la produzione rispetto agli altri paesi europei, ma il programma sta per essere realizzato anche in Danimarca e in Francia con budget minori e con risultati altrettanto buoni, e questo mi incoraggia. Significa che il format può viaggiare e funziona anche con tempi di realizzazione più rapidi.

Secondo te perché i programmi con la gente comune come protagonista hanno oggi un così grande successo? È così importante vedere la vita delle persone normali da vicino?

Nella tv inglese una sorta di fascinazione per la gente comune c’è sempre stata. Un programma che ebbe un grande impatto fu The Family, documentario che seguiva giorno e notte le vicissitudini di una famiglia inglese. Quello che è cambiato è che la tecnologia ci consente di avvicinarci alla gente comune in modi prima inimmaginabili. Possiamo vedere le persone in qualsiasi situazione, e in tempi di crisi la gente vuole osservare persone come me e come te nelle loro sfide quotidiane. Vogliamo essere intrattenuti da gente che affronta i nostri stessi problemi, queste sfide hanno un appeal speciale. Il vero problema oggi è trovare nuovi posti e nuove situazioni in cui porre e filmare la gente comune. Siamo sempre alla ricerca di location in cui seguire le persone nel loro quotidiano. Un’idea che mi affascina è vedere cosa fa le gente al supermercato quando fa la spesa, come prende le decisioni, come riesce a far conciliare le richieste dei familiari con i soldi a disposizione. Chissà.


Fabio Guarnaccia

Direttore di Link. Idee per la televisione, strategic marketing manager di RTI e condirettore della collana "SuperTele", pubblicata da minimum fax. Ha pubblicato racconti su riviste, oltre a diversi saggi su tv, cinema e fumetto. Ha scritto tre romanzi, Più leggero dell’aria (Transeuropa, 2010), Una specie di paradiso (Laurana, 2015) e Mentre tutto cambia (Manni, 2021). Fa parte del comitato scientifico del corso Creare storie di Anica Academy.

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Luca Barra

Coordinatore editoriale di Link. Idee per la televisione. È professore associato presso l’Università di Bologna, dove insegna televisione e media. Ha scritto i libri Risate in scatola (Vita e Pensiero, 2012), Palinsesto (Laterza, 2015), La sitcom (Carocci, 2020) e La programmazione televisiva (Laterza, 2022), oltre a numerosi saggi in volumi e riviste.

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