Sketch, battute e romanesco: la commedia all’italiana prende vita su un volo di ritorno dalla Germania. “Fiumicino and Ciampino, it’s different”.
Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 18 - Comedy del 08 aprile 2015
Recentemente si è stati qualche giorno in Germania, e al ritorno su un volo Lufthansa diretto a Fiumicino, poi dirottato su Ciampino per un allarme bomba farlocco, andava in onda un perfetto copione da film dei fratelli Vanzina. Intanto il comandante con accento molto tedesco dice: “causa allarme l’aereo atterrerà nell’aeroporto di Campagnano”, confondendo una piccola località agreste sulla Cassia con il secondo aeroporto della Capitale. Sentendo quella frase, i molti italiani presenti sul volo, che fino a quel punto si erano mimetizzati dietro le copie-omaggio del Financial Times e del New York Times offerte dalla compagnia, hanno cominciato un repertorio della migliore commedia all’italiana. “Si vabbè, Campagnano”, dice un signore alla mia destra, che subito si alza, insieme ad altri, e va direttamente a parlare con il pilota e le hostess (nel frattempo siamo atterrati a Ciampino, in attesa di notizie dalla torre di controllo). Si scopre che tutti gli italiani a bordo, quasi tutti uomini, tutti romani (cosa non secondaria), vengono da un convegno di cardiologia a Monaco, e invece che presentare un lato professionale e rassicurante legato al loro lavoro, la scena e il confronto tra il personale e i passeggeri medici romani diventa subito uno sketch.
“Io ho attacchi di panico – I have panic attacks! Me dovete fa’ scende!”, dice un signore brizzolato. “We are doctors! My colleagues can testify!”, urla davanti a una hostess che prima ride, poi comincia a preoccuparsi perché il gruppo di italiani vuole giustamente scendere a Ciampino-Campagnano, mentre il comandante pretenderebbe teutonicamente che si aspettasse la riapertura dello scalo di Fiumicino, e rialzarsi in volo, mettersi in coda e riatterrare (“seee, ciao, core”). Un altro romano, medico, ormai installato nell’atrio tra la business e la cabina di pilotaggio, prende confidenza con le attrezzature della macchina del caffè e delle bevande, e seguita a versarsi bibite come fosse a casa sua, e intrattiene la hostess versandosi caffè americano, e lei non ha mai visto una cosa del genere; “you know, Ciampino is not Campagnano, there is a big difference”, le dice lui con tono e posa da playboy sorseggiando il suo bicchiere come Manuel Fantoni quando dice “cargo battente bandiera liberiana” in Borotalco.
Un terzo caratterista gioca la carta lei-non-sa chi-sono-io: “aho”, dice a un collega, “ma come si chiama quello che cià il papà che è capo della Polizia a Ciampino?”. L’altro: “ma chi? Bellicapelli?”; “eccerto, lui”, e insomma chiamano questo loro collega Bellicapelli, riescono a parlare con il caposcalo (o fanno finta) e riferiscono tutto, strepitando – seri – al pilota. A quel punto, quando il pilota e l’equipaggio, violando probabilmente fondamentali protocolli internazionali, decidono di lasciarci scendere a Ciampino-Campagnano, gli italiani casinari si sono assopiti già da un po’, e probabilmente la decisione del pilota dipende più dal terrore di affrontare altre ore con questi passeggeri casinari, non certo dalle ragioni addotte dai casinari stessi. Ma soprattutto, i casinari hanno fatto il loro show, sono tornati a giocare con l’iPhone, e a parlare tra di loro (“comunque a me gnente me leva dalla testa che è per colpa de quello là. Porta na jella”, parlando di un collega presente sull’aereo, e toccandosi).
Commedie all'italiana
La storia di vita vissuta non spiega solo decenni di politiche estere e di percezione nazionale nelle istituzioni dell’Unione Europea: contiene anche con esattezza tutti i caratteri della commedia all’italiana. Intanto c’è il fattore linguistico, per cui il romanesco dei medici in contrapposizione con il tedesco dell’equipaggio è già di per sé un elemento comico. Due lingue e due modi di gesticolare contrapposti sono alla base della commedia: pensiamo a Boldi-De Sica, o a Sordi che parla in milanese nel Vedovo (“cusa fal a Milan con stu cald”). Poi: l’estrema disinvoltura nel mischiare comico e tragico (gli attacchi di panico che diventano scusa per fare i furbi, il rischio reale dell’allarme bomba), la capacità di sintetizzare in una battuta una situazione e una realtà sociale (“bellicapelli”), il cinismo (indicare un povero collega come jettatore e dunque responsabile della situazione).
Ma soprattutto, il tratto centrale della commedia all’italiana: il molto smaniare e attivarsi per non arrivare ad alcun risultato, e tornare nella condizione primigenia. La commedia all’italiana presenta infatti generalmente una situazione di quiete interrotta da un attivismo che non porterà a nulla, e tutto tornerà come prima. Questo a mio avviso ha soprattutto una causa economica: poiché il Paese è da sempre economicamente (lasciamo stare la politica) subalterno, e l’ascensore sociale bloccato o in manutenzione, il movimentismo inteso soprattutto come tentativo di miglioramento economico rappresenta per noi il comico.
In Poveri ma belli (1956), film di clamoroso successo che salverà la Titanus dal fallimento, scapestrati pischelli corteggiano ragazze nell’esotica piazza Navona, ma si fidanzano con la dirimpettaia. Ne Il conte Max (1957), Alberto Sordi è un giovane edicolante di via Veneto che sogna il jet set, e con una serie di equivoci da questo jet set verrà per un attimo adottato, salvo essere sgamato poco dopo e rientrare nei ranghi fidanzandosi con la cameriera Lauretta. Il salto di classe sociale, l’upgrade da economy a business o addirittura a prima classe, fa paura all’italiano, lo fa ridere, perché sa che questo non è possibile, nel paese della recessione endemica e del boom breve; dunque meglio fare ammuina e a volte immolarsi (La grande guerra), ma più semplicemente tornare a casa da mammà (Un americano a Roma).
La depressione economica, sempre lei, ha impedito lo sviluppo della commedia romantica: genere in cui quasi sempre l’intoppo è sociale, di status. In Italia Pretty Woman tornerebbe a fare la prostituta perché il suo imprenditore è arrestato per evasione fiscale o ha delocalizzato senza successo in Romania (o ancora era solo un poveretto che la Lotus l’aveva presa in affitto). L’ascensore sociale o è per stranieri o dura pochissimo: così l’edicolante Alberto Sordi viene subito sgamato e anche la favola di Vacanze romane dura lo spazio di una vacanza all-inclusive; in Borotalco, alla fine, era meglio andare alla bottega del suocero a mangiare le famose olive greche. E nel Vedovo, l’ascensore non metaforico è proprio mancante, e Alberto Sordi ci rimane sotto.
Le nostre commedie sono infarcite di crudeltà come nessun altro genere. Ci sono più morti nella commedia all'italiana che in tutta la tragedia greca.
Mondo crudele
Impossibile ridere tra case ben arredate e lauree in università prestigiose, in Italia. Qui deve finire sempre malissimo, bisogna tornare da mammà almeno in mutande. Se si accetta questo pattern, si potrà avere in cambio una serie di crudeltà gratuite che non esistono in nessun’altra commedia nazionale. Ai miei medici romani sull’aereo, “non bisognerebbe mai andare in Germania” avrebbe detto il Sassaroli, uno dei protagonisti di Amici miei, in una delle gag migliori della saga più perfida della commedia all’italiana. Lì, Sassaroli, chirurgo arrivato e cinico, fa questo scherzo al cimitero a un incolpevole Alessandro Haber che prega sulla tomba della sua povera moglie Adelina. Sassaroli ruba un mazzo di fiori da un’altra tomba e si presenta sospirante accanto al vedovo, e inizia una litania a base di “la nostra povera Adelina. Moglie e amante impareggiabile. Che ha amato più spiritualmente te, più carnalmente me”. E distrugge il mondo di ricordi cui il povero vedovo era legato. “Quando è successo?”, si chiede il povero Paolo. “Forse mentre ero in Germania?”. Risposta del Sassaroli: “Non bisogna mai andare in Germania, Paolo”. Ecco. La gag finisce con il vedovo che ricopre di improperi la tomba della moglie, ed è difficile pensare a qualcosa di più crudele di uno scherzo su una tomba, eppure la commedia all’italiana, di cui Monicelli e Amici miei rappresentano uno dei punti più alti, è infarcita di crudeltà come nessun altro genere. Ci sono più morti nella commedia all’italiana che in tutta la tragedia greca.
Prendiamo Alberto Sordi. Sordi può essere un mercante d’armi, un medico corrotto, un giornalista incapace, un nobile prevaricatore, ma il senso profondo è che il protagonista si agita molto per non ottenere alcun risultato, e tornare allo status quo di prima. Certo, quanti morti: nel Vedovo di Dino Risi, appunto, la morte in assenza d’ascensore; in un altro film con Sordi diretto da Dino Risi (Una vita difficile), in una delle scene iniziali, Silvio Magnozzi, partigiano sulle montagne, cerca rifugio nell’albergo di una giovane e innocente Lea Massari (Elena), che senza alcun dubbio uccide subito un tedesco con un ferro da stiro in testa. Per non parlare del Sorpasso, con quel finale che la produzione non voleva…
In tutti questi film, che rappresentano il top cinico della produzione italica, c’è un tasso di commedia “nera” altissimo, non solo morti appunto, ma sadismo e perfidia, difficilmente immaginabili in altre produzioni internazionali: però, ancora, soprattutto c’è il fallimento, c’è il molto rumore per nulla. Nel Vedovo il tentativo di scalata sociale è punito con la morte; così come il Sorpasso vede subito scaraventato nel burrone chi si permette di sorpassare in spider i poveri contadini, e affronta il boom (poi rivelatosi assai breve) non in gramaglie scaramantiche ma godendosela un po’ in Versilia. Nello Scopone scientifico, non solo non c’è ascesa sociale, ma ci si accanisce sul povero Albertone borgataro e sulla moglie Silvana Mangano, facendo loro perdere nuovamente tutto contro la terribile Bette Davis, che giustamente alla fine viene avvelenata a Fiumicino. Lo stesso aeroporto dove i nostri medici in trasferta non vogliono andare. “Fiumicino and Ciampino, it’s different”, dice il medico, mentre la hostess sa che di lì a poco lo allontanerà dalla business class.
Michele Masneri
Scrive di economia, società e cultura su Il Foglio e su IL. È autore del romanzo Addio, Monti (minimum fax, 2014).
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