Dopo anni in cui si trattava solo di eccezioni, l’amicizia tra donne è al centro di molte narrazioni contemporanee. Anche grazie alle showrunner.
Riuscire a trovare storie sull’amicizia tra donne è sempre stato difficile. Lo scriveva anche Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé, riguardo alla letteratura: “Cercai di ricordare qualche caso incontrato nel corso delle mie letture, in cui due donne venissero rappresentate come amiche […]. Ogni tanto sono madre e figlia. Ma, quasi senza eccezioni, sono mostrate nei loro rapporti con gli uomini”. Non molto diversa è la situazione al cinema e nelle serie tv: Thelma & Louise, Golden Girls e Sex and the City, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Duemila sono rimasti a lungo dei casi isolati. E ancora oggi sono tra le rare storie entrate nell’immaginario collettivo che hanno al centro relazioni tra donne.
Negli ultimi anni, però, la serialità è cambiata sensibilmente. Joy Press, nel suo Stealing the Show: How Women Are Revolutionizing Television, spiega che la nuova ondata del femminismo è andata di pari passo con l’aumento delle donne della tv, dietro e davanti allo schermo. La televisione ha iniziato a offrire rappresentazioni più diverse e variegate dell’esperienza femminile. Complice una maggiore esplorazione del female gaze e una nuova generazione di produttrici e showrunner, le serie tv sono tornate a mettere in scena anche la sorellanza e l’amicizia femminile. Con donne fuori dal comune, libere, irriverenti, alleate.
Amiche anarchiche
Nel 2014 su Comedy Central fa capolino Broad City, comedy nata inizialmente come webserie, creata e interpretata da Ilana Glazer e Abbi Jacobson. Segue le (dis)avventure rocambolesche e surreali di due migliori amiche ebree, alter ego delle autrici, che vivono a New York, tra lavori insoddisfacenti, incontri occasionali e coinquilini invadenti. Entrambe sono due millennial incasinate, anarchiche, sboccate, prive di pudore, sessualmente attive e amanti delle canne. Le due protagoniste condividono tutto, anche i momenti più bizzarri e personali. Nella prima scena del pilota, Ilana parla con Abbi in videochat e sembra stia ballando. In realtà, sta facendo sesso e il pc si trova sulla pancia del partner. A quel punto Abbi, senza imbarazzo o fastidio, dice all’amica che non vuole vederla mentre fa sesso e le chiede di stabilire dei confini. In questa scena di apertura – una dichiarazione d’intenti – c’è già tutta l’irriverenza e la sregolatezza che contraddistingue il rapporto tra le due.
“Quando abbiamo iniziato a lavorare alla web serie”, ha raccontato Jacobson, “questa è venuta fuori dal sentirci davvero impotenti nel diventare ciò che volevamo diventare, dal non essere in grado di ottenere parti o essere viste o sentite come attrici o comiche”. Dopo cinque stagioni di Broad City, le due creatrici non solo sono state promosse a pieni voti dalla critica, ma hanno segnato profondamente la serialità. Rompendo numerosi stereotipi e tabù. D’altro canto, la serie è coprodotta da Amy Poehler, tra le migliori comiche in circolazione, subito conquistata da Glazer e Jacobson: “Non ce ne sono abbastanza come loro in tv”, ha dichiarato al New Yorker. Donne dal rapporto sincero, folle e anticonvenzionale, che si supportano, si prendono cura a vicenda e sanno tutto l’uno dell’altra: “Mi mandi un messaggio ogni volta che vai in bagno. So del tuo brufolo sul capezzolo e sono io che tengo la tua tessera di previdenza sociale”, dice Abbi a Ilana in un episodio. Di rado si dicono bugie ma se accade – si pensi all’episodio omaggio a Mrs. Doubtfire della terza stagione – ciò non compromette mai la loro amicizia.
Come ha dichiarato Poehler, “lo show è la storia d’amore tra Abbi e Ilana”. E in questo rapporto simbiotico, estensione di quello vissuto nella vita, le creatrici hanno smontato i principali cliché da sempre attribuiti all’amicizia femminile, come l’incapacità di costruire una relazione solida e duratura perché minata da gelosie, invidie e rivalità. In A Passion for Friends: Toward a Philosophy of Female Affection, Janice G. Raymond afferma che dietro lo “smembramento” della tradizione dell’amicizia tra donne c’è la cultura patriarcale che spinge a rinunciare all’amor proprio e vivere in funzione dell’uomo: “Le donne che non amano se stesse non possono amare le altre simili a loro”. Viceversa, le protagoniste di Broad City sono fiere, orgogliose, audaci. E si amano al limite della venerazione. Ilana è molto protettiva e possessiva nei confronti di Abbi, e non nasconde la sua attrazione fisica verso l’amica. Ma questo “amore saffico” non è mai un ostacolo. Anzi, viene normalizzato all’interno della relazione amicale tra due donne libere ma indivisibili, che si completano a vicenda: “Sei la mia persona preferita”, dice Abbi nella quarta stagione a Ilana, che risponde, “Oh mio Dio, anche tu. Sei tutto per me”.
Donne dal rapporto sincero, folle e anticonvenzionale, che si supportano, si prendono cura a vicenda e sanno tutto l’uno dell’altra: “Mi mandi un messaggio ogni volta che vai in bagno. So del tuo brufolo sul capezzolo e sono io che tengo la tua tessera di previdenza sociale”, dice Abbi a Ilana in un episodio. Di rado si dicono bugie ma se accade ciò non compromette mai la loro amicizia.
Il lato oscuro
Sempre più impegnata e dichiaratamente femminista, Broad City nel tempo si è confermata un ottimo esempio di rappresentazione femminile, superando brillantemente il test di Bechdel – ideato dalla fumettista Alison Bechdel nel 1985, utile a valutare la presenza delle donne in un prodotto audiovisivo. Tra le serie in onda, non sono tante quelle che riescono a passarlo. Ma tra queste c’è anche Clique, serie inglese creata da Jess Brittain per Bbc Three che ruota intorno all’amicizia tra donne. Protagonista della storia è Holly, studentessa universitaria, molto amica di Georgia, a cui è legata sin dall’infanzia. Tra party glamour, droga e sesso occasionale, la serie pare un incrocio tra Skins e Gossip Girl. In realtà, è un thriller psicologico che esplora l’amicizia femminile, l’ambizione, le molestie sessuali, il maschilismo e l’alt-right.
La prima stagione si concentra sulle indagini di Holly su una potente cricca femminista, legata a una serie di scandali finanziari e abusi sessuali, di cui è vittima anche Georgia. La protagonista fa di tutto per metterla in guardia e aiutarla. Ma nel tentativo di salvarla, resta invischiata in suicidi e omicidi e scopre di essere lei stessa parte di un gioco più grande orchestrato da Rachel, una delle ragazze della cricca. Solo nel season finale la giovane si rivela una vecchia amica di Holly, una sociopatica ossessionata dal desiderio di riunirsi con lei, che riporta a galla un trauma del passato: la morte di una bambina, annegata a seguito di una scommessa ideata proprio da Holly e Rachel. Ma se la prima rinnega e rimpiange da sempre quell’atto, la seconda lo rivendica con decisione e prova a replicarlo, tentando di uccidere Georgia. Ne nasce una feroce lotta tra le tre ragazze, metafora del conflitto interiore vissuto da Holly, sempre più divisa tra passato e presente. Tra chi vorrebbe essere e chi è veramente.
Nel 2017, all’uscita della prima stagione, Brittain ha dichiarato: “Penso che l’amicizia femminile non sia stata esplorata molto ma sentivo fortemente che era una parte centrale della mia gioventù”. Anche Clique, come Broad City, si ispira direttamente alle esperienze personali dell’autrice in fatto di amicizie. Ma non è l’unica. Negli ultimi anni, sono tante le serie tv inglesi, create da donne, che partono da storie intime e personali. Ne sono un esempio Derry Girls, comedy creata da Lisa McGee, con protagoniste un gruppo di amiche irlandesi; Fleabag, one woman show di e con Phoebe Waller-Bridge, nel ruolo di una donna cinica, ossessionata dal sesso e distrutta a causa della morte della sua migliore amica. Ma anche le serie americane Crazy Ex-Girlfriend, Insecure e Smilf. Viceversa, Clique ne indaga il lato oscuro e tossico. “Holly e Rachel sono la relazione centrale”, ha dichiarato Brittain. La matrice narrativa principale è il loro legame ambiguo e pericoloso, al limite, che le allontana e le attrae senza sosta, come dimostra ancor più la seconda stagione. Qui Holly indaga su un caso di violenza sessuale legato a una cricca di maschi maschilisti e misogini; inizia a frequentare un ragazzo affascinante e enigmatico, ma poi torna sempre da Rachel: le fa visita in prigione, le chiede consiglio e aiuto, e alla fine ogni altro interesse, pure amoroso, finisce per svanire. “Sono l’unica a cui dici la verità”, dice Rachel a Holly, l’unica con cui può essere se stessa e a cui può confessare pensieri e desideri. Anche quelli più vergognosi e amorali.
Unite contro il patriarcato
L’amicizia femminile totalizzante, travagliata e contraddittoria è il fulcro anche de L’amica geniale. Tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, la serie racconta la storia di Elena “Lenù” Greco e Raffaella “Lila” Cerullo e della loro lunga amicizia, durata una vita intera. Tutto inizia con la scomparsa di Lila, a 66 anni, e la decisione di Elena di “sfidarla”, decidendo di scrivere la loro storia dal principio. Le due donne si sono conosciute da bambine in prima elementare. Sono cresciute in un rione di Napoli nel secondo dopoguerra, tra povertà, violenza e degrado. Lenù e Lila però dimostrano di mal tollerare le convenzioni dell’epoca, e unite dalla stessa ambizione, desiderio di riscatto ed emancipazione, diventano inseparabili. “Sentivo che quella bambina mi attraeva mentre tutti gli altri la fuggivano”, racconta Elena.
A unirle è anche la spiccata intelligenza – Lenù e Lila sono le migliori della classe – e il carattere all’apparenza antitetico: la prima è timida, insicura ma caparbia; la seconda è testarda, aggressiva e problematica. Ed è su questa diversità e affinità che si basa la loro intesa e il difficile rapporto fatto di continui alti e bassi, di amore e odio, di grande solidarietà e aperta competizione. Specie nel momento in cui Lila si vede negata la possibilità di proseguire gli studi, concessa invece a Lenù, e inizia a studiare da sola latino e greco: “Quando ricominciarono le scuole da un lato soffrì molto, perché sapevo che non avrei avuto più tempo per Lila. Dall’altro ero felice proprio di sottrarmi a lei”, dice Elena. Oltre alla voglia di sfidarsi, c’è quella di influenzarsi e supportarsi a vicenda. Soprattutto se si tratta di ribellarsi alle regole del rione e a un sistema patriarcale che tenta di controllarle e metterle a tacere: “Qualunque cosa succeda tu continua a studiare”, dice Lila a Elena. “Tu sei la mia amica geniale. Devi diventare la più brava di tutti. Maschi e femmine”.
Ma mentre Elena prosegue gli studi fino al liceo, Lila lavora nella bottega del padre calzolaio e inizia ad attirare l’attenzione dei ragazzi del quartiere. Su tutti, Marcello Solara, camorrista del rione, intenzionato a sposarla. Lila, per nulla interessata, rifiuta la proposta di matrimonio, subendo le minacce di Marcello e l’ira del padre, preoccupato delle possibili ritorsioni dei Solara. A sostenerla dall’inizio alla fine è Lenù: l’unica a rimanere al suo fianco, a confortarla e difenderla da critiche e diffamazioni. Nonostante tutto e tutti. “Credevo che ci saremmo fidanzati, che saremmo stati sempre insieme. Tutti e tre. Io, tu e la tua amica”, dice Nino a Lenù, confessando di aver sempre invidiato la loro amicizia. Un legame viscerale, intimo ed esclusivo tra due bambine, ragazze e poi donne che vivono l’una per l’altra e si completano.
Ancora di salvezza
In una società che ha sempre guardato con sospetto l’amicizia femminile, che educa le donne a mettere in primo piano il matrimonio e le relazioni con l’altro sesso, la saga bestseller de L’amica geniale (pubblicata dal 2011) segna uno spartiacque nella letteratura. Allo stesso modo, la serie diretta da Saverio Costanzo ha rotto la triade Stato-Mafia-Chiesa, con una storia amicale autentica e realistica. Dietro la serie, oltre al regista, ci sono Laura Paolucci, Francesco Piccolo e la stessa Elena Ferrante, che hanno scritto insieme a Costanzo, cercando di rispettare “la densità letteraria del testo” e il punto di vista femminile. C’è Eleonora Andreatta, direttrice di Rai Fiction, che dal 2012 ha lavorato per rappresentare in maniera più realistica e variegata la figura femminile. L’amica geniale, però, non è l’unica serie italiana ad aver tracciato una nuova direzione. Un ritratto interessante dell’amicizia è messo in scena anche da Baby di Netflix: una serie tv liberamente ispirata allo scandalo delle baby squillo dei Parioli, che segue le vicende di adolescenti allo sbando. Tra loro ci sono Chiara e Ludovica, protagoniste della storia: la prima incarna la ragazza perbene, dal carattere mite e tranquillo; la seconda è ribelle, sfrontata e problematica, tacciata da tutti come la “troia” della scuola. Due ragazze all’apparenza diverse ma che in realtà condividono la stessa frustrazione per il “mondo dorato” che le circonda, pieno di bugie, meschinità e falsità.
Anche in questo caso, è interessante notare come dietro alla serie ci sia un collettivo di ragazzi e ragazze (età media 24 anni), dal nome GRAMS, che ha scritto il soggetto insieme a Isabella Aguilar e Giacomo Durzi, con la regia di Andrea De Sica, Anna Negri e Letizia Lamartire. “Il nostro obiettivo, dentro e fuori dallo schermo, è coinvolgere i ragazzi, far parlare loro, realizzare una serie che avesse la nostra energia”, ha spiegato la sceneggiatrice Eleonora Trucchi. Ma se la fotografia del disagio giovanile è riuscita solo in parte, è nella narrazione del rapporto complementare tra Chiara e Ludovica che la serie dà il meglio di sè. Le due protagoniste si difendono a vicenda, si confidano segreti, sogni, e diventano l’una l’ancora di salvezza dell’altra: nel quinto episodio, quando Chiara vede Damiano – di cui è innamorata – entrare nel locale notturno, Ludovica tenta in tutti i modi di coprire l’amica, attirando l’attenzione su di sé e tentando di distrarre Saverio, il procacciatore dei loro clienti. Nell’ultimo episodio, è Chiara a correre in aiuto di Ludovica, dopo aver scoperto che ha subìto un tentato stupro. Come Lenù e Lila, anche le protagoniste di Baby stringono una forte alleanza, spinte dalla diversità rispetto ai loro coetanei e da quella voglia di evadere ed esprimere se stesse liberamente. “Per noi la loro amicizia è il cuore della serie”, dice Trucchi. Perché rappresenta per entrambe “una liberazione, un posto dove sei al sicuro, dove puoi essere te stessa al 100%”.
Cambio di sguardo
L’8 febbraio 2019 Hulu ha rilasciato Pen15, teen comedy creata e interpretata da Maya Erskine e Anna Konkle, centrata sulle vicende semi-autobiografiche di due migliori amiche, appena entrate in seconda media. Ciò che rende la serie interessante è un espediente bizzarro ma riuscito: l’idea delle due autrici (trentenni) di interpretare se stesse a 13 anni, circondate da attori tredicenni, alle soglie del 2000. Anche qui, ritorna l’amicizia femminile come relazione di dipendenza, morbosa e ossessiva: i nomignoli – Maya diventa “My” e Anna “Na” –, il rapporto vissuto come porto sicuro e il legame esclusivo che crea un “noi” separato dal resto del mondo: “Tu sei la mia penna arcobaleno in un mare pieno di penne blu e nere”, dice Na a Maya. C’è, ancora, un amore platonico tra amiche che diventano una persona sola, si promettono di “fare tutto insieme” o si infilano per gioco nella stessa maglietta larga e deformata.
Pen15 fonde l’irriverenza di Broad City e il realismo de L’amica geniale. Ribalta il teen drama con un nuovo sguardo femminile, riscrive archetipi – il primo bacio, il rapporto conflittuale con il corpo, la scoperta del sesso, rompe tabù – la masturbazione, le mestruazioni. E ovviamente celebra l’amicizia femminile: autentica, sincera, salda e vulnerabile, frustrante e piena di gioia. Indispensabile. Come ha detto Konkle, protagonista di un evento traumatico (il divorzio dei genitori), “si tratta di migliori amiche che stanno attraversando un periodo orribile, ma ci sono l’una per l’altra, quindi è anche il momento migliore della loro vita”. Indicativa è la relazione con i ragazzi: My e Na al pari delle loro coetanee fantasticano sul primo bacio, sul primo fidanzato, sul fare sesso. Ma il rapporto che hanno rimane sempre centrale: se Maya e Anna litigano, infatti, lo fanno perché viene meno il patto di condivisione sancito tra loro.
L’amicizia femminile è una relazione di dipendenza, morbosa e ossessiva: i nomignoli, il rapporto vissuto come porto sicuro e il legame esclusivo che crea un “noi” separato dal resto del mondo. C’è, ancora, un amore platonico tra amiche che diventano una persona sola, si promettono di “fare tutto insieme” o si infilano per gioco nella stessa maglietta larga e deformata.
Difficult women
Pen15 è l’ennesima dimostrazione di come la serialità è tornata a raccontare storie sull’amicizia tra donne, anche grazie a una generazione nuova di autrici del piccolo schermo. Secondo uno studio del Center for the Study of Women in Television and Film, nella stagione 2017-18, le donne erano il 40% dei produttori, il 22% dei creatori, il 25% degli sceneggiatori e il 40% dei personaggi principali. Ma c’è un altro dato rilevante: le serie con almeno una donna creatrice o produttrice esecutiva hanno visto aumentare le sceneggiatrici (45% contro il 16%) e le attrici in ruoli principali (42% contro il 33%). La strada per la parità di genere in tv è ancora lunga e tutt’altro che scontata. Eppure, come dimostrano queste serie, oggi è in atto quello che Joy Press definisce un “circolo in continua espansione”. Un torrente di nuove narrazioni capaci di ispirare le prossime generazioni di donne, perché spinte dalla voglia di raccontare la realtà e le esperienze personali dal proprio punto di vista; di creare personaggi originali e non stereotipati; di prendersi uno spazio per anni occupato e dominato dai maschi con i loro antieroi, cattivi e “difficult men”. La vera rivoluzione allora non è più nel protagonismo femminile o nelle “difficult women”, ma nella rappresentazione della sorellanza e dell’amicizia femminile. Quella che – come dice Ferrante – “ha la ricchezza, la complessità, le contraddizioni e le incoerenze dell’amore”.
Manuela Stacca
Laureata presso l'Università di Sassari, si occupa di critica cinematografica e televisiva per alcune testate online.
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