Era difficile prevedere, anche solo qualche anno fa, un amore trasversale e diffuso come quello che quest’estate ha investito Orietta Berti. Fenomenologia social di un fenomeno solo in parte musicale.
Orietta Berti, Gianni Morandi, Beppe Vessicchio, Loredana Bertè: sono grandi artisti e professionisti dello spettacolo, ma quello che oggi li accomuna è un’altra cosa. Sono tutti dei boomer che approcciano la Internet culture con laissez faire e un po’ d’ingenuità, si prestano ai meme, sui social sono capaci di generare una pioggia di like e una quantità impressionante di engagement con sentiment squisitamente positivo. È solo un effetto nostalgia? E se così fosse, perché si manifesta solo per alcuni mentre per altri no? Per loro il termine boomer è usato bonariamente e non come un’offesa. Di solito, infatti le community online di zoomer e millennial lo usano come insulto rivolto a “tutte quelle persone con atteggiamenti o modi di pensare ritenuti superati”, su temi quali il cambiamento climatico e le battaglie per i diritti civili. Di contro, i boomer sono quelli che fanno notare che, per le nuove generazioni, lottare significa soprattutto comprare borracce in alluminio alla moda o mettere i pronomi nella bio di Twitter. In ogni caso, la Berti si presta come ottimo caso per inquadrare il fenomeno. Se “OK Boomer” segnava la fine del rapporto amichevole tra generazioni, Orietta può essere il primo passo verso il risanamento?
La svolta Sanremo
Da Sanremo a oggi, Orietta Berti ha triplicato le sue fanbase su tutti i canali social, soprattutto Instagram e Twitter. Tra le emoji associate al suo nome spicca quella dell’aereo, dall’inequivocabile significato: ciò che “fa volare”, in grado di esaltare le community online. Il sentiment? Totalmente positivo. Orietta Berti non polarizza: in qualsiasi content venga inserita, non solo fa da trigger, ossia attira l’attenzione generando reach ed engagement, ma appiana la barra rossa del grafico, quella che indica i commenti critici, in favore di quella verde. Chi sono nello specifico gli utenti che la amano? In maggioranza si tratta di giovanissimi con she/her o he/him, bandiere arcobaleno e unicorni nella bio, con i Måneskin o i BTS nella foto profilo. Si dichiarano “Orietta Berti stan account” (o “bimbe di”) e la amano in quanto “Unproblematic Queen”. È questo che piace di lei: dà l’idea di una persona in pace con se stessa, capace di trasmettere serenità a chi le sta vicino. Un po’ come il sempre sorridente Gianni Morandi, solo che in più la Berti ha esteticamente un tocco queer fatto di piumaggi, lustrini e scarpine d’argento, con outfit che abbiamo visto indosso a nonne e zie, in technicolor. L’innamoramento popolare per la Berti era già stato decodificato da Tommaso Labranca che le aveva dedicato un libro, La vita secondo Orietta, pubblicato nel 1997, benché all’epoca fosse “snobbata dagli intellettuali”, ritenuta cantante “della mediocrità e dell’Italietta”. Per Labranca, invece, Berti “è una donna che tutti si fermano a salutare, ricevendone in cambio tanta cordialità”, la cantante della medietà, media ma non mediocre, in cui chiunque può identificarsi (aveva praticamente dato la definizione dell’influencer perfetta, di una Chiara Ferragni ante litteram).
È comunque durante le serate sanremesi che Stantwitter, ossia la community degli stan su Twitter, si è accorta di Orietta Berti, spingendola in alto nei trend e in quel momento probabilmente intercettata dai data analyst al servizio dei Ferragnez. Durante le prime serate, infatti, la coppia Fedez & Michielin veleggiava a metà classifica, nonostante la canzone e la performance imbastita in maniera algoritmica: c’era la battaglia per i diritti civili, c’era il nome di un film molto amato. Eppure, i social network sono così: ti affidi ai dati e credi di aver capito i gusti del pubblico, ma poi i trigger non si attivano. È in questi casi che bisogna essere pronti a ottimizzare il processo: per risollevare la canzone sanremese dalla classifica Fedez ha fatto appello ai follower di famiglia e nel frattempo già vedeva l’opportunità di un featuring con Orietta Berti. Se poi i follower non sono bastati contro i Måneskin, amatissimi dalle community, l’operazione del featuring è invece riuscita: “Mille” è una delle maggiori hit dell’estate, un’altra canzone algoritmica con sponsor incorporato, dove però il cantato cristallino di Orietta Berti spicca come un papavero rosso in un prato. A essere stati convertiti in meme sono stati solo i frame del video dove appare lei e non Fedez o Achille Lauro, ed è riuscita a non perdere un grammo della sua autenticità.
Trasfigurazione social
Benché lei sia sempre la stessa, i social continuano con la loro opera infinita di pesca dalla realtà per restituirla in una forma inedita: in questo senso, per le community Orietta Berti è diventata una specie di Lady Cocca o la versione camp delle fate svampite ne La bella addormentata nel bosco della Disney. Ma a parte inserirla in uno storytelling nel ruolo che fa comodo, poi gli stan approfondiscono l’artista e la sua arte? Se guardiamo i dati di streaming si nota che non c’è un vero recupero della discografia della Berti: la canzone che stacca tutte le altre, e che arriva a quasi un milione di stream al giorno, è solo “Mille”; al secondo posto, e già si scende sotto i 5mila stream, rimane “Finché la barca va”, al terzo la sigla di Lupin. Il resto della discografia nel periodo di crescita degli account social vede variazioni minime. Lo stesso vale per TikTok: “Mille” nell’ultimo mese è stata linkata in quasi 80.000 video, “Finché la barca va” in 750 (fonte: Soundchats). Nell’attuale human stock market, con i personaggi famosi al posto dei titoli in borsa, non ha importanza il valore dell’opera artistica in sé, che anzi può essere un format che si ripete sempre uguale, ma l’identità è quella che conta e che si aggancia al valore reputazionale, che sale e scende se in accordo o disaccordo con la richiesta del mercato e cioè degli utenti sui social media. Quella di Orietta Berti aderisce alla richiesta di un’immagine pacificante e domestica, e lo stesso succede con personaggi come Gianni Morandi e Beppe Vessicchio.
Sul lato opposto di questa tempolinea potremmo collocare Natalia Aspesi, assolutamente refrattaria alle richieste dei social: è femminista senza indossare magliette Dior instagrammabili, né piumaggi fluo, e soprattutto non ha paura a far notare incongruenze, di esporre punti di vista davvero controcorrente. E infatti gli stessi utenti stan account di Orietta non risparmiano commenti dove le danno della “vecchia rincoglionita”, con immancabile richiesta di “non farla più scrivere”. Sicuramente la musica di Orietta non è divisiva come può essere la scrittura della Aspesi. Ciononostante, risaltano i pesi e le misure diverse che si adoperano nei confronti della macrocategoria boomer. “OK Boomer” non è usato per l’età anagrafica, sancisce più l’aderenza o la non aderenza alla fanfiction del giorno. Orietta Berti si è prestata con consapevolezza, in fondo si riconosce nel ruolo e probabilmente riconosce anche il pubblico a cui era abituata: quello delle balere, delle sagre di paese, quello nazionalpopolare. Con la differenza che alle sagre di paese non c’è l’eventualità di venire cancellati in caso di parole di troppo o pronomi sbagliati: la sagra di paese tutto sommato si è rivelata più progressista di certe parti di internet.
Laura Fontana
Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.
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