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Frammenti

Musica da vedere

La televisione, la sua storia, ma anche i ricordi, le vite di tutti noi. Un intreccio costante. Continua qui un percorso d’autore attraverso i decenni. Con Mister Fantasy, nuove canzoni, altri discorsi.

All’inizio c’era la radio, ma questo è ovvio. Quindi lo dico meglio, per noi ragazzini la musica, fino al 1981, era la radio. È vero, in tv c’era un programma musicale, Discoring, ma lo ignoravamo: playback ad libitum, tre minuti scarsi di esibizione, tutta roba commerciale, da classifica – dicevano quelli di noi più grandi, non è musica quella. Naturalmente dovete fare un sforzo e immaginarvi il contesto, cioè Caserta, la città dove abitavo. Divisa tra fermenti culturali innovativi (il teatro, la pittura) e conformismi vari. Pochi cittadini che guardavano fuori dalle mura e tanti che dentro quelle mura si rintanavano.

Però noi ragazzini al teatro non andavamo, la pittura era roba per grandi, alla fine rimaneva la musica: era lo strumento privilegiato per sollevarci sopra la città e viaggiare. Ma quale musica? Non quella che passava in televisione, no, appunto, come detto ci voleva la radio. Oppure ci voleva uno più grande che, incredibile, era andato a Londra o Berlino e aveva comprato dei dischi, di quelli che a Caserta non trovavi nemmeno se pagavi oro. Siccome aveva un favoloso impianto stereo, capitava che metteva su il disco e la musica si diffondeva nell’aria. Ci posizionavamo sotto le sue finestre e cercavamo la posizione giusta per sentire meglio. Così, con quel ritmo, facevamo – mi ricordo – dei viaggi astrali, vedevo delle cose colorate, onde sonore come arcobaleni, ma si trattava di rare occasioni, un po’ misteriose.

Finché una sera – primavera inoltrata – un amico mi telefonò. Era tardi, stavo già a letto, l’indomani avevo scuola, ultimi giorni, ultime interrogazioni. Rispose mio padre, tra l’altro preoccupatissimo: quando si telefona a quest’ora sono solo brutte notizie, qualcuno è morto o sta lì lì per farsi la cartella. Non era morto nessuno, l’amico cercava me, mi diceva di accendere il televisore su Raiuno: c’era un programma fantastico, la seconda puntata, si chiamava Mister Fantasy, musica da vedere. Accesi e fu una rivelazione, un incanto. Nonostante mio padre avesse preso a smadonnare contro questo mio amico che aveva chiamato alle 23, svegliando tutti, e diciamo così con le imprecazioni rovinava l’atmosfera, guardando il programma intuii che qualcosa era morto davvero e per fortuna: erano morti gli intenditori di musica classica, quelli che solo al San Carlo di Napoli si ascolta musica, il resto è munnezza. I cultori della tradizione canora napoletana, quelli che la musica odierna tipo Pino Daniele fa schifo. Ma erano morti pure certi fanatici della musica jazz, quelli che o questo o niente. Erano morti. Da ora in poi la musica sarebbe stata qualcosa di vivo anche perché si vedeva, e si poteva ascoltare meglio e capire di più. Insomma, stavo entrando in un’altra epoca, e avevo appena compiuto 15 anni, chissà il futuro.

Il programma andava in onda alle 23, ma spesso sforava. All’epoca la movida non esisteva, quindi dalla strada non arrivava nessun rumore, e non tutti i lampioni erano accesi, dunque era veramente notte. Si creava un strano effetto limbo. La notte fuori sembrava il prologo dei sogni, meglio delle visioni musicali che avrei visto grazie a Mister Fantasy. Lo spazio bianco del set e gli abiti bianchi di Carlo Massarini – che entrava in scena da un tunnel, dal buio alla luce, e usciva di scena dallo stesso tunnel – quelli poi mi colpirono molto. Fuori appunto era notte e il buio evidenziava meglio lo studio televisivo tutto bianco: nero e bianco. Ma quel bianco sembrava un lenzuolo sul quale proiettare delle immagini. 

Da ora in poi la musica sarebbe stata qualcosa di vivo anche perché si vedeva, e si poteva ascoltare meglio e capire di più. Insomma, stavo entrando in un’altra epoca, e avevo appena compiuto 15 anni, chissà il futuro.

Poi nelle puntate successive – il lunedì non era più il peggior giorno della settimana, perché preparava la festa del martedì sera, cioè l’arrivo di Mister Fantasy – presi a notare altri dettagli: gli effetti da videogioco, per esempio. Nel 1981 cominciavano a diffondersi e ci passavo ore a giocare, soprattutto d’estate, quelle linee elementari fluorescenti, i rumorini, gli omini stilizzati, le astronavi, ancora una volta quella sensazione di novità: sperimentavamo nuovi mondi. Ebbene, c’era una perfetta congruenza di intenti, tra videogiochi e Mister Fantasy, la musica da vedere stava per diventare patrimonio di tutti, ragazzini e adulti, un po’ come i videogiochi che da lì a poco avrebbero cambiato l’estetica del mondo, sia quella dei ragazzini sia degli adulti. La musica da vedere – suggeriva il programma – era democratica, vedere la musica significava aggiungere uno dei 5 sensi, dunque partecipare meglio all’ascolto.

La musica dovrebbe essere democratica di per sé. Un po’ perché come diceva Fanny Ardant, nel film La signora della porta accanto, anche le canzonette sono belle, anzi più sono stupide più mi piacciono: più sono stupide più sono vere… e poi non sono stupide. Che dicono? Dicono non devi lasciarmi, senza di te in me non c’è vita, oppure senza amore non siamo niente. Un po’ perché la musica è un’arte primordiale, se dovessi scegliere un disco da portare su un’isola deserta (con impianto per la riproduzione ed energia elettrica, ovvio), sceglierei una qualunque ninna nanna, un suono ancestrale e protettivo che sono sicuro mi permette di arrivare indenne anche all’inferno. La musica in ragione della magnifica stupidità di cui sopra e del suo status artistico primordiale è appunto accogliente, è per tutti.

Mister Fantasy ampliava il concetto. Perché inglobava varie forme d’arte. Le spiegazioni sociologiche di Massarini che nobilitavano la musica, le interviste di Mario Luzzatto Fegiz che una volta presentò in trasmissione la migliore macchina attoriale che abbia calcato le scene, uno che cantava la voce, cioè Carmelo Bene e i meravigliosi artigianali video clip di Ivan Cattaneo e Mario Camerini, gli speciali su Franco Battiato, la storia stregonesca con cui veniva presentata Teresa de Sio, il film su Pierangelo Bertoli o su Mimmo Cavallo e una strana cantante, Gianna Nannini che ci portava in giro per Siena e per l’Europa, ecco tutto questo significava mettere un bollino nuovo: si può giocare con la musica, raccontarla per immagini, usarla come riflessione antropologica, fare percepire la forza estetica, recitarla, adattarla, usarla come sfondo. La musica insomma permette di ragionare sui sentimenti in senso lato: anzi è una porta d’accesso privilegiata a un mondo colorato – per non parlare dei cantanti londinesi, berlinesi, americani, e dei generi musicali di cui non avevamo idea, insomma, oltre Caserta c’era un mondo. La novità? Con due accordi potevamo frequentarlo.

C’era una perfetta congruenza di intenti, tra videogiochi e Mister Fantasy, la musica da vedere stava per diventare patrimonio di tutti, ragazzini e adulti, un po’ come i videogiochi che da lì a poco avrebbero cambiato l’estetica del mondo, sia quella dei ragazzini sia degli adulti. La musica da vedere era democratica, vedere la musica significava aggiungere uno dei 5 sensi, partecipare meglio all’ascolto.

Mister Fantasy – pensai all’epoca e condivisi questa sensazione con gli amici – mi portava nel paese delle visioni, giocavo, ascoltavo, vedevo, ragionavo, acquisivo punti di orientamento. Il tutto in 50 minuti.

E le sigle di chiusura non portavano con sé quella malinconia solita – quanto era struggente Gabriella Ferri che cantava “sempre” sulla tangenziale di Roma, in costruzione –, quelle di Mister Fantasy erano energetiche, vere scosse. Massarini raccontava cosa stavamo per vedere, poi si congedava, dava appuntamento alla prossima settimana e ti lasciava in compagnia della sigla. Per la prima volta potevo vedere alcuni gruppi di cui i più grandi parlavano tra loro perché leggevano le riviste di musica specializzate, difficili da trovare. Ricordo i Rolling Stones, ad Hyde Park, nel 1969, Sympathy For The Devil. Massarini disse che gli Stones erano accompagnati da una banda di negroni alle percussioni. Perché ora la n word è vietata (ed è giusto così) ma all’epoca testimoniava la forza di una certa musica, anzi volevamo esseri tutti neri o perlomeno neri a metà o comunque metà figli di Caserta metà figli del mondo: ci voleva un certo ritmo, dovevamo vederlo per imparare a usarlo. Ricordo anche un’altra loro canzone, nel tour Still Life, Jagger cantava con un cappello bianco in testa, il tempo è dalla mia parte. Per anni è stata la mia canzone preferita e penso che poi quel poco che ho fatto come scrittore lo devo alla musica, e a Mister Fantasy soprattutto. In quelle notti ho visto la musica, non solo come semplice fonte sonora ma come strumento non convenzionale da cui tranne ispirazione: sì, stavo partecipando a un cambiamento (estetica, moda, etnico, globale, Londra, Berlino e Caraibi, elettronica e folk) e avevo già le coordinate: il tempo era dalla mia parte.

Per anni ho sognato di incontrare Carlo Massarini, per ringraziarlo. Un giorno – si stava per entrare nel secondo millennio – venne organizzata una partita di basket. Non giocavo da anni, forse 10, proprio fuori forma, nemmeno il terzo tempo mi riusciva bene, e contro di me chi ti vedo? Carlo Massarini. Vi devo dire la verità? Per tutto il tempo non ha fatto altro che darmi addosso e insultarmi, che vuoi fare, i miti non vanno conosciuti. Però poi da fondo campo qualcuno fece un lancio. Ero quello più avanzato ma la palla aveva una traiettoria strana, non ci arrivavo e infatti ho esitato anche perché Massarini era dietro di me e mi rincorreva. Ma sapete una cosa? Sentendolo arrivare, ho avuto una visione, ho fatto due passi e sono saltato, ho preso la palla e al volo con un sottomano l’ho infilata nel canestro: un canestro da Nba, hanno detto tutti. Tranne Massarini: ma questo è solo culo! Gli ho risposto che era senso del ritmo, faceva stravedere cose. E lo dovevo a lui. Mi sembra che si sia messo a ridere.


Antonio Pascale

Giornalista e scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con Il Mattino, Lo Straniero e Limes. Tra le sue opere: La città distratta (1999), La manutenzione degli affetti (2003); S'è fatta ora (2006), Le aggravanti sentimentali (2016).

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