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Zerocalcare e oltre. Intervista a Giorgio Scorza

Questo mondo non mi renderà cattivo è la seconda serie di Zerocalcare, dopo il successo di Strappare lungo i bordi. Per capirla meglio, e fare il punto sul settore, una chiacchierata con il suo studio di animazione.

Durante l’ultima cerimonia dei Golden Globe, Guillermo Del Toro ha detto che “l’animazione è cinema, non è un genere per bambini, è un medium”. Dovrebbe essere assodato ormai, eppure non è così. L’animazione sconta da sempre un complesso di inferiorità rispetto ai prodotti live action, perché considerata meno rilevante, meno seria, non adulta. Eppure anche la seconda serie animata di Michele Rech, in arte Zerocalcare, se si escludono gli inside joke, di infantile non ha nulla. Come Strappare lungo i bordi, Questo mondo non mi renderà cattivo va a 100 all’ora, mischia alto e basso, unisce commedia e dramma, e tra una citazione a Game of Thrones e una battuta di Secco – “mi esce sangue dal naso” è già pronta per ispirare TikTok e meme infiniti –, affronta temi serissimi, difficili e scomodi. Il fumettista non risparmia nessuno – giornali, tv, politici, forze dell’ordine – e porta ancora una volta al centro della narrazione gli invisibili, chi sta ai margini, la periferia e le sue macerie. Ovviamente, è sempre pieno di accolli, sensi di colpa, un groviglio di insicurezze e pippe mentali, attorniato da amici di sempre e vecchie conoscenze come Cesare, il cui ritorno dà il via alla storia. “Una storia che abbandona la dimensione post-adolescenziale per entrare in quella adulta”, come mi racconta Giorgio Scorza, co-fondatore, Ceo e direttore creativo, con Davide Rosio, di Movimenti Production: la società che ha prodotto (insieme a Bao Publishing) e realizzato sia la prima sia la seconda serie di Zerocalcare; e che da quasi vent’anni lavora a livello nazionale e internazionale, passando da serie per bambini come Topo Gigio a videoclip per Mika, Pinguini Tattici Nucleari e ThaSup. Sempre insieme a Davide Rosio, Scorza ha curato anche la regia tecnica di Questo mondo non mi renderà cattivo, e in occasione dell’uscita su Netflix abbiamo parlato a lungo della nuova serie, delle tante produzioni a cui stanno lavorando, di quando Zerocalcare andò a studiare animazione nei loro studi, e ovviamente dello stato dell’animazione in Italia.

Partiamo da Strappare lungo i bordi, o meglio dal post-Strappare lungo i bordi. La serie ha avuto un grande successo da noi ed è stata accolta bene anche dalla stampa estera, non sono mancate critiche e discussioni – per esempio sul romano, questione citata in Questo mondo non mi renderà cattivo. Per giorni non si è parlato d’altro. Fare una seconda serie animata con Zerocalcare è stata quindi una scelta scontata?

Con Strappare lungo i bordi il nostro obiettivo era non rovinare tutto, non fare il classico passaggio da un’opera di culto – e mi riferisco all’opera omnia di Michele [Rech, nda] – a una marchetta di basso profilo. Ma devo ammettere che mentre ci lavoravamo ero convinto che non stessimo correndo quel rischio, un po’ perché siamo tutti puntigliosi, autocritici, se non maniacali. E auspicavo che anche fuori fosse notata la novità, dato che è stata la prima serie animata young adult di Netflix prodotta in Europa, realizzata completamente in Italia. Tutte cose per nulla scontate. Sono stato fermato fisicamente da più produttori e responsabili di canali stranieri, quando ero a Cannes e Annecy, per dirmi “grazie per questo progetto”, “anche noi ora possiamo provare a proporre questi titoli”. Il riscontro è stato potentissimo. Le polemiche sono state una manna dal cielo: se si attaccano a quello, ok, è perfetto. Facendo una seconda serie sapevamo di esporci alla questione classica del “secondo album di un artista”, per Zerocalcare e anche per noi. E a quel punto abbiamo deciso in primis di non fare una seconda stagione, e poi di fare una storia più profonda, più personale nel suo essere sociale, in cui c’è tutto il peso della vita adulta vera, della non mistificazione di mondi e ideologie. Ed è stato un lavoro titanico, intenso…

Questo mondo non mi renderà cattivo è una serie più adulta e politica rispetto alla prima: tutto ruota intorno alla questione del fascismo, del razzismo, della dipendenza dalle droghe… Zerocalcare (che firma sempre regia e sceneggiatura) ha cercato di fare quello che fa con i suoi fumetti, portare il suo pubblico ad ascoltarlo su temi di fatto ancora scomodi. Immagino quindi non sia stata una sorpresa quando Michele è venuto da voi presentandovi questa storia.

Non c’è stata una sorpresa perché c’erano stati una serie di indizi e di discorsi, riguardo al cosa avremmo fatto dopo Strappare lungo i bordi, già mentre lavoravamo a quella serie… Ma neanche Netflix è rimasta sorpresa, e questo è importante. Bisognava evitare di diventare un clone di quello che le persone si aspettano, cioè l’“uomo per tutte le stagioni”, e Michele doveva essere se stesso, perché è sempre stata quella la sua forza. La storia poi, se l’analizzi bene, non è politica… Mi spiego: noi siamo esseri politici ma ci siamo disabituati ad avere una dimensione sociale e politica quando comunichiamo con gli altri. Se si fa un lavoro creativo si è sempre politici, si ha sempre un punto di vista. Oggi ci siamo dimenticati di questo perché politica è una parola sporca, brutta, ideologica, identitaria, mentre in realtà è nobile. Non ci sono più autori, se non pochissimi, che dicono come vedono il mondo. Non è un delitto ma non ci siamo più abituati. Per questo era giusto fare questa storia… C’è stato un momento, quando stavamo lavorando alla sceneggiatura, in cui ho detto “ammazza, stiamo facendo un’opera vintage”, perché ormai di questi argomenti non parla più nessuno: c’è la guerra, i problemi sociali delle periferie e gli sbarchi sono spariti… E invece, tristemente, questi temi tornano a essere, ciclicamente, di un’attualità drammatica. Michele è un intellettuale e serve che gli intellettuali prendano una posizione.

Anche nella nuova serie emerge sempre un forte desiderio di farci entrare non solo nel mondo di Zerocalcare ma proprio nella sua testa. Tramite il doppiaggio, le lunghe digressioni, le citazioni e i tanti riferimenti alla cultura pop. Riuscire a tenere tutto insieme, in una narrazione veloce, non è semplice. Come avete lavorato in tal senso? 

La chiave era evitare l’effetto minestrone, o l’esercizio di stile, cosa molto comune per chi lavora come noi nell’animazione: il rischio è fare un bellissimo videoclip che però non è guidato dal contenuto. Così abbiamo riflettuto molto sul ritmo… Questo mondo non mi renderà cattivo è stato ancora più complesso, come una corsa a ostacoli, con tanti cambi di ritmo. E nonostante la centralità del personaggio di Zerocalcare, per la prima volta abbiamo dei momenti di completo protagonismo degli altri, con delle sfaccettature maggiori. Per questo abbiamo inserito delle pause musicali, dei momenti un po’ di puro cinema, per dare il giusto tempo al racconto dei protagonisti, vecchi e nuovi. Spero si veda… 

“Se si fa un lavoro creativo si è sempre politici, si ha sempre un punto di vista. Oggi ci siamo dimenticati di questo perché politica è una parola sporca, brutta, ideologica, identitaria, mentre in realtà è nobile. Non ci sono più autori, se non pochissimi, che dicono come vedono il mondo. Non è un delitto ma non ci siamo più abituati. Per questo era giusto fare questa storia.”

Con il personaggio di Sarah avete fatto sicuramente un salto nella scrittura molto interessante, dandole una maggiore caratterizzazione rispetto alla prima serie, in cui era più subalterna… 

Pensa che fino al terzo episodio, stendendo gli animatic [le sequenze disegnate che compongono uno storyboard animato, nda], abbiamo avuto la sensazione che non fossero perfetti, e abbiamo scambiato, montato e rimontato. Nel momento in cui c’è questo crollo delle certezze del personaggio di Michele, che sono appunto completamente infondate, nei confronti di Sarah, c’è un cambio nel percepito. Abbiamo fatto un lavoro certosino, di confronto continuo, e a un certo punto ci siamo dovuti fermare. Ci siamo detti: “se non mi fermo adesso, e non ci penso su, faccio il male della serie”. Da produttore, è stato molto scomodo… Ma c’era davvero il rischio di buttare alle ortiche quei tre passaggi psicologici – il percepito di Zerocalcare, la reazione di Zerocalcare e quella di Sarah – che sono il centro della storia.

Non possiamo non parlare delle musiche. Zerocalcare tiene molto alla scelta delle canzoni, e anche nella nuova serie si vede che c’è una grande cura. Si passa dai Clash agli Hanson e a Max Pezzali. Ci racconti un po’ come avete lavorato sulla colonna sonora, e anche sulla scelta della canzone che dà il titolo alla serie?

Come sempre Michele arriva già in sceneggiatura con le canzoni che vorrebbe. Poi non sempre ci sono concesse tutte, ma nel complesso ci confrontiamo sulla scelta dei brani, su quale mood musicale dare a certe scene… Per quanto riguarda il brano di Path [cantautore romano, nda], che dà il titolo alla serie, si tratta di un pezzo profondamente locale, che per certi versi spiega il senso della serie, ed è perfetto. La sigla invece è sempre firmata da Giancane, che ci ha dato un brano perfettamente nel mood che stavamo cercando, e che dice tanto non solo della serie ma anche del momento in cui ci troviamo.

Una novità interessante della seconda serie è la presenza di alcune scene girate in stop-motion, una tecnica di animazione particolare e piuttosto impegnativa. Perché questa scelta?

La stop-motion è una tecnica stupenda, storica e per noi perfetta per descrivere momenti particolarmente didascalici, la spiegazione su come sono gestite una serie di problematiche sociali. L’idea era giocare con la matericità del cartone, dato che si parla di persone trattate come pacchi postali. E questa è stata una nostra proposta che abbiamo fatto a Michele. Narrativamente si crea un effetto divertente ma anche di straniamento, che ti colpisce. In modo comico e piccato, ci ha permesso di descrivere l’iconografia dei personaggi coinvolti. Poi volevamo anche divertirci, e usare più tecniche serve sempre a ricordare che l’animazione è un modo unico di raccontare la realtà, che nel suo stile veicola già un messaggio.

Se non sbaglio anche Questo mondo non mi renderà cattivo è stata realizzata per larga parte con la tecnica di animazione paperless – disegnando ogni singolo frame su una tavoletta grafica – e una parte minore con l’animazione cut-out – in cui si crea una specie di marionetta scomposta in tanti pezzi, velocizzando quindi il lavoro. Dal punto di vista pratico, in termini di tempi, risorse, cosa vuol dire fare una serie animata di questo tipo?

In realtà, l’idea iniziale è che anche Strappare lungo i bordi fosse realizzata in larga parte in cut-out ma dopo aver lavorato allo storyboard, ci siamo resi conto che avevamo bisogno di più disegno in paperless: un’animazione più fluida, ma anche più rischiosa, perché c’è sempre il pericolo di perdere il modello preciso del personaggio, che è ridisegnato a ogni nuovo movimento. Noi però volevamo spingere di più sul linguaggio cinematografico, essere anche liberi di fare diversi tipi di inquadrature. Nella serie poi ci sono veramente tantissimi personaggi, props, cioè oggetti di scena, elementi che cambiano… E paradossalmente, creare un rig – cioè, quello scheletro che ti permette di muovere la marionetta – può portarti via un mese, ma se si tratta di un personaggio in secondo piano che, tanto per dire, dice solo “hurrà!”, tanto vale che me lo disegno ed è fatta. Questo significa che bisogna avere delle squadre di animatori mescolate con il bilancino. Un altro rischio poi era quello di animare troppo, perdendo in termini di espressività, e facendo un’animazione troppo fluida alla Disney. Per evitare questo abbiamo fatto solo per la testa dei personaggi principali dei rig molto dettagliati, in modo che gli animatori non perdessero tempo a dettagliare il volto, dove ti accorgi sempre se c’è un errore. Da un lato tutto questo è stato molto stressante ma per il nostro studio d’animazione, Doghead Animation, è stata una base che ci ha permesso di lavorare meglio ad altre serie, avendo elaborato questa tecnica ibrida. 

Movimenti Production è nata nel 2004. Sempre con Davide Rosio, nel 2018 hai fondato anche lo studio Doghead Animation, e dallo scorso anno siete entrati a far parte della divisione Kids & Family della casa di produzione e distribuzione Banijay. Avete fatto un salto importante… Cosa è cambiato?

Banijay è un gruppo molto grande, storicamente concentrato sull’unscripted, ma che ha iniziato ad approcciare lo scripted qualche anno fa, e quindi c’è stata una serie di acquisizioni di società strategiche e iconiche a livello internazionale – penso a Tiger Aspect Productions, che ha prodotto Peaky Blinders e Mr. Bean… In Italia, di recente hanno acquisito Groenlandia, e per noi era un’opportunità per entrare in un gruppo che stava consolidando il dipartimento Kids & Family, basato tra Parigi e Londra. E che ci permette una distribuzione internazionale dei nostri titoli agevolata, una sostenibilità finanziaria durante le produzioni e poi di confrontarci con gli altri produttori a livello internazionale, per scambiarci idee e condividere progetti. Banijay ha produttori indipendenti che lavorano come un network, e ha creduto nel nostro approccio: tenere in casa la nostra creatività, con uno studio di animazione a Firenze, e poi mantenere la nostra autonomia. Adesso stiamo co-producendo, con Rai, Bbc e Tiger Aspect, una serie bellissima, Super Happy Magic Forest, di cui stiamo facendo la parte di grafica e animazione, interamente in Italia. Stiamo facendo l’animazione della nuova stagione di Totally Spies! e co-producendo un nostro titolo originale, con partner inglesi e francesi, Minieroi della foresta, e questo è il frutto di queste relazioni.

“La chiave era evitare l’effetto minestrone, l’esercizio di stile, cosa molto comune nell’animazione: il rischio è fare un bellissimo videoclip che però non è guidato dal contenuto. Così abbiamo riflettuto molto sul ritmo… Questo mondo non mi renderà cattivo è stato complesso, come una corsa a ostacoli, con tanti cambi di ritmo. E nonostante la centralità del personaggio di Zerocalcare, per la prima volta abbiamo dei momenti di completo protagonismo degli altri, con delle sfaccettature maggiori”.

Quando si parla di animazione, Stati Uniti e Giappone sono i due colossi dell’industria, seguiti a ruota dalla Francia che rimane leader indiscussa a livello europeo. Di recente, Asifa ha ideato il progetto Mani che tra le tante cose ha fatto un censimento dei professionisti del settore (al momento sul sito si contano neanche mille tra professionisti e studenti, contro la Francia in cui operano oltre 7.700 soggetti). Insomma, a che punto è l’animazione in Italia secondo te? 

Questa è una domanda trabocchetto [ride, nda]. Sicuramente è cambiato il percepito: prima si pensava non si potesse fare quel tipo di animazione, con quella qualità, quel potenziale di esportazione, quel linguaggio. Il dato empirico ha scompaginato quello teorico, e ci si è resi conto che il pubblico era composto da persone che vivono di videogame, graphic novel, stories su Instagram, e se ne fregano del linguaggio con cui è fatto un prodotto, a patto che sia potente per loro. Broadcaster e piattaforme hanno capito che questo funziona, ma c’è ancora un timore sostanziale… Non c’è ancora quell’impulso all’animazione, la si considera ancora qualcosa di diverso dal live action. A parte la Rai, non c’è una storia, non c’è mai stato un impegno strutturale, finanziario, continuativo: l’animazione è sempre stata una realtà artigianale, autoriale… Da quando ho 25 anni vado a tutti i festival e mercati, e mi ricordo di quando, le prime volte, fingevo di stare al telefono se non avevo appuntamenti. Perché venivo dall’Italia, nessuno mi filava… Non abbiamo svoltato del tutto, ma è nata una consapevolezza maggiore e tutti devono fare la loro parte. La Rai, l’unica che ci ha permesso di esistere come produttori, non ha un mandato per un’animazione che non sia per il target kids… E questo toglie tantissimo. 

A quali altri progetti state lavorando? Avete in produzione il film d’animazione Becco di Rame, tratto dall’omonima fiaba di Alberto Briganti, e da una storia vera…

Sarà il nostro primo lungometraggio, e ne stiamo completando il finanziamento. È una storia super locale, italianissima, co-prodotta con Ideacinema, e quando l’abbiamo presentata al Cartoon Movie di Bordeaux è risultato il terzo progetto più votato, ed eravamo gli unici italiani tra inglesi e francesi: siamo molto contenti. Il film parla di handicap e diversità ma è una pura comedy, quasi un mockumentary. Su questo genere stiamo sviluppando anche la serie Spooky Wolf: scritta e ideata da noi, che andrà in onda sulla Rai e sarà poi distribuita in tutto il mondo, per chi ha più di sei anni. Tra l’altro è realizzata in 2D ma con ambientazione live action/3D e parla di diversità con un taglio comico. Per quanto riguarda gli altri progetti, posso dirti che stiamo girando la nostra prima serie kids live action, Sfidiamoci, che sarà una sorta di “Scrubs per bambini”. Quanto alle collaborazioni internazionali, con Warner Bros Discovery stiamo lavorando al film animato Merry Little Batman, uno spin-off natalizio su Batman: sarà disponibile su Prime Video e il nostro studio Doghead realizza una parte consistente dell’animazione.

Ho una curiosità: è vero che Zerocalcare venne da voi, nei vostri studi, prima di lavorare insieme, a studiare animazione?

Sì, è vero. Aveva iniziato da solo, usando software non particolarmente performanti, e un amico comune, Federico Vallarino [il fondatore dello studio di animazione Vallaround Creative Contents, nda], gli disse di passare a Toon Boom Harmony, che è il programma che usiamo noi e viene usato a livello internazionale. Per comodità logistica si incontravano da noi, facendo queste piccole lezioni nei nostri studi a Firenze. Ma spesso è venuto anche negli uffici di Roma, dove c’è la parte editoriale, ma loro andavano lì, con i computer… Una volta è andato a Roma, e un collega mi chiama e mi dice, “guarda che è arrivato un ragazzo, in bermuda, sarà un tuo studente”, e io “no, guarda, è Zerocalcare, fallo entrare”. Un’altra volta, invece, a Firenze, uno dei nostri ragazzi viene da me e mi chiede: “ma avete assunto Zerocalcare? Non vende più?”, e io “guarda, è un periodo nero, non farglielo pesare…” [ride].


Manuela Stacca

Laureata presso l'Università di Sassari, si occupa di critica cinematografica e televisiva per alcune testate online.

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