Tra le cose ancora poco chiare degli Nft c’è la loro proprietà. Più che un oggetto, sono un contratto. E nonostante le reazioni bellicose e buffe, aprono una finestra verso l’internet che verrà.
Come molte persone, ho sentito parlare per la prima degli Nft a inizio anno, precisamente nel febbraio 2021, quando l’artista digitale Beeple (nome d’arte di Mike Winkelmann) ha venduto all’asta per 69,3 milioni di dollari l’opera Everydays: The First 5000 Days. La notizia ha fatto scalpore sia per la somma sia per quello che era stato effettivamente messo all’asta. L’opera è un collage delle immagini che l’artista ha fatto quotidianamente nell’arco di cinquemila giorni, ma chi se l’è aggiudicata non è entrato in possesso né di tele né di quadri, ma di un Non-Fungible Token (Nft), un tipo di contratto basato sulla blockchain, il registro di dati decentralizzato su cui si fondano le criptovalute come Bitcoin.
“È semplicemente la prova che possiedi qualcosa”, ha spiegato Beeple al New York Times dopo l’asta record: “È come se [gli Nft] puntassero verso un file e dicessero ‘questa è una cosa di tua proprietà’”. A essere messo all’asta, insomma, non è né l’immagine né i suoi diritti di riproduzione, quanto l’attestato di proprietà, una linea di codice sulla blockchain in cui il file “opera” è collegato eternamente a un determinato utente. Una differenza sottile che, come vedremo, continua a confondere molti.
Un jpeg troppo caro?
Da allora gli Nft sono dilagati, sconvolgendo il mondo dell’arte, i videogame, la moda e persino l’intrattenimento. A gonfiarne le vele, le somme da capogiro che sembrano accompagnare ogni mint (il “conio” di nuovi Nft), numeri che ricordano a molti la crescita esponenziale di Bitcoin negli ultimi anni. A distanza di un anno, però, rimane ancora un punto poco chiaro: cosa si possiede quando si diventa proprietari di un Nft? Questa ambiguità ha alimentato un tormentone piuttosto diffuso online, secondo cui gli Nft non sono altro che dei “jpeg” troppo cari, dei file immagine le cui valutazioni sono gonfiate dal gioco di fumo e specchi della blockchain. Il successo del fenomeno ha radicalizzato le posizioni, creando una community di zelanti del crypto da una parte, convinti di essere pionieri di una tecnologia rivoluzionaria; e un esercito di ribelli dall’altra, pronti a combattere quello che vedono come un tradimento dei principi originali del world wide web.
Cosa si possiede quando si diventa proprietari di un Nft? Questa ambiguità ha alimentato un tormentone piuttosto diffuso online, secondo cui gli Nft non sono altro che dei “jpeg” troppo cari, dei file immagine le cui valutazioni sono gonfiate dal gioco di fumo e specchi della blockchain.
In questi mesi, gli Nft hanno effettivamente ispirato una forte speculazione: basti pensare allo storico meme di Nyan Cat – una GIF di un gattino volante nello spazio diventata virale dieci anni fa –, trasformato in Nft dal suo creatore e subito venduto per 300 ETH (poco più di mezzo milione di dollari) a un anonimo collezionista. Sull’onda di questa moda, molti altri protagonisti di immagini e contenuti virali, anche d’antan, hanno seguito la scia multicolore di Nyan Cat, guadagnando in molti casi una fortuna. Il tutto, si direbbe, per niente. Soldi dal cielo. Anche se gli Nft sembrano operare al di fuori dalla tradizionale legge del diritto d’autore, non mancano similitudini con il mondo dell’arte tradizionale: “Possedere un dipinto – scrive The Conversation – non ti dà automaticamente il diritto di esporlo in pubblico. E nemmeno quello di querelare per infrazione del diritto d’autore se qualcuno ne riproduce l’immagine senza permesso. Per ottenere questi diritti, si deve essere il proprietario del copyright dell’opera o avere il permesso scritto e firmato dal suo creatore”.
Il parallelo con il vecchio mondo finisce qui, perché gli Nft hanno preso in poco tempo una direzione particolare, diventando a loro volta un meme, un elemento della conversazione globale. È così che si sono fatti inevitabili, onnipresenti, quasi essenziali al discorso digitale, a dispetto della loro apparente inutilità. Non solo: gli Nft sono diventati di moda, soprattutto in alcune cerchie in cui sono uno status symbol, come dimostra il successo di Cryptopunk, Bored Ape Club e Lazy Lions. Si tratta di serie di Nft tematici e a tiratura limitata (la scarsità è un elemento fondamentale nel settore: è ciò che dà loro valore), il cui prezzo può arrivare a 2,7 milioni di dollari a immagine. Il campione di basket Stephen Curry sfoggia da tempo la sua Bored Ape (un avatar a forma di scimmietta di pixel) e anche Jimmy Fallon, presentatore del Tonight Show, si è recentemente unito al club, mentre l’edizione statunitense di Rolling Stone ha dedicato la sua ultima copertina proprio ai Cryptopunks (volti umanoidi di pixel).
Reazioni e rimedi
È a questo punto, all’incrocio tra arte, blockchain e lusso, che l’ambigua forma di proprietà rappresentata dagli Nft diventa un problema. Anonimi investitori, spesso ingenui neofiti, sborsano cripto-fortune per una mascotte di pixel, e una parte del pubblico reagisce – per sconforto, invidia o ragioni ideologiche anche giuste – ricordando loro quanto quell’investimento sia vano. Senza senso. Questa protesta ha preso forme bizzarre, con alcuni utenti che hanno deciso di sminuire gli acquisti di Nft scaricando le immagini in questione sul loro computer e vantandosi di possederle (li chiamano right clickers, richiamando il tasto destro del mouse con cui si può salvare un file da computer). Uno di questi, l’utente Twitter @nicodotgay, è arrivato a scaricare tutte le diecimila immagini della collezione Lazy Lions, componendo un mosaico che raffigura proprio una mano intenta a cliccare un mouse. Un altro ha creato The Nft Bay, un sito da cui è possibile scaricare tutti gli Nft più famosi e gettonati. Gratis.
Anonimi investitori, spesso ingenui neofiti, sborsano cripto-fortune per una mascotte di pixel, e una parte del pubblico reagisce – per sconforto, invidia o ragioni ideologiche anche giuste – ricordando loro quanto quell’investimento sia vano. Senza senso. Questa protesta ha preso forme bizzarre, con alcuni utenti che hanno deciso di sminuire gli acquisti di Nft scaricando le immagini in questione sul loro computer e vantandosi di possederle.
Secondo Gian Volpicelli, giornalista dell’edizione statunitense di Wired e autore di Cryptocurrency. How Digital Money Could Transform Finance, il fenomeno lascia il tempo che trova: “la questione dell’immagine collegata all’Nft in quanto tale va ridimensionata”, ha spiegato al Tascabile. “Quello che conta per molti è comprare un’unità di criptovaluta – l’Nft appunto – sul cui valore si possa speculare negli scambi di criptovalute online”. Chi conosce i meccanismi di questi token, insomma, sa anche di non dover temere “le birichinate dei vari screenshottatori”, come le definisce Volpicelli. Le quali, continua, “hanno un impatto davvero limitato, se non a livello meta, delegittimando il concetto di Nft e di proprietà digitale. Ma le persone che sono nel giro sanno bene che c’è un’estesa comunità di affezionati, in cui tra l’altro figurano parecchi ricconi (fatto non ininfluente), che ormai quelle idee le hanno acquisite”.
Zelo dei neofiti da una parte, resistenza miope e ossessiva dall’altra; in mezzo, una comunità variegata che conta anche molti individui ormai benestanti e influenti. Recentemente alcune associazioni di investitori del settore hanno cominciato a investire in lobbying politico a Washington, con il risultato di aver sventato una proposta di legge che avrebbe aggiunto severe norme fiscali in fatto di criptovalute. Lontano dal polverone dei “tasti destri” e degli avatar Twitter da milioni di dollari, c’è un’élite potente che ormai punta in alto. Precisamente, a una nuova internet decentralizzata e distribuita, basata sulla blockchain: questo internet che verrà è già chiamato “Web3”. In una fase di transizione, quindi, gli Nft sono applicati a qualsiasi settore e business, generando confusione e qualche imbarazzo. È però difficile immaginare le possibili permutazioni decentralizzate di internet senza includere anche questi gettoni.
Anticipazione del Web3
Tutto questo significa che nella rete che verrà sarà illegale farà screenshot di Nft? Probabilmente no, come oggi possiamo scegliere un personaggio di un fumetto o un film come avatar, nonostante il diritto d’autore. Le regole stanno cambiando, e in fretta: Twitter – il cui ex CEO Jack Dorsey è un entusiasta dei Bitcoin – sta lavorando per incorporare criptovalute e Nft nel social network, mentre Discord ha proposto di entrare nel settore (prima di cambiare idea dopo le proteste di alcuni utenti). Per non parlare di Facebook, che poche settimane fa ha cambiato il nome della sua holding principale in Meta per prepararsi al “metaverse” (una possibile evoluzione del Web3). Cosa rimarrà delle polemiche sull’arte, gli Nft e i tasti destri? È probabile che passeranno alla storia come una buffa reazione a un fenomeno nuovo, complesso e in evoluzione. Non possiamo sapere come si svilupperà ma, a meno di un anno dal suo primo exploit, sta già cambiando il modo in cui ci relazioniamo con il concetto di proprietà, sia online sia nel mondo reale.
Pietro Minto
Nato a Mirano, in provincia di Venezia, nel 1987; vive a Milano. Collabora con Il Foglio, Il Post e altre testate. Dal 2014 cura la newsletter Link Molto Belli.
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