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Tecniche

Un sound design silente

Come si rappresenta il silenzio al cinema? Come si costruisce uno spazio sonoro fatto di sottrazione, come quello di una persona non udente? Il cinema e la tv più recenti si stanno ponendo il problema.

“Il silenzio non è acustico, è uno stato d’animo, un voltarsi indietro”, scriveva John Cage. La rappresentazione sonora cinematografica ha da sempre seguito convenzioni, espedienti tecnici che conservassero la più ampia veridicità nella trasposizione audiovisiva. Secondo Michel Chion, teorico dell’ascolto e dall’audiovisivo, la definizione acustica di un prodotto cinematografico o televisivo si è sempre manifestata nell’immagine stessa che si vuole rappresentare: “più si sentono nitidamente le frequenze acute, più la percezione sonora è rapida. Negli anni il suono nel cinema è stato reso definito negli acuti, cosa che ha indotto il pubblico a una percezione sempre più rapida di ciò che si vedeva, favorendo un ritmo estremamente teso, di colpi, di eventi spasmodici, in un corso continuo e omogeneo di eventi”. A favorire questo netto cambiamento di percezione uditiva ha contribuito di certo l’evoluzione tecnologica degli impianti Dolby, standard dell’industria, che ha permesso di ideare sonorità sempre più spazializzate a 360°, ma anche la nascita di un cinema esperienziale dove la colonna sonora è infusa nella totalità, risultando a volte quasi indipendente dal film. Ma in un processo così estremo di sonorizzazione totale, si può iniziare a parlare anche di un nuovo sound design silente?

La voce del silenzio

Come disse Walter Murch, storico tecnico del suono e vincitore di due premi Oscar per Il paziente inglese, il film sonoro perfetto è quello che “non possiede suono”. La provocazione deriva dal fatto che l’assenza di suono può in realtà innalzare le capacità immaginifiche degli spettatori, portandoli a creare nella propria mente il suono ideale: “Si tratta dell’esperienza di ogni persona ed è ovviamente della massima fedeltà immaginabile, perché non è tradotta con nessun tipo di mezzo”. Alla base di questo ragionamento c’è sicuramente il processo percettivo che avveniva negli spettatori dei primi film muti, dove si formava un dialogo sonoro/musicale intimo che permetteva di entrare nella mente di un personaggio narrato e nelle ambientazioni esposte; ancora oggi, nel raccontare la psiche, vanno a scomparire quei suoni ambientali che sono parte narrativa integrante di un prodotto audiovisivo.

È dalla nascita del sonoro che moltissimi ingegneri acustici e poi sound designer si sono interrogati su quale potesse essere la resa migliore per un sound effect da applicare a un’immagine e nel renderla sempre più animata, e in questo il silenzio è diventato il prologo e l’epilogo all’ascolto. Infatti, secondo la sound artist Salomè Voegelin, il silenzio, ancor prima dell’ascolto generico, “rivela i miei suoni: la mia testa, il mio stomaco, il mio corpo diventano il loro conduttore”. In questo processo di evoluzione acustica si inserisce perfettamente quello che Chion definisce “l’audiovisione vuota”. Prendendo a esempio l’ultima opera cinematografica di Tarkovskij del 1987, Sacrificio, Chion spiega come l’ascolto sembri quasi percepito da un orecchio immateriale; lo spettatore può udire quei canti senza quasi accorgersene, poiché nulla nella sequenza rappresentata risponde a quegli stimoli espressi dalla melodia. Il suono è concepito al di là dell’immagine che vuole essere rappresentata.

Alcuni film di successo presentano un’assenza di dialogo e di suoni ambientali. Oltre a un motivo tecnologico e a uno estetico, questa assenza di suono può essere riconducibile a ragioni sociologiche. In un mondo rumoroso dove si è bombardati di suoni di ogni genere, un cinema silenzioso può diventare un nuovo luogo dove potersi rifugiare.

Con il progredire delle fasi di studio nella concezione di un sound design silente, si è visto come sempre più prodotti cinematografici, che non rappresentano però la maggioranza, si stiano orientando verso un cinema più quieto e meno verboso. Steven Zeitchik, giornalista del Los Angeles Times, scriveva già nel 2017 che alcuni titoli come The Shape Of Water di Guillermo Del Toro e A Ghost Story di David Lowery presentavano in larga parte assenza di dialogo e di suoni ambientali. Oltre a un motivo tecnologico, che ha permesso di creare immagini ad alta risoluzione senza costi eccessivi, e a uno estetico, questa assenza di suono può essere riconducibile a ragioni sociologiche. In un mondo rumoroso dove si è bombardati di suoni di ogni genere, un cinema silenzioso può diventare un nuovo luogo dove potersi rifugiare.

Inquinamento acustico

Fautore di questa teoria è il regista Patrick Shen con il documentario In Pursuit Of Silence, dove erano analizzate le implicazioni fisiche e psicologiche derivate dall’inquinamento acustico e l’importanza del silenzio in un mondo cinematografico sempre più caotico. Intervistando medici e tecnici del suono, Shen arriva a dire che “anche se pensiamo di essere abituati al rumore, in realtà lo stiamo solo affrontando”, e invita il mondo del cinema a riformarsi seguendo una nuova linea sempre più sensoriale e meno rumorosa. In un rapporto per Ear, Nose and Throat Journal, anche il dottor Bedolla spiega come alcuni film come Transformers abbiano livelli di 120 decibel per periodi costanti e in alcuni punti arrivino a 130 decibel, provocando alla lunga stress, privazione del sonno e ipertensione. 

In molti casi, il sound design silente è stato usato erroneamente per rappresentare personaggi non udenti, perdendo di vista il fatto che l’interpretazione sonora fosse in realtà esercitata da persone udenti, compresi gli attori, e questo comportava una raffigurazione fuorviante nella narrazione della comunità sordomuta, da sempre ritratta sul grande schermo in modo marginale e sintetico. Abbey Marra, ricercatrice dell’Università di Rochester, ha dedicato al tema un esaustivo saggio dal titolo: “Deaf Culture in Hollywood. American Sign Language on Screen”. Analizzando la rappresentazione cinematografica della comunità sordomuta, Marra sottolinea che fino a quando l’industria audiovisiva non riconoscerà che l’identità dei sordi comprende qualcosa di più della perdita dell’udito, questa cultura sarà rappresentata in modo errato. Marra, pur riconoscendo che sia nel 1987 con Figli di un Dio minore, che vide il coinvolgimento di attori realmente sordomuti come l’attrice Marlee Matlin, vincitrice del Premio Oscar come Miglior Attrice, sia nel 2017 con Worderstruk, incentrato sulle vicende di due bambini sordomuti, c’è stata un’evoluzione nella rappresentazione della sordità, spiega che il mondo cinematografico non ha ancora fatto quel salto di qualità che invece l’industria televisiva ha già avviato, infrangendo molti stereotipi legati alla comunità sordomuta. 

L’episodio “New York, I Love You” della Master Of None è particolarmente riuscito: “si svolge in un solo giorno a New York City e segue le vicende di un portiere di hotel, una cassiera sorda e un tassista. La telecamera ingrandisce Maya (Treshelle Edmond) dietro il registratore di cassa e ci rendiamo subito conto che, impegnata a inviare messaggi, è ignara di un cliente in avvicinamento. Dopo aver atteso che lei lo notasse, il cliente pronuncia alcune righe di dialogo per fare conversazione, prima di agitare le mani per attirare la sua attenzione. Durante l’incontro, gli spettatori sono saldamente posizionati nel mondo silenzioso di Maya: cosa diavolo ha cercato di dire quest’uomo? Dopo il suo turno di lavoro, Maya si avvicina a Central Park per incontrare un amico sordo per un caffè. Ancora una volta, questa scena si svolge in completo silenzio, mentre guardiamo i due amici litigare in ASL. Non si sentono nemmeno i rumori frenetici di Central Park”. Nei tre anni successivi allo studio di Marra, sono stati fatti notevoli passi avanti nella rappresentazione sonora realistica di cosa comporti la perdita dell’udito e di come questa possa essere raccontata con determinate frequenze e un utilizzo realistico del silenzio.

Sound of Metal

Già in Babel di Alejandro Gonzalez Innaritu si notavano dei primi elementi acustici che coinvolgevano lo spettatore nell’esperienza vera di una persona non udente, ma una perfetta raffigurazione e realizzazione si trova soprattutto in un film uscito alla fine del 2020, Sound Of Metal. Diretto da Darius Marder, racconta la graduale perdita dell’udito di Ruben (Riz Ahmed), batterista punk metal, e l’accettazione della sua nuova realtà uditiva all’interno di una comunità di non udenti che gli insegnerà a vedere come la sordità non sia un reale handicap ma l’inizio di una nuova identità. Marder, con l’aiuto fondamentale del sound designer Nicolas Becker, voleva riportare fedelmente quelle che sono le sensazioni uditive scaturite dalla perdita dell’udito, e catturare lo spettatore coinvolgendolo in prima persona. Il cambiamento uditivo è l’elemento narrativo fondamentale per comprendere il film.

Per Sound of Metal, Nicolas Becker, con precise tecniche di registrazione come l’utilizzo di microfoni stereoscopici in teschi ed elmi, vuole “sperimentare una sensazione di smorzamento acustico. Quando sei sott’acqua, i tuoi timpani non funzionano. Ciò che senti sott’acqua è la vibrazione che ricevi nel tuo corpo e nelle ossa. In un certo senso, il cervello è in grado di ricostruire il suono attraverso il corpo”.

Becker, già conosciuto per la sua ricerca esperienziale sonora evidenziata in Gravity e Arrival, ha studiato attentamente i risultati di ricerca dell’Institut National de Jeunes Sourds de Paris e ha condotto molte interviste con audiologi, per poi replicare l’output meccanico degli impianti cocleari nelle fasi finali del film. Di fondamentale importanza sono state le conversazioni avute direttamente con persone che hanno perso l’udito e il tentare di replicare le frequenze che ancora riescono a percepire. Infatti, come spiegato dal neurologo e psichiatra Oliver Sacks in Musicofilia, “la percezione non ha mai luogo solo nel presente, ma deve attingere dall’esperienza del passato; è per questo che il biologo Gerald M. Edelman parla del presente ricordato. Tutti noi abbiamo ricordi dettagliati del modo in cui le cose apparivano precedentemente alla perdita dell’udito, e questi ricordi vengono poi richiamati per essere integrati con tutte le nuove percezioni”. Per questo Becker, con precise tecniche di registrazione come l’utilizzo di microfoni stereoscopici in teschi ed elmi, cita: “volevo sperimentare una sensazione di smorzamento acustico. Quando sei sott’acqua, i tuoi timpani non funzionano. Ciò che senti sott’acqua è la vibrazione che ricevi nel tuo corpo e nelle tue ossa. Quindi, in un certo senso, il tuo cervello è in grado di ricostruire il suono attraverso il corpo”. 
Non a caso il corpo di Riz Ahmed è utilizzato come vettore principale delle sensazioni uditive che si provano durante il film. Come raccontato al New York Times, Becker ha progettato auricolari che riproducessero suoni ad alta frequenza così da reagire fisicamente a questo cambiamento: “un rumore bianco nelle orecchie di Riz non gli permette nemmeno di sentire la propria voce, che è un’esperienza molto specifica. È ciò che provoca una perdita di equilibrio e una reale perdita di controllo”. Sound Of Metal, che già è stato riconosciuto dalla comunità dei non udenti come una pietra miliare nella storia di Hollywood, riscrive le forme del sound design silente applicandolo a specifici linguaggi come lo SLA (Sign Language Alphabet), o ai suoni ambientali che racchiudono e permeano la comunità dove risiede il protagonista. Vivendo totalmente l’esperienza di Ruben, si entra in contatto con un mondo sonoro a oggi sconosciuto, che potrebbe costruire le fondamenta per una nuova realtà sonora in cui il silenzio ben più del rumore rappresenta il nostro habitat circostante.


Federico De Feo

Federico de Feo lavora come music supervisor presso Soundreef. Collabora con testate come Esquire e con lo IED di Roma.

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