Poco fa è stato in Italia, ma non se n’è accorto (quasi) nessuno. Profilo di Conan O’Brien, perenne terzo incomodo, ma capace di resistere al suo posto.
A marzo, Raitre ha mandato in onda una puntata di Un posto al sole in cui, in una scena ambientata dentro uno studio legale, la protagonista si siede a fianco di un uomo che la degna appena. Le concede una smorfia di saluto, sta guardando qualcosa sul suo portatile, ha un’aria annoiata e altezzosa verso ciò che lo circonda, quasi non vorrebbe che la donna gli si sedesse vicino. È un momento brevissimo, il personaggio in questione non parla e non ricomparirà più nel resto dell’episodio. Quell’uomo è Conan O’Brien, conduttore e comico statunitense, in Italia per filmare una puntata del suo show, Conan, in cui visitava il nostro Paese e interagiva con alcuni degli usi locali, tra cui la soap opera partenopea.
Come nella sua particina nella soap, a Conan O’Brien non frega nulla degli altri. Sta lì a fare la sua string dance, fingendo di essere manovrato da fili invisibili come un burattino al servizio del pubblico, mentre gli altri comici cercano di stare sul pezzo mettendo una parrucca buffa in testa a Jennifer Lawrence o facendo cantare a Miley Cyrus Bodak Yellow come se fosse una power ballad.
O’Brien di non dover stare appresso agli altri se l’è guadagnato. Se il resto dei comici da talk show ha dovuto adattarsi, nei modi o nei contenuti, ai tempi moderni, lui non ha mai cambiato il suo approccio. Decano dei late show, con Leno e Letterman fuori dai giochi è il presentatore con più anni di attività alle spalle, l’unico cresciuto professionalmente in un contesto analogico, eppure il primo che ha saputo sfruttare a pieno le potenzialità del digitale quando gli si sono palesate davanti. È grazie al web che O’Brien ha ricostruito il proprio impero. Per spiegarlo, bisogna partire dall’inizio.
A Conan O’Brien non frega nulla degli altri. Sta lì a fare la sua string dance, fingendo di essere manovrato da fili invisibili come un burattino al servizio del pubblico, mentre gli altri comici cercano di stare sul pezzo. O’Brien di non dover stare appresso agli altri se l’è guadagnato. Se il resto dei comici ha dovuto adattarsi ai tempi moderni, lui non ha mai cambiato il suo approccio.
Le vicissitudini di un late show host
Bisogna partire dal Tonight Show. Il Tonight Show è la Lamborghini dei programmi comici, quella che chiunque con un briciolo di talento aspira a guidare. Nato nel 1954, il Tonight è un franchise di Nbc, passato di comico in comico, ma reso grande da Johnny Carson, comico americano che rivoluzionò il formato e lo condusse dal 1962 al 1992. Fu Jay Leno a sostituirlo, nonostante tutti pensassero che il ruolo spettasse a David Letterman, Carson incluso. Dalla rivalità tra Leno e Letterman era scaturita una baruffa con tanto di fazioni, libri e film tv. Leno era – è – un commediante mediocre, un monologhista che trova il favore di un pubblico vecchio e rurale, poco sofisticato. Ma il cuore della nazione americana è vecchio e rurale e il Tonight Show di Leno, dopo un inizio stentato, rimase in cima alle classifiche di ascolti fino alla fine del mandato. Letterman, che conduceva il programma successivo al Tonight e pareva l’erede designato, lasciò la rete e creò il suo personale Tonight Show su Cbs. A colmare il vuoto lasciato da Letterman i dirigenti, su consiglio del mogul Lorne Michaels, assunsero O’Brien.
Un fatto abbastanza raro, di cui il primo a meravigliarsi fu lo stesso Conan: sceneggiatore giovanissimo, appena ventinovenne, che non aveva alcun tipo di esperienza davanti allo schermo, che aveva scritto per il Saturday Night Live e I Simpson ma non vantava doti telegeniche, preso a sostituire Letterman. I primi mesi di show furono un disastro. Troppo fuori parte, troppo impacciato, troppo nervoso, perfino troppo alto per tenere le redini del programma, tanto che Nbc lo minacciò con un contratto da rinnovarsi di settimana in settimana, ansiosi com’erano di rimpiazzarlo. A salvarlo, accettando di presenziare come ospite, ci pensò Letterman. “Aiutò il morale”, ricordò O’Brien. “Se il tizio che ha creato il programma viene da te e dice che sei divertente, allora potevamo farlo”.
Quando toccò a Leno abbandonare (molto a malincuore) il Tonight, si scelse O’Brien come successore. Il comico irlandese andava forte con i giovani, segmento demografico prezioso, e il Tonight aveva bisogno di una svecchiata. Quello che scoprirono, a poche settimane dal debutto, nel giugno 2009, fu che il Tonight, come ogni late show, rigettava i cambiamenti. Conan si portò dietro il pubblico giovane e modaiolo, ma il suo stile laterale ed eccentrico fece perdere lo zoccolo duro di spettatori abituati alla commedia rassicurante di Leno. La titubanza dei dirigenti e lo zampino di Leno, che non avrebbe mai voluto lasciare il Tonight ed era riuscito a farsi dare uno show in prima serata, andato malissimo, portò alla scelta di spostare lo show di Leno al posto del Tonight, facendo slittare tutto il palinsesto di un’ora.
O’Brien fu costretto a lasciare l’incarico. La cacciata dal Tonight causò un’insurrezione popolare da parte dei giovani, il suo pubblico di riferimento, che espressero supporto attraverso proteste in loco, fan art e messaggi di stima. E la creazione del tag “Team Coco”, nomignolo creato da Tom Hanks durante una delle prime puntate del Tonight Show condotte da O’Brien. Il conduttore si appropriò del nome e ne fece lo slogan per le proprie ramificazioni online. Un ripensamento di vita, un tour comico propagatosi grazie a internet (dopo l’addio al Tonight gli era legalmente vietato apparire in radio e tv) e una crisi di mezza età più tardi, O’Brien siglò un accordo con la rete Tbs per mettere in piedi il suo personale talk show notturno, Conan, che conduce dal 2010.
Quando c’è un’ospite giovane e bella, Conan fa il creep, racconta di come una come lei al liceo non avrebbe mai filato di pezza uno come lui. E lo stesso comico usa questa inclinazione come spunto per oggettivare anche il suo, di corpo. Facendosi forza del proprio corpo dinoccolato e lattiginoso, della faccia aguzza e dei capelli rossicci raccolti in uno sbuffo che pare progettato da Frank Gehry.
Il cambiamento sotto la continuità
Dicevamo, il format del late show è un baluardo conservatore che resiste ai cambiamenti del tempo. Quando debutta in tv, Conan è consapevole di stare rompendo l’immagine monolitica del conduttore comico. Prima di lui, e di Letterman, i conduttori dei late erano versioni più o meno ben stirate di Don Draper. Rispetto a Carson, signore azzimato, elegante, con la struttura ossea di un gentiluomo, Letterman era un freak, con il sorriso diastematico, i pantaloni color cachi e le scarpe da ginnastica. Come scrisse O’Brien in un ricordo di Letterman: “Accesi la tv ed era tutto sbagliato”. Seguendo le sue orme, si è fatto forza del proprio corpo dinoccolato e lattiginoso, della faccia aguzza e dei capelli rossicci raccolti in uno sbuffo che pare progettato da Frank Gehry. È attraverso Conan che, poco a poco, i late show hanno iniziato a includere personalità diverse dal maschio bianco in peso forma. James Corden, sovrappeso e barbuto, costruirà l’incipit della prima puntata del suo Late Late Show proprio sulla difformità dagli altri presentatori. Certo, il coefficiente di resistenza è alto: dal 1948 a oggi nessuna personalità diversa dal “maschio bianco” ha mai ottenuto la conduzione fissa di un late show generalista.
Da Letterman, O’Brien ha preso anche quel sessismo di cui ha parlato Francesco Pacifico: quando c’è un’ospite giovane e bella, Conan fa il creep, racconta di come una come lei al liceo non avrebbe mai filato di pezza uno come lui. C’è da dire che tutte le conversazioni sono mini dialoghi teatrali preparati in anticipo, quindi le attrici/modelle/cantanti si sono prestate consapevolmente a questo gioco. E lo stesso comico è consapevole di questa inclinazione (con Jessica Biel ci ha costruito uno sketch), spesso usando lo spunto per oggettivare anche il suo, di corpo.
Da quando ha cominciato O’Brien, il panorama della tv comica statunitense è più frammentato che mai. Nel 1993 i talk di seconda serata si contavano sulle dita di una mano. Ora non basterebbero le foglie di un albero. C’è Jimmy Fallon, c’è Jimmy Kimmel, che ha condotto gli Oscar e i cui accorati appelli al governo sulla sanità e sulle armi hanno fatto il giro di internet sostituendo gli spompatissimi Mean Tweets (gli insulti di Twitter contro celebrità di vario tipo letti dalle celebrità stesse) e la faida da Looney Tunes contro Matt Damon. C’è James Corden, c’è John Oliver, che del giornalismo comico ha fatto cifra stilistica. Il resto dei nomi, almeno in Italia, ha un’eco troppo poco potente. Il cubo del late night si è via via levigato a ogni nuova aggiunta, assumendo la forma di un dodecaedro camuso le cui sfaccettature sono talvolta difficili da distinguere. Ecco che al disimpegno segue l’approfondimento diretto (Kimmel, Oliver), la rilettura satirica dell’attualità (Samatha Bee, Trevor Noah), la ricerca di argomenti avulsi dallo stardom puro (Seth Meyers, Stephen Colbert). Il concetto di late show si declina ormai anche sui servizi di streaming (facendo perdere del tutto la connotazione late): Hulu ha dato mandato esplorativo a Sarah Silverman per uno show che coniughi il comic journalism di John Oliver, i tabù della televisione e l’umorismo caustico della protagonista (in una puntata ha messo nel pubblico un uomo e una donna nudi, passando parte del tempo a indugiare su forma e aspetto dei loro genitali – una cosa fuori da ogni grazia divina per un qualsiasi canale tv, anche via cavo).
A (quasi) nessuno interessano più le interviste, ma conta il momento virale, la pillola smerciabile su internet, che si scioglie via social ma di cui non resta nulla, svanita l’effervescenza. Certe interviste di Letterman sono apprezzabili ancora oggi, mentre è difficile vedere la stessa inossidabilità nella clip di Julia Roberts che reinterpreta tutti i suoi ruoli in cinque minuti. O’Brien è rimasto sulla linea della comicità pura ma, a differenza di Corden o Fallon, non si è lasciato sedurre dall’interazione facile con la celebrità. Proprio come faceva Letterman, che metteva un filtro tra sé e l’ospite, anche O’Brien tiene a distanza il vip di turno. Letterman puntava la comicità dell’imbarazzo contro il malcapitato, mentre in Conan è girata sul conduttore, sempre troppo strano, pallido o sessualmente inadeguato per far filare senza intoppi un’intervista. Ma questo non significa che su Conan sia bandita la politica: lo scorso gennaio il presidente Trump, parlando dell’immigrazione verso gli Stati Uniti di Haiti e altri stati, li ha definiti “shithole coutries”, “cesso di Paesi” (anche se la traduzione italiana non rende la violenza verbale usata dal POTUS). Così O’Brien ha programmato una visita lampo ad Haiti.
Late night in viaggio
Ed è in questi contenuti originali, prodotti senza l’impepata di ospiti, che O’Brien ha trovato una sua nicchia: la visita nei vari Paesi offre il destro per siparietti stereotipati, ma anche per percorsi che consentono di seguire l’inclinazione personale di O’Brien, appassionato di storia. In diverse nazioni ha unito lo zucchero dello sketch con la fibra del momento pedagogico. Non è il caso dell’Italia – dove si è limitato a prenderci in giro come fanno tutti gli stranieri, cioè con le Vespa e la Dolce vita – ma in Armenia o in Israele ha portato a casa momenti di cronaca sincera.
Tra tutti i commedianti, Conan è stato quello più propenso a spostarsi. Negli anni Novanta non era raro che registrasse puntate dello show in giro per l’America e il Canada. Ma con il nuovo programma e l’arrivo di internet – che significa una presenza globale, non più limitata dai palinsesti stranieri – i confini si sono sciolti e O’Brien ha cominciato a girare per il mondo. Germania, Messico, Qatar, Armenia, Cuba, Israele, perfino in Corea del Sud, dove ha un seguito numeroso, probabilmente per lo spirito comico ammiccante a quelle che a un occidentale sembrano bizzarrie. A Firenze non faceva altro che venire fermato da turisti coreani o orientali che si sperticavano per dirgli quanto fossero loro fan.
La comicità di Conan O’Brien si basa su Conan O’Brien. Sembra una tautologia, ma non tutti possono vantare un brand del genere. La cifra di Fallon sta nella sua piacevole insipidezza, sostituirlo nei suoi sketch sarebbe facile. Ma rimuovere O’Brien dall’equazione fa saltare il sistema, perché tutto il suo materiale si basa sull’interazione di Conan con una realtà esterna. A venticinque anni dal suo debutto, O’Brien è cambiato eppure è rimasto fermo, ancorato a quella sua tradizione weird che lo portava a disegnare facce sui tappi dei barattoli, schiacciarli dal fondo e farli “vomitare”.
Andrea Fiamma
Si occupa di fumetti, cinema e televisione. Ha scritto su Fumettologica, Domani, Linus, Rivista Studio, Mangasplaning e The Comics Journal; ha firmato i libri 50 manga da leggere almeno una volta nella vita (Newton Compton, 2021), Giorgio Cavazzano: Oltredisneyano (Comicon edizioni, 2023), Il grande libro dei quiz sulle serie TV (Newton Compton, 2022) e Cinecalendario (Burno, 2024): ha collaborato con il Salone Internazionale del Libro di Torino, Lucca Comics & Games e il Comicon di Napoli.
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