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Sinfonie di più città

La metropoli raccontata dalle serie contemporanee, a New York come ad Atlanta, è anche un insieme di rumori, suoni, canzoni. Il frutto delle scelte, più o meno dissonanti, dei music supervisor.

Il concetto di musical city è coniato per la prima volta negli anni Ottanta dal filosofo e urbanista francese Henri Lefebvre, come risultato della rhythm analysis, che cercava di comprendere il contesto urbano con l’esperienza ritmica. Partendo dallo studio sul ritmo di Gaston Bachelard, Lefebvre arrivò alla concezione per cui “il design del nostro ambiente gioca un ruolo inevitabile nei ritmi urbani che ne risultano. Fattori spaziali come la morfologia del tessuto urbano, la distribuzione delle attività ospitate al suo interno e l’infrastruttura di trasporto che li collega hanno un impatto temporale sulla velocità e sulla frequenza delle attività e dei flussi di trasporto, nonché sui ritmi dei nostri corpi”. Attraverso la progettazione del nostro ambiente, architetti, progettisti e ingegneri stanno insomma componendo una sinfonia dei nostri ritmi urbani. E l’analisi di Lefebvre sembra sposarsi perfettamente con quello che sta avvenendo nel mondo delle colonne sonore, soprattutto per quanto riguarda le serie televisive, in cui si sta andando sempre più incontro a una narrazione musicale votata più a raccontare il contesto urbano e sociale dei personaggi che lo abitano che a seguire da vicino la singola storia.

Queste forme di narrazione musicale sono il risultato, tra l’altro, della nascita di figure professionali come il music supervisor, che cercano di attualizzare un linguaggio che per anni è rimasto all’interno di un contesto principalmente accademico e che oggi, quando la musica si definisce liquida e la fruizione è diventata digitale, interagiscono sempre più di frequente con le produzioni audiovisive. E allora può capitare che il focus diventi la città, come strumento nel dettare il ritmo dei personaggi, e che tre progetti all’apparenza distanti come High Maintenance, Uncut Gems e Atlanta abbiano questo in comune.

Un primo dato evidente è che tutti e tre i progetti hanno come ambientazione principale l’America, un insieme di architetture, culture e sonorità per eccellenza. High Maintenance e Uncut Gems si concentrano su due sfaccettature differenti di New York: da un lato Brooklyn, con i suoi personaggi eclettici, e dall’altra il Diamond District di Manhattan, conosciuto per il ritmo forsennato e claustrofobico. Atlanta, invece, appartiene a un mondo a sé, dove sembra finire il sogno americano della cultura bianca mentre si sta delineando il rinascimento dell’hip-hop che sta definendo socialmente la capitale della Georgia.

Paper Boi è la perfetta raffigurazione della scena musicale di Atlanta, lenta e priva di obiettivi. Lo scopo è di mantenersi come spacciatore per autopromuoversi, ma si finisce spesso per diventare la caricatura di se stesso. Questa condizione lo porta a gravitare in uno star system errante, popolato da stelle minori destinate a vivere all’interno di contesti come strip club, stazioni radio e partite di basket per beneficenza, che non gli consentono la vita da star da cui sarebbe profondamente attratto.

Il paesaggio sonoro di Brooklyn

High Maintenance, scritta e ideata da Ben Sinclair, anche protagonista nel ruolo di “The Guy”, e da Katja Blichfeld, già direttrice del casting di 30 Rock, nasce nel 2012 come una webseries a basso budget e vede la luce online su Vimeo, che ne finanzierà le prime stagioni cedendola poi a Hbo. Sin dalle prime puntate, la serie non segue le regole televisive classiche; la prima stagione di sei episodi dalla durata variabile è visionaria, composta da sonorità che accompagnano la quotidianità cittadina. La trama si concentra su “The Guy”, spacciatore di marijuana a domicilio, di cui non si conoscono le generalità e i cui strumenti del mestiere sono una bicicletta e uno smartphone, e sui suoi clienti, archetipo perfetto del cittadino medio di Brooklyn: artisti, host di Airbnb, attivisti lgbt, influencer e innumerevoli altri newyorkesi di tutte le razze, generi, religioni e sessualità. Come riportato dal New York Times, in un’intervista a Sinclair, ogni episodio è costellato da numerosi dettagli sullo status del cittadino di Brooklyn: “Il libro di Elena Ferrante compare in tre diversi appartamenti; le videocamere vintage su uno scaffale da scapolo hipster; i riferimenti agli Airbnb illegali”. Il modo leggero ed ironico con cui questi elementi socio-culturali sono narrati non li traduce in satira offensiva ma in un’affettuosa parodia.

La struttura antologica, con The Guy che entra ed esce dalle vite dei clienti, ha permesso alla music supervisor Liz Fulton, originaria di Brooklyn, di costruire un immaginario sonoro che permettesse di raccontare a 360° le sfaccettature di ogni acquirente e i ritmi del quartiere. Ogni episodio è anticipato da vignette musicali che aiutano a introdurre i nuovi personaggi in scena, come le proprietarie di un piccolo appartamento corredato da piante esotiche e una collezione di molteplice varietà di oli d’oliva che ascoltano “Flume” dei Bon Iver, o una giovane aspirante scrittrice che trascorre una giornata in città, instagramma il suo cibo e i suoi abiti ma, come riportato da Pitchfork, “cerca disperatamente di proiettare la sua immagine alla moda e spensierata con un montaggio artificiale che ricorda il video di ‘Damm That Valley’ di U.S. Girls”. La supervisione musicale è allora insieme eclettica e narrativa. La fluidità rispetto allo status sociale traspare in maniera significativa nella musica, raccontando una gamma sbalorditiva di culture, nazionalità e stili e mostrando la classica contaminazione newyorkese. Per esempio nell’universitaria musulmana che trova tranquillità sui tetti cittadini attraverso i suoni ambientali di Tycho e Ratatat, anch’essi di Brooklyn.

Manhattan futuribile

Procedendo per 8,3 miglia, attraversando il ponte di Brooklyn, si arriva a Manhattan, precisamente nel Diamond District, location in cui si sviluppa l’ultimo lavoro dei fratelli Safdie, figli di un gioielliere ebreo siriano, Uncut Gems. Benny e Josh Safdie hanno sempre fatto della tensione sonora “metropolitana” un elemento fondamentale della loro cifra stilistica. Basti pensare a Heaven Knows What e Good Time, dove il ritmo di una città caotica come New York diventa il fulcro narrativo della storia. Ma in Uncut Gems il tutto è ancor più estremizzato. Centrato sulla figura di Howard Retner, interpretato da Adam Sandler, il proprietario di una gioielleria nel Diamond District, Uncut Gems è il racconto di un uomo che non ha più niente da perdere, pronto a scommettere su qualsiasi cosa, e a cui l’apparizione di un opale sembra cambiare la vita per sempre. Il ritmo è da subito forsennato, la partitura è costruita su i ritmi cittadini che si fondono con i dialoghi e con tutti gli elementi sonori presenti in scena. Il ticchettio dell’orologio che scandisce gli attimi di vita di Howard, che ricorda lo scandire claustrofobico del tempo in Dunkirk, l’estremizzazione dei suoni ambientali, come il ronzio della difettosa porta anti proiettili a protezione della gioielleria o i passi della popolazione che naviga nel Diamond District.

In High Maintenance, ogni episodio è anticipato da vignette musicali che aiutano a introdurre i nuovi personaggi in scena, come le proprietarie di un piccolo appartamento corredato da piante esotiche e una collezione di molteplice varietà di oli d’oliva che ascoltano “Flume” dei Bon Iver.

Come spiegato da Jon Caramanica su New York Times: “È un film incredibilmente forte e destabilizzante. Il frastuono è così forte, così fisico, che sembra allontanarti dallo schermo. Guardarlo è come piegarsi in una tempesta di vento”. E anche l’intenzione nel tono vocale di ogni attore non è casuale, come il tono nasale in apparenza amichevole di Adam Sandler, e le voci sono messe in diretta concorrenza con una varietà di altri rumori che vanno a rappresentare le distrazioni giornaliere della vita quotidiana. Sempre Caramanica riporta: “In una delle scene più movimentate, Howard è al telefono con il suo medico che gli illustra i risultati della sua colonscopia mentre, a pochi passi di distanza, Demany (Lakeith Stanfield), ricercatore di clienti per Howard, sta frugando nell’ufficio di Howard in cerca di orologi che aveva immagazzinato lì… La conversazione con il dottore è soffocata dalla battuta frettolosa dei due uomini presenti nel negozio, che è a sua volta offuscata dal fruscio degli elementi presenti in scena: la sequenza sarebbe altrettanto efficace senza effetti visivi”. Fondamentale è la figura di Daniel Lopatin, aka Oneohtrix Point Never: la colonna sonora prosegue il percorso già iniziato in Good Time, indagando il mondo sotterraneo di New York attraverso sonorità futuristiche che chiudono il cerchio perfetto della visione sonora dei fratelli Safdie.

Atlanta e hip-hop

“Atlanta è una città mitologica, un luogo dove le leggende metropolitane ti siedono accanto negli autobus MARTA (Metropolitan Atlanta Rapid Transit Authority), dove le supercar narrate nelle canzoni rap abbattono la barriera del suono nelle noiose interstatali, e dove gli incontri di lavoro, le feste di laurea e i programmi radiofonici coincidono con gli strip club”. Così Vann R. Newkirk II, descrive la città, in un articolo di The Atlantic del settembre 2016, facendoci entrare pienamente nel contesto metropolitano. Donald Glover, nei ventuno episodi che compongono le due stagioni di Atlanta, prima delle prossime due previste nel 2021, riesce nell’impresa di ritrarre quella magia urbana. La serie, diretta da Hiro Murai, figura anch’essa fondamentale, ha una chiara visione estetica: “inizialmente sembra dedicato a ritrarre le particolarità della città, narrando una serie di temi caldi (l’aumento del tasso della criminalità tra Natale e Capodanno, chiamata in gergo Robbin’ Season, i famosi ristoranti e gli strip club), viaggiando attraverso ambientazioni rurali, urbane e suburbane, ma ci consegna dei personaggi che navigano a vista verso il loro decaduto sogno americano”. Il personaggio interpretato da Glover, Earnest “Earn” Mark è cresciuto nei sobborghi, è un nerd che ha mollato l’Università per mantenere la sua famiglia e lavora per l’aeroporto Hartsfield-Jackson; pur avendo poche possibilità, cerca di intraprendere la carriera di manager del suo cugino Alfred, diventato famoso attraverso un video su YouTube con il nome d’arte di PaperBoi: è una pratica avvezza al mercato discografico di Atlanta, come raccontato da Malia Murray, social media manager di artisti come 6lack e DRAM, su Pitchfork.

Paper Boi è la perfetta raffigurazione della scena musicale di Atlanta, lenta e priva di obiettivi. Lo scopo è di mantenersi come spacciatore per autopromuoversi, ma si finisce spesso per diventare la caricatura di se stesso. Questa condizione lo porta a gravitare in uno star system errante, popolato da stelle minori destinate a vivere all’interno di contesti come strip club, stazioni radio e partite di basket per beneficenza, che non gli consentono la vita da star da cui sarebbe profondamente attratto. Mentre molte serie tv e film, con la musica come argomento principale, hanno mostrato simili contraddizioni tra il contesto sociale e il potere, in Atlanta questa tensione è la naturale espressione della città. Nella seconda stagione, che Glover ha definito la Twin Peaks del rap, assistiamo a un’Atlanta segnata dalla vittoria di Trump nel 2016. Le ambientazioni sono gotiche e spettrali, il razzismo è tornato, c’è violenza nell’aria e i conflitti emotivi diventano ancor più crudeli in un’America ormai divisa e dilaniata.

Come testimoniano le tre serie analizzate, sempre più si delinea una nuova via per la narrazione sonora, dettata dai fattori ambientali e sociali che compongono il contesto urbano. Sono prodotti sperimentali, artistici, alternativi, che però rappresentano tendenze di più ampia scala: si pensi per esempio a Euphoria e al lavoro di supervisione musicale di Jen Malone, transitata anche da Atlanta. In ogni epoca, le città hanno risentito notevolmente di un cambiamento generazionale e architettonico che ne ha uniformato le sonorità e gli ambienti; per questo ad oggi è fondamentale riscoprire i suoni naturali che dettano i nostri ritmi vitali anche nei prodotti audiovisivi, per rendere ancor più immersivo il contesto narrativo e rendere veritiero e reale quello che si sta osservando.


Federico De Feo

Federico de Feo lavora come music supervisor presso Soundreef. Collabora con testate come Esquire e con lo IED di Roma.

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