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Dove si nasconde (e come si racconta) il Male

Dove nessuno guarda, di Pablo Trincia, approfondisce l’omicidio di Elisa Claps. E in mezzo a tanto fumo e a molti errori, il colpevole, Danilo Restivo, merita di essere aggiunto alla lista dei serial killer italiani.

Mi è capitato di leggere la risposta di Ennio Flaiano a un editore americano, sul perché non scrivesse un poliziesco su Wilma Montesi, il primo caso italiano di cronaca nera ad avere un forte impatto sui media. Flaiano gli risponde che “non si tratterebbe mai di scoprire il colpevole ma di capire chi è che lo nasconde, come e perché, insomma di fare ogni volta un processo a noi stessi”. La frase mi è tornata in mente ascoltando il nuovo podcast di Pablo Trincia, Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps, che fa un ottimo lavoro di ricostruzione della scomparsa della sedicenne di Potenza, avvenuta nel 1993. Il colpevole è sempre stato Danilo Restivo, l’ultima persona che Elisa ha visto da viva. Eppure, le indagini dall’inizio non si soffermano su di lui, innescando una serie di errori a effetto domino che costeranno la vita a un’altra donna, Heather Barnett, vicina di casa di Restivo quando si trasferisce in Inghilterra per allontanarsi da Potenza. Restivo dovremmo inserirlo senza ombra di dubbio nella lista dei serial killer italiani, e tra i più sadici, con il mostro di Firenze (chiunque esso sia) e Donato Bilancia (casualmente anche lui originario di Potenza); eppure l’opinione pubblica fatica a recepirlo così. Nell’immaginario rimane il fessacchiotto figlio di papà, con un sospetto ritardo mentale, che ha fatto quello che ha fatto perché protetto dalla famiglia e poi, a cascata, dai preti, dalla chiesa, dai poliziotti incapaci, dai magistrati corrotti, dal paese omertoso. Invece, dalla ricostruzione che fa Trincia nel suo podcast, puntata dopo puntata viene fuori che la verità e il “male” come al solito sono molto più banali: nessuno ha voluto mai ammettere di essere stato manipolato (a volte anche goffamente) da un fessacchiotto bugiardo, che non somiglia di certo ai serial killer come sono ritratti nelle serie tv.

Provincia profonda

Il caso Claps è una storia fin da subito caratterizzata da una certa coralità, tipica della provincia italiana, fatta di bisbigli alle spalle, cose osservate con la coda dell’occhio, voci che girano tra i banchi di legno scricchiolanti della chiesa, e nei bar dove ognuno dice la sua con la tazzina di caffè in mano. Per lungo tempo non si è saputo cos’era successo davvero a Elisa, però tutti a Potenza suggerivano alle proprie figlie di non avvicinarsi troppo a Danilo Restivo, quel ragazzo un po’ strano, imbranato, preso sempre in giro. Uno che, però, a 13 anni quasi ammazza un bambino di 11, in una dinamica che sembra sceneggiata da Stephen King. L’incidente “dei due cuginetti” non era mai stato ricostruito bene, invece Trincia è riuscito a intervistare uno dei sopravvissuti (per chi dice che il giornalismo investigativo non esiste più in Italia). L’incidente sarà chiuso dal padre di Restivo dando soldi alle famiglie; per risultare più convincente e per convincere le famiglie a ritirare la denuncia, si era presentato alla loro porta facendosi accompagnare da Don Mimì, il “potente” parroco locale. Quest’interessamento di Don Mimì nelle vicende della famiglia Restivo alimenteranno i mormorii di paese, anche che Danilo sia figlio del prete (cosa mai accertata), e sposteranno tutta l’attenzione verso la Chiesa delle Santissima Trinità, la più importante della città, quella dove ogni domenica si ritrova la borghesia potentina. Dopo il ritrovamento di Elisa Claps nel sottotetto nel 2010, la chiesa è rimasta chiusa e riaperta solo quest’anno a fine estate con il proposito di diventare, secondo le parole di Papa Francesco, “un luogo per la preghiera silenziosa, l’adorazione, la ricerca del conforto interiore e spirituale e per la promozione di una serena riflessione sulla sacralità della vita, avendo cura di custodire la memoria di Elisa”.

Dalla ricostruzione che fa Trincia nel podcast, viene fuori che la verità e il “male” come al solito sono banali: nessuno ha voluto mai ammettere di essere stato manipolato (a volte anche goffamente) da un fessacchiotto bugiardo, che non somiglia di certo ai serial killer come sono ritratti nelle serie tv.

La chiesa, nel caso di Elisa Claps, viene fatta diventare uno di quei luoghi sinistri, dove si materializza l’oscurità umana e il demonio si prende gioco dei ministri del culto. D’altronde è lì che è stato trovato il corpo di Elisa, ma è anche vero che molto probabilmente Restivo l’ha portata in quel sottotetto perché è luogo isolato (non troppo isolato, dal podcast si scopre che chi voleva fumarsi una canna in pace, o bere, o copulare con l’amante andava nel sottotetto). Insomma, anche la chiesa diventa qualcosa che sposta l’attenzione da Danilo Restivo, tant’è che nelle recensioni alla chiesa su Google (una stella) c’è ancora oggi chi scrive: “Stiamo ancora aspettando la verità. Inf4m1”. Indubbiamente la famiglia Restivo è quella che è (a posteriori, è una famiglia che copre un serial killer psicopatico), i preti si comportano tutti in maniera sospetta (chi mente, chi scarica il barile, chi fa gaslighting alle signore delle pulizie), i magistrati sembrano tutti corrotti dai soldi di Restivo sr. (in fondo, è solo il direttore di una biblioteca), i poliziotti e gli investigatori sembrano tutti come il commissario Winchester dei Simpson. Ciononostante, la verità è una: il colpevole è Danilo Restivo. Il passaggio più cruento del podcast di Trincia è quello in cui è ricostruito il delitto di Heather Barnett, sarta inglese il cui corpo sarà orrendamente sfregiato da Restivo: un omicidio pianificato in ogni dettaglio (benché poi eseguito alla solita goffa maniera), dalla tempistica alla pulizia delle tracce, fino alla data (tutte le sue vittime, due accertate e una sospetta, sono uccise il 12 del mese); quello che più terrorizza però è quando arriva la consapevolezza che Restivo sapeva che il corpo sarebbe stato ritrovato in quelle condizioni dai figli di 11 e 14 anni. 

Natura umana

Anche il caso di Elisa Claps, così come tutti gli altri casi di cronaca nera, è uno studio che svela la natura umana nelle sue molteplici sfaccettature; una storia che insegna qualcosa che nessuno vuole imparare. Per esempio, che Danilo Restivo è quel tipo di serial killer che è riuscito a far fessi tutti quanti, a Potenza come in Inghilterra, e non in virtù del suo essere particolarmente furbo o col QI alto, ma perché ha l’aspetto di un babbeo con un qualche ritardo mentale. E questo aspetto è quello che ancora oggi influenza il modo in cui si parla di lui, quello che non ce lo fa riconoscere come serial killer ma come tizio che ci fa “un po’ pena” e che “doveva essere curato” (si può davvero curare un serial killer?). La stessa umana pietas che ha spinto Elisa Claps nel sottotetto della chiesa, dove lui l’ha barbaramente uccisa. Insomma, è più facile incolpare “la società”, “la chiesa” e dire “la colpa è di tutti”, piuttosto che riconoscere che uno come Restivo sia stato capace di manipolare tutte le persone intorno a lui, che hanno agito in virtù dell’affetto, o per benevolenza, o per pietà, o con quelle buone intenzioni di cui è lastricata la via dell’inferno. Questa storia insegna che siamo più disposti a dare colpe collettive generiche, piuttosto che riconoscere le responsabilità individuali, soprattutto quando l’individuo in questione non corrisponde all’idea che ci siamo fatti di un criminale. La colpa è sempre “di tutti noi”, della società “che non funziona” perché qualcuno non sta dicendo la verità (in Italia di solito è il Vaticano, che nell’immaginario collettivo nazionale continua a essere l’unico detentore di verità). 

La storia di Elisa Claps insegna che siamo più disposti a dare colpe collettive generiche, piuttosto che riconoscere le responsabilità individuali, soprattutto quando l’individuo in questione non corrisponde all’idea che ci siamo fatti di un criminale.

Le brutte storie di cronaca con cui si riempiono i media sono storie che insegnano sicuramente molte cose, ma nessuno sembra disposto veramente a imparare: servono solo nell’immediato a farci sentire moralmente superiori rispetto al colpevole più plausibile, a intrattenerci nella nostra indignazione, che va però scaricata in qualche modo, magari con la richiesta di castrazione, con la pena di morte, con linciaggi pubblici, con il famoso “capro espiatorio”. E la verità è infatti proprio lì, dove nessuno guarda: nell’aberrazione umana incarnata in un individuo goffo e brutto.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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