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Profezie avverate

McLuhan, il cyberpunk e me

Rilettura d’autore del pensiero di Marshall McLuhan. Seguendo le sue alterne fortune, se ne scopre la modernità radicale, e la forte influenza dagli anni Ottanta a oggi.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Link Mono - Marshall McLuhan del 04 luglio 2011

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La rilettura di McLuhan a più di cento anni dalla nascita suggerisce alcune considerazioni che, un po’ sul serio e un po’ scherzosamente, ho riassunto in due regole.

La prima è che il profeta che vuol raccogliere i frutti delle sue profezie deve limitarle al futuro prossimo, se non all’immediato presente. Chi va troppo in là nel tempo, come Debord nel delineare la società dello spettacolo, o McLuhan nella descrizione dell’influenza neurologica dei total network, sarà a lungo incompreso, riconosciuto come maestro solo dopo la morte.

La seconda è che per vedere la rottura delle regole che hanno costituito un’episteme consolidata ci vuole un gran conoscitore di quelle regole. Solo un accademico può cogliere aspetti rivoluzionari della società che lo circonda. Solo un pedante sostenitore dell’ordine può segnalare la rottura dell’ordine consolidato. Solo dalla conservazione può venire la critica di quel nuovo, di quel presente che la gran massa di chi lo vive non è ancora in grado di percepire con straniamento e lucido distacco.

Ma quando la critica è costruita e il presente è messo in luce nei suoi aspetti salienti, l’accademico, unica persona in grado di percepire il cambiamento, è confuso con il fan del futuro che avanza. Ha operato come apocalittico, ma è percepito come integrato, sostenitore acritico del nuovo che avanza.

Prima di McLuhan la comunicazione e la cultura di massa non erano oggetto di studio. La cultura aveva oggetti “alti” come la letteratura, le regole retoriche, gli studi tradizionali. Ma appena McLuhan irrompe nel panorama culturale internazionale, tutti trovano naturale parlare di cultura di massa: dopo la sua Sposa meccanica (1951), Barthes scrive Mythologies ed Eco Apocalittici e integrati. Eco apre il libro proprio con l’esposizione del pensiero di McLuhan, ma lo pone tra gli integrati, mentre McLuhan si è sempre dichiarato apocalittico. Apocalittico, pedante, tradizionalista, McLuhan esordisce come professore di letteratura inglese: ma già all’epoca dei suoi studi era inviso agli insegnanti perché abituato a far le pulci alle loro citazioni di opere che, imparate a memoria da piccolo per insistenza della madre, conosceva in ogni dettaglio. Alla preparazione accademica tradizionale vanno poi aggiunti i suoi interessi spirituali.

McLuhan si converte da adulto al cattolicesimo. E la sua è una conversione importante. Per tutta la vita frequenterà ogni giorno la Chiesa e dirà ogni giorno il rosario. Cosa c’entra la pedanteria con il nuovo l’ho già spiegato. Cosa c’entra la religione con la comunicazione cerco di spiegarlo ora.

Il suo più recente biografo, Douglas Coupland, suggerisce l’analogia tra McLuhan e Warhol. Entrambi, in un mondo invaso dalla pubblicità, percepiscono il cambiamento e l’influenza dei nuovi media sul pubblico. L’uno fonda la mediologia, l’altro immortala a livello visivo l’universo pop. Entrambi sono in grado di dare un significato alle immagini che silenziosamente cambiano la coscienza del pubblico. L’attenzione all’immagine, la capacità di decodificarne gli aspetti di propaganda, non a caso, li accomuna. Ignoravo che Warhol fosse cattolico praticante, ma quando l’ho saputo ho capito che non poteva essere altrimenti. Se McLuhan e Warhol hanno in comune il fatto di essere cattolici, McLuhan ed Eco hanno in comune gli studi e l’apprezzamento per San Tommaso d’Aquino. Insomma, solo un medievalista può essere così contemporaneo, solo un cattolico può coniugare la fede nell’aldilà con l’attenzione per il contingente e il caduco. Tutto nasce dal fatto che il cristianesimo è l’unica religione monoteista che ammette la raffigurazione della divinità. Se Dio trascende l’uomo, è irrappresentabile.

La sua raffigurazione in termini materiali è idolatria, come ci spiega la Bibbia nell’episodio del vitello d’oro. Ma nel cristianesimo Dio si fa uomo nella figura storica del Cristo. Il Verbo si fa carne. Da questa affermazione deriva il viatico alla rappresentazione visiva del tema religioso: è perché il Verbo si fa carne che esiste la storia dell’arte occidentale. Il primo massmediologo della storia è papa Gregorio Magno (540-60). Nei primi secoli anche il cristianesimo vive il conflitto tra rappresentabilità e irrappresentabilità dell’immagine che sfocerà nell’iconoclastia, condannata dal II Concilio di Nicea nel 787. Gregorio intuisce l’importanza della comunicazione: il cristianesimo è una dottrina nuova e ha bisogno di propaganda per divulgare il suo credo. Secondo la tradizione, Gregorio Magno fonda le regole del canto gregoriano e riconosce che la rappresentazione in immagini può essere utile per presentare il Vangelo a quanti non sanno leggere, ma devono conoscere gli episodi della vita di Cristo.

La forza dell’immagine è riconosciuta nei suoi aspetti comunicativi. Ma non basta: c’è una tradizione cristiana che autorizza, anzi promuove, l’uso dell’immagine a fini di evangelizzazione. Ma solo il cattolicesimo coniuga l’immagine con un fattore altrettanto importante: la storicità. McLuhan nasce protestante, ma non a caso diventa cattolico. Per un protestante è essenziale la lettura diretta dei testi sacri: la verità è immutabile, eterna. Per un cattolico la verità, la parola divina, è frutto di interpretazione e, come tale si evolve nel tempo con i Papi, i concili, l’evoluzione dei costumi. Anche se crede solo nell’eternità, un cattolico è il miglior interprete dello spirito del tempo. Anzi, proprio dal contrasto tra eterno e contingente nasce lo straniamento che gli permette di decifrare il presente in cui i più galleggiano inconsapevoli. Non possiamo dire che McLuhan sia stato il profeta del presente nonostante fosse accademico e osservante: proprio queste qualità gli hanno permesso di osservare i tempi con il necessario distacco e da un’ottica nuova.

Tutto il pensiero critico europeo costruisce la sua presa di distanza, il suo straniamento dal presente, servendosi dell’excursus storico. Così fa la scuola di Francoforte ispirandosi a un famoso motto di Lukács che dichiarava che il presente andava indagato come storia, come una realtà consolidatasi nel tempo e perciò non naturale. Foucault fonda una nuova disciplina, l’archeologia, per leggere le fratture epistemologiche tra presente e passato. Anche McLuhan fa un percorso analogo quando parte dagli studi accademici su un oscuro autore del Cinquecento, Thomas Nashe, ma inaspettatamente rovescia la prospettiva, capovolge l’obiettivo del cannocchiale, dal passato al futuro. Non dobbiamo svelare il presente facendo riferimento al passato. Dobbiamo capire il presente osservandolo dal futuro.

“Guardiamo il presente in uno specchietto retrovisore. Arretriamo nel futuro”.

In veste di intellettuale d’avanguardia sofisticato, McLuhan compare in un film di Allen. Ma c’è un’altra immagine cinematografica di McLuhan, più inquietante e insolita. Nel 1983 Cronenberg in Videodrome si ispira a lui per il personaggio del prof. Brian O’Blivion, deus ex machina della storia. Brian O’Blivion non compare mai, se non tramite registrazioni tv.

L'epoca del malessere totale

Le opere maggiori di McLuhan si collocano in un breve arco di tempo. La sposa meccanica è del 1951, La galassia Gutenberg del 1962, Gli strumenti del comunicare del 1964. Mythologies di Roland Barthes è del 1957, Apocalittici e integrati di Eco del 1964, la pop art nasce nel 1959-1960. Fino a poco prima non c’era nulla, non esisteva un’attenzione al presente. Da buon accademico e studioso di letteratura, McLuhan applica la nuova critica al quotidiano, e rende il quotidiano comprensibile e degno di diventare oggetto di studi. Quello che segue è naturale. Tutti vogliono descrivere il presente, la comunicazione di massa, la figurazione popolare della pubblicità e della tv, l’esplosione dell’immagine. Un vuoto è stato colmato e ciò che prima sembrava eccentrico diventa “naturale”: l’apocalittico McLuhan è il miglior rappresentante del tempo presente, il suo entusiastico cantore. In veste di intellettuale d’avanguardia sofisticato, McLuhan compare in un film di Allen. Ma c’è un’altra immagine cinematografica di McLuhan, più inquietante e insolita. Nel 1983 Cronenberg in Videodrome si ispira a McLuhan per il personaggio del prof. Brian O’Blivion, deus ex machina della storia. Brian O’Blivion non compare mai personalmente, ma solo tramite registrazioni tv. Il segnale su cui è trasmessa la trasmissione televisiva Videodrome, che dà il titolo al film, ha la caratteristica di catturare lo spettatore, impiantando progressivamente nel suo cervello un tumore che il consumo televisivo alimenta. (Anche McLuhan ha avuto un tumore al cervello, dai primi anni Sessanta sino all’intervento del 1967 che lo lasciò a lungo debilitato).

Le inquietanti fantasie di Cronenberg prendono forma negli anni Ottanta e sono espressione di quell’immaginario cyberpunk che fiorisce appunto nella prima metà del decennio. Il cyberpunk anticipa apocalitticamente il mondo contemporaneo, la nascita dei social network, l’intelligenza collettiva, la percezione virtuale. Ed esprime l’angoscia dell’ibridazione del nostro corpo, della nostra sensibilità e del nostro pensiero con le nuove tecnologie di comunicazione. In Videodrome l’immagine tv diventa una mano che esce dallo schermo, la pistola si fonde con il braccio che l’impugna. Carne e tecnologia sono una sola cosa.

Già il film di Ridley Scott Blade Runner (1982) – dal romanzo di Philip Dick Cacciatore di androidi (1962) – anticipa la riflessione angosciosa sulle radici della nostra esistenza. Siamo naturali o replicanti, uomini o cloni della natura prodotti artificialmente dalle nuove tecnologie?

Tutta la fantascienza è apocalittica. Non è utopia, ma distopia: non esprime un sogno, ma un incubo. Lo scarto temporale nei confronti del futuro genera inquietudine. Ma perché questa inquietudine venga percepita, bisogna almeno che il futuro sia vicino, che la tecnologia che temiamo ci lambisca.

Il cyberpunk è lo sguardo apocalittico di ieri sul presente dei total network in cui ci muoviamo ormai da integrati. Il cyberpunk prende forma verso la metà degli anni Ottanta, quando già si era realizzata una frattura, tra la visione politico/impegnata degli anni 1968-79 e lo sviluppo abnorme della tecnologia.

Lo sguardo degli anni Ottanta sul futuro riporta di attualità McLuhan come profeta apocalittico e ispiratore di incubi, come l’esplosione dei total network ha ridato oggi attualità al suo pensiero perché perfettamente integrato nel presente.

Ma tra gli anni Sessanta e gli Ottanta c’è stato un ventennio in cui McLuhan ha rischiato di essere dimenticato, accantonato, giudicato inattuale. Tra i Sessanta e oggi ci sono circa cinquant’anni. Per convenzione nel campo dell’antiquariato, un manufatto di cinquant’anni può fregiarsi dell’etichetta di antico, esce dal modernariato per assumere maggior pregio. Fedele al suo motto, McLuhan descrive gli anni Sessanta da quella vertiginosa distanza che rappresenta il nostro presente. Con gli occhi di oggi il suo presente gli appare come antiquariato, oggetto di studio straniato, schiacciato tra due vetrini.

McLuhan sembra a suo agio nel descrivere con gli strumenti di allora il nostro presente. Le sue capacità profetiche lo rendono più contemporaneo per noi di quanto potesse esserlo per i suoi contemporanei.

Nel 1983 il suo pensiero era cyberpunk. Ma nel 1963 era folle e basta. C’è un inedito pubblicato in Italia da Lettera internazionale, “Rimorso di incoscienza”. E non è un caso che sia rimasto un inedito sino al 2008.

Abbiamo detto che La galassia Gutenberg è del 1962. È un’opera innovativa, ma parla del passato, della rivoluzione della stampa e della nascita dell’uomo moderno. Parla di un passaggio dalla tribalità all’età moderna e presagisce un ritorno alla tribalità in base all’irrompere dei nuovi media elettronici. Ne Gli strumenti del comunicare ci sono già osservazioni inquietanti, ma ci muoviamo ancora nel presente.

Rivoluzionaria è l’affermazione che i media sono un prolungamento, un’estensione dei nostri sensi, così che l’ibridazione cyberpunk tra corpo, carne e tecnologia è già rivelata. Ciò che in Italia viene tradotto Gli strumenti del comunicare è reso più propriamente in Francia con Per comprendere i media. I prolungamenti tecnologici dell’uomo. L’attenzione all’ibridazione è principalmente tecnologica e cognitiva: manca l’aspetto interiore, la riflessione dolorosa sulla metamorfosi della propria identità, la consapevolezza della mutazione abnorme della carne e del corpo modificati dalle nuove tecnologie, a livello di coscienza.

Questo sarà il cyberpunk. Ma, un anno prima de Gli strumenti del comunicare e vent’anni prima del cyberpunk, McLuhan aveva già affrontato il problema con il saggio “Rimorso di incoscienza”, che affronta gli effetti dei nuovi media sulla nostra coscienza e sul nostro sistema nervoso. Scrive sorprendentemente Marshall McLuhan nel 1963:

“Le tecnologie precedenti erano state estensioni di organi fisici: la ruota è un prolungamento dei piedi, le mura della città sono un’esteriorizzazione collettiva della pelle. I media elettronici, invece, sono estensioni del sistema nervoso centrale, ossia un ambito inclusivo e simultaneo. A partire dal telegrafo abbiamo esteso il cervello e i nervi dell’uomo a tutto il globo. Di conseguenza l’era elettronica comporta un malessere totale, come quello che potrebbe provare una persona che abbia il cervello fuori dalla scatola cranica. Siamo diventati probabilmente vulnerabili. L’anno in cui fu introdotto il telegrafo commerciale in America, il 1844, fu anche l’anno in cui Kierkegaard pubblicò Il concetto dell’angoscia. La tecnologia è alla base dell’alienazione che la filosofia cerca di spiegare con la metafisica”.

Alla metà degli anni Ottanta il mondo cambia di nuovo, rinasce lo studio delle scienze e delle ricadute delle nuove tecnologie sull’uomo. L’esplosione delle comunicazioni, l’informatica e le neuroscienze fanno di McLuhan un autore estremamente attuale e perfettamente comprensibile. Nessuno più di lui descrive il nostro presente.

McLuhan applicato

L’eclissi del pensiero di McLuhan sino a un passato recente si spiega con un cambiamento di agenda del mondo intellettuale. Intorno alla metà degli anni Sessanta il sociale prende sempre più il sopravvento nello spirito del tempo. Sono gli anni dei Kennedy e di Martin Luther King, della lotta dei neri per la parità politica, della guerra del Vietnam e della disobbedienza civile. Dopo il 1968 e sino al 1979 la politica diventa l’unico argomento tollerato in una discussione accademica, dal campo dell’arte sino alla filosofia. L’opera di McLuhan, lontana da ogni interesse politico, sembra superficiale, fuori sincronia. Persino Debord attacca il povero McLuhan come integrato, perché privo di un’analisi politica per circoscrivere “lo spettacolo”. Così McLuhan rimane nei manuali di sociologia della comunicazione, ma la sua stella non risplende più come prima ed è un po’ dimenticato.

Negli anni Ottanta ritorna come ispiratore di Videodrome, creatore di incubi, una sorta di scrittore di fantascienza. Ma alla metà degli anni Ottanta il mondo cambia di nuovo, rinasce lo studio delle scienze e delle ricadute delle nuove tecnologie sull’uomo. L’esplosione delle comunicazioni, l’informatica e le neuroscienze fanno di McLuhan un autore estremamente attuale e perfettamente comprensibile. Nessuno più di lui descrive il nostro presente.

Resta da chiarire un punto: oggi McLuhan è nuovamente di moda, attuale, consueto, comprensibile alla luce di tutti quegli eventi imprevedibili che lui aveva previsto, ma che tutti oggi condividiamo e valutiamo normali. Il suo brano inedito del 1963 nel 2010 ha fatto da traccia al tema di maturità, è diventato oggetto di didattica spicciola. Ma si tratta ancora una volta di una moda o possiamo dire che la sua analisi funziona, che il suo pensiero fa parte stabilmente della cassetta degli attrezzi di qualsiasi intellettuale? Non so cosa diranno i posteri, io posso dire che dell’intuizione fondamentale che il medium è il messaggio mi sono sempre servito per il mio lavoro, anche negli anni in cui McLuhan era in disuso, o comunque non se ne parlava tanto. Sin dalle origini del mio lavoro di programmazione, non ho mai pensato al palinsesto in termini di contenuti, ma in termini di medium. Ho iniziato il mio lavoro con la tv commerciale e prima di costruire la sua programmazione mi sono chiesto: “In cosa differisce la tv commerciale dalla tv di servizio pubblico?”. Non ho pensato ai contenuti, pedagogici o divertenti, ma alle differenze strutturali. La televisione pedagogica del servizio pubblico è resa possibile da due fattori interconnessi tra loro: la presenza di un’unica emittente e l’unidirezionalità del messaggio che gli spettatori non possono né scegliere, né discutere, ma solo accettare. La moltiplicazione delle emittenti non è problematica finché tutte sono proprietà del servizio pubblico, ma genera una rivoluzione nella programmazione quando la televisione commerciale introduce un’alternativa di scelta.

La rilevazione dell’audience capovolge il rapporto tra emittente e pubblico e crea una vera e propria rivoluzione copernicana. Non è più l’emittente a selezionare i programmi, ma il pubblico con le sue scelte. Ma anche il digitale, la teoria della coda lunga, la fruizione dei programmi su piattaforme diverse dettano leggi alla programmazione rendendo quelle che prima erano minoranze un pubblico consistente. Anche l’evoluzione di un solo medium, la televisione, cambia continuamente i rapporti con il suo pubblico e influisce profondamente sui fruitori, influenzando le loro convinzioni e il loro modo di percepire la realtà. La televisione commerciale generalista è alla base del conformismo di oggi. Le tv tematiche e il web sono alla base di una rinascita del pensiero critico.

Senza McLuhan non saremmo consapevoli dei meccanismi della comunicazione e dei loro effetti ideologici e neurologici. Dopo l’uomo tipografico, assistiamo alla nascita dell’uomo digitale su di noi.


Carlo Freccero

Consigliere di amministrazione Rai, nella sua lunga carriera televisiva, è stato responsabile del palinsesto di Canale 5 dal 1979 al 1983, quando è passato a Italia 1 e poi a Retequattro. Nel 1985 assume la direzione di La Cinq. È direttore di Italia 1 dal 1987 al 1992, poi torna in Francia come responsabile di France 2 e France 3. Nel 1996 dirige Raidue e poi lancia Rai 4; infine torna a Raidue nel 2018. Insegna presso l’Università di Genova.

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