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Animazione

M’Illumination d’immenso

Non solo Disney e Pixar. Negli ultimi anni, grazie ai Minion e ad altre mosse azzeccate, un altro studio si è imposto sul mercato. Con un modello originale, alternativo, medio e per questo efficacissimo.

C’è un buffo scollamento di realtà quando si parla di film d’animazione. Da ormai trent’anni i cartoni sono una presenza fissa nelle classifiche dei titoli più visti dell’anno, e gli adulti, gli spettatori, i critici, i cinefili hanno abbracciato questa tecnica cinematografica consapevoli del fatto che, anche se il prodotto non è specificamente indirizzato a loro, si possono divertire seguendo le avventure di un giocattolo parlante o di sirene canterine. Poi ci sono i bambini, che i cartoni li hanno sempre guardati senza tanti sofismi, catturati da una scintilla irrazionale che poteva essere il motivetto di una canzone, una voce buffa e una macchia di colore a forma di personaggio. La percezione di un’esperienza soddisfacente nell’ambito dei cartoni animati diverge però notevolmente in questi due segmenti di pubblico. Un adulto si ricorderà delle raffinatezze di un Up o del Gobbo di Notre Dame, ma un bambino avrà molta più soddisfazione nel affondare gli occhi dentro un Trolls o un Baby Boss, specialmente se l’alone di quel film si traghetta nella realtà con giocattolame vario. È per questo che esistono tre film di Cars, un marchio Pixar molto poco apprezzato da critici e spettatori, e una manna per i negozi di giocattoli.

I budget sempre più colossali dei film d’animazione e la fatica nel realizzarli vanno ottimizzati in qualche modo, attraverso il merchandising e la costruzione di franchise, operazione che a uno studio come Pixar non è sempre riuscita bene, un po’ giocoforza e un po’ per volontà (film troppo “adulti”, troppo poco spendibili – quale seienne vuole il pupazzo di Carl Fredricksen o Joe Gardner?). Con troupe sempre più affollate e lunghi tempi di produzione, realizzare un cartone animato è diventato costoso quanto e più che girare un blockbuster dal vivo. Un film in animazione digitale può impiegare oltre seicento persone che lavorano per quattro anni, in media. È normale infatti che in un cartone una sequenza venga storyboardata (scritta e disegnata in forma di disegni grezzi per vedere qual è il suo effetto una volta che le parole della sceneggiatura diventano immagini) una cinquantina di volte. È un processo lento e tedioso, ma concede agli autori il lusso di sperimentare quante più idee possibile.

C’è però un soggetto che è riuscito nell’impresa di creare un modello economico che permette di tenere bassi i costi e realizzare film popolari in tempi più stretti che non sembrino una produzione di serie B. Si tratta di Illumination, lo studio di Cattivissimo me, nato nel 2007 e guidato da Chris Meledandri. In un pezzo per Bloomberg Meledandri è descritto come un tipo che parla piano di proposito, “come se contemplasse ogni parola”, e che per essere uno che ha fatto fortuna con i film comici per famiglie non è poi un gran mattacchione. Su Variety amici e colleghi lo definiscono uno stacanovista e nessuno riesce a elencare i suoi hobby oltre il lavoro. Se Illumination assomiglia anche solo un po’ al suo fondatore, non c’è da meravigliarsi che lo studio abbia realizzato 12 film in 13 anni – due sarebbero dovuti uscire nel 2020 ma sono stati rimandati al 2021 – nessuno dei quali è mai andato oltre i 90 milioni di budget, in un panorama dove le ultime produzioni Disney-Pixar sono costate fino a 200 milioni.

Alle origini

La carriera di Meledandri nel mondo dell’animazione è iniziata nel 1994, quando 20th Century Fox, la major per cui lavorava, fondò il proprio studio d’animazione, all’apice della sbandata che Hollywood si era presa per i cartoni, e Meledandri fu incaricato di supervisionare lo studio (che produsse solo tre film, tra cui Anastasia). Il modello di parsimonia è probabilmente una conseguenza dell’esperienza vissuta ai tempi di Titan A.E., cartone di fantascienza che portò alla chiusura degli studi di animazione Fox nel 2000 e al quasi licenziamento di Meledandri. Il dirigente si salvò andando a supervisionare l’allora nuovo acquisto della major, gli studi d’animazione Blue Sky Studios, che sotto la sua guida furono artefici di grandi successi come la saga de L’era glaciale e poi Rio.

C’è però un soggetto che è riuscito nell’impresa di creare un modello economico che permette di tenere bassi i costi e realizzare film popolari in tempi più stretti che non sembrino una produzione di serie B. Si tratta di Illumination, lo studio di Cattivissimo me,nato nel 2007 e guidato da Chris Meledandri. Ha realizzato 12 film in 13 anni, nessuno dei quali è mai andato oltre i 90 milioni di budget, in un panorama dove le ultime produzioni Disney-Pixar sono costate fino a 200 milioni.

Nel 2007, Meledandri decise che non voleva più essere dipendente di uno studio. Voleva fondarne uno suo. Dall’acquisizione della ditta di animazione ed effetti speciali francese Mac Guff nacque Illumination, poi inglobata da Universal. Per prima cosa, Meledandri e il suo team cercarono di capire il posizionamento da avere per i loro film, e alla fine trovarono la chiave di volta nella formula di pellicole comiche che potessero piacere agli spettatori di ogni età e nazione. Storie larghe, poco geolocalizzate, fuori dal tempo, ma con piglio “sovversivo che però contiene delle emozioni genuine”, come spiegò a Variety. Il loro debutto, Cattivissimo me, è la storia di Gru, un cattivo dall’aspetto respingente che si trova costretto ad accudire tre bambine e ad apprezzare le gioie della paternità. Pets. Vita da animali mostra cosa combinano gli animali domestici se i loro padroni non sono in casa. Sing è un musical jukebox con animali antropomorfi dove un koala impresario organizza una gara canora per salvare il suo teatro. Sono tutti prodotti con gag corporali, un po’ di umorismo di grana grossa, vagamente lubrico, come un film dei fratelli Farrelly ma per bambini. La filmografia Illumination viaggia leggera tra franchise come Cattivissimo me e Pets, e adattamenti dei libri del Dr. Seuss (Lorax. Il guardiano della foresta, Il Grinch), autore i cui eredi hanno stretto un rapporto con Meledandri in seguito al riscontro positivo di Ortone e il mondo dei Chi, che Meledandri aveva prodotto quando ancora dirigeva i Blue Sky Studios.

È una Illumination che cerca di prendere gli elementi di DreamWorks, Pixar e Disney e farli suoi. Pets. Vita da animali è un Toy Story con gli animali domestici, Sing e Cattivissimo me 2 fanno largo uso di canzoni famose, ricantate dai personaggi (il franchise di Shrek ne aveva fatto cifra poetica). Illumination non cerca la lacrima o l’esaltazione per la storia. Le gag, slapstick e particolarmente violente, se uno va a guardare bene, e le invenzioni visive sono divertenti, ma resta tutto in sospensione in una miscela altrimenti insapore. I Cattivissimo me sono così, Minions è così.

Originali e cloni

Nel marasma di titoli-cloni si distingue Il Grinch. Adattare libri per bambini conosciuti per la loro brevità in un film di 90 minuti spesso non funziona, e infatti quasi tutti i film del Dr. Seuss dopo poco più di un quarto d’ora sono noiosi. Tranne Il Grinch, dove si mantiene viva l’attenzione rispettando anche l’estetica e la poetica di Seuss, rielaborandole nel mondo visivo di Illumination, ancorato alla lezione del disegnatore Eric Guillon che aveva supervisionato il look di Cattivissimo me, tutto forme estremizzate (gambe lunghe e sottili, toraci gonfissimi, nasoni, occhi enormi) e design kawaii dei personaggi. Rispetto ai grandi studi, però, c’è libertà nelle cose che si possono dire – carinamente violente, amorevolmente volgari – e nel come sono disegnate. E poi c’è un diverso iter produttivo.

“Un controllo rigoroso dei costi e un film animato di successo non sono condizioni che si escludono a vicenda”, diceva Meledandri al New York Times nel 2011. Nel 2010, il primo film dello studio, Cattivissimo me, costò 69 milioni di dollari (ne incassò oltre 500 in tutto il mondo), mentre Toy Story 3, realizzato per l’astronomica cifra di 200 milioni, fu il primo film d’animazione a superare il miliardo di dollari di incassi. Pochi anni dopo, nel 2017, le parti si sono invertite: Cattivissimo me 3, costato 80 milioni di dollari, ne incassò più di un miliardo (quarto incasso dell’anno), contro gli 800 milioni guadagnati dal pixariano Coco, costato oltre 200 milioni. Come è stato possibile? 

Con un organigramma manageriale asciutto, un giusto ma non esagerato investimento nelle tecnologie (i film Pixar sono sempre più scenari fotorealistici in cui si muovono personaggi a cartoni, ma quanto potrà mai importare allo spettatore medio delle finezze avanguardistiche di certi software che calcolano i rimbalzi della luce sulle diverse superfici?), attori famosi ma non famosissimi – basta siano conosciuti in America, tanto poi all’estero li doppiano –, selezione mirata dei progetti e durata di incubazione più breve. Se le altre case d’animazione finanziano lo stadio iniziale di tre o quattro film allo stesso tempo, per poi produrne solo uno, Meledandri ha affermato che il rapporto alla Illumination è vicino allo 1:1. E ci vogliono solo due-tre anni per realizzare un film Illumination, sotto la media di una produzione animata – Coco, sempre lui, ha richiesto 7 anni di lavoro e svariati tentativi per definire la storia e il mondo in cui si muovono i personaggi. Non ci sono terreni inesplorati da scoprire o grandi immaginari da costruire (e se ci sono sono presi in prestito, come gli adattamenti dei libri del Dr. Seuss o del franchise videoludico Mario Bros, di prossima uscita). Le premesse dei film Illumination non lasciano dubbi. Sono aspetti cruciali perché aiutano a tenere bassi i costi, facilitano la comunicazione e non scontentano il pubblico, che non sarà sorpreso da inaspettate sterzate narrative.

Nel 2010, Cattivissimo me costò 69 milioni di dollari (ne incassò oltre 500 in tutto il mondo), mentre Toy Story 3, realizzato per l’astronomica cifra di 200 milioni, fu il primo film d’animazione a superare il miliardo di dollari di incassi. Nel 2017, le parti si sono invertite: Cattivissimo me 3, costato 80 milioni di dollari, ne incassò più di un miliardo (quarto incasso dell’anno), contro gli 800 milioni guadagnati dal pixariano Coco, costato oltre 200 milioni. Come è stato possibile?

Inoltre, il grosso della manodopera è dislocato a Parigi, dove gli animatori ricevono un compenso più basso rispetto agli standard dell’agguerritissimo mercato americano – gli animatori americani sono più consci del loro valore, tanto che i colossi del settore (Disney, Pixar, DreamWorks, Sony) sono finiti sotto accusa per aver creato un cartello che calmierasse i salari dei dipendenti. Con un budget spartano, la controllata Universal può permettersi di spendere più risorse nella promozione. E ciò ha permesso al franchise di Cattivissimo me di diventare i film più remunerativi nella storia centenaria della Universal. Certo, Coco ha vinto innumerevoli premi (tra cui due Oscar) ed è ricordato come uno dei film più belli dello studio, mentre di Cattivissimo me 3 si fa fatica a ricordare anche solo a spanne la trama, tanto è fagocitata dalle gag con protagonisti i Minion, l’esercito di creaturine gialle al servizio di Gru. Questi esserini vestiti con la salopette che parlano un grammelot di lingue (italiano, francese, inglese, spagnolo, giapponese, coreano e tedesco), e si esibiscono in pantomime e scenette fisiche, sono diventate icone moderne che hanno colonizzato l’immaginario comune, diventando basi per umorismo facilone e un portentoso fenomeno di merchandising.

L’alternativa possibile

I critici e le giurie dei premi non hanno mai esaltato granché le produzioni Illumination – ma neanche, tranne alcuni casi, demolito. Però è indubbio che la nomea di un film Illumination non sia quella di un film Pixar. Il metodo di produzione, più svelto e meno sognante, ha influito sul risultato finale? Non necessariamente. Brad Bird diresse Ratatouille (il film premio Oscar in cui un topo sogna di diventare chef in un ristorante parigino) in tutta fretta, lavorandoci appena un anno e mezzo, dopo che la produzione aveva licenziato il precedente regista. E la lavorazione del medievaleggiante Ribelle. The Brave si protrasse per moltissimi anni, producendo comunque un risultato mediocre. Quello che può invece aver pesato sull’equazione Illumination è la ricerca precisa di film mediani che colpiscano la pancia dello spettatore, senza avere grandi pretese artistiche o afflati art house.
In un settore che ha perso i propri santini, tra John Lasseter investito dagli scandali e poi reinventatosi in una dimensione più indie, e un opaco Jeffrey Katzenberg disperso in progetti fallimentari, la fama di Meledandri come re Mida dell’animazione è aumentata esponenzialmente. E così, quando nel 2017 Universal inglobò gli studi d’animazione DreamWorks nel suo catalogo, si pensò inizialmente che lui avrebbe supervisionato anche i nuovi progetti dello studio di Shrek e Dragon Trainer, ma poi il mogul mise in chiaro che avrebbe continuato a dedicare le sue attenzioni solo a Illumination, offrendosi però di ripensare il franchise di Shrek per una nuova generazione di spettatori. Ha senso, dopotutto. Quella di Shrek è una serie di film con protagonista un cattivo ripugnante, una forte componente post-moderna e un’abbondante dose di gag a base di rutti, le fondamenta anche di Cattivissimo me. Messa così, sembra che il destino di Illumination sia di diventare la DreamWorks degli anni Venti, una casa cioè che sappia rivaleggiare con Disney-Pixar (approssimando un po’), offrendo un’alternativa sfacciatamente civettuola, furba, perfino orgogliosa di essere il minimo comun denominatore dell’animazione.


Andrea Fiamma

Scrive (soprattutto) di fumetti, cinema e tv su Fumettologica, Rivista Studio e The Comics Journal.

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