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LInk 26

Lockdown Television

Dagli Stati Uniti all’Europa, fino all’Australia: una raccolta di punti di vista, analisi e ricordi sulla televisione (e sui media) travolti dall’emergenza sanitaria ed economica. Alcune somiglianze, e molte specificità.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 26 - Dopo l'evento. I media e la pandemia del 09 novembre 2020

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Anche in tempi normali, la televisione si trova sospesa tra due dimensioni inestricabili, facce di una stessa medaglia: da un lato, è il medium nazionale per eccellenza, che risponde ai gusti del pubblico locale e insieme li modella, crea riti e memorie condivise, segue le abitudini e i tempi di ogni Paese; dall’altro, è sempre più parte integrante, e importante, di un “villaggio globale”, fatto di mercati e mode che si diffondono ovunque, di format e piattaforme internazionali, di successi trasversali. Non stupisce pertanto che anche i mesi della pandemia non abbiano fatto eccezione a questa regola, anzi: così come l’emergenza sanitaria e poi economica si sono diffuse a macchia d’olio, da localizzate a globali, allo stesso modo televisione e media sono stati attraversati, un Paese dopo l’altro, da cambiamenti profondi, fatti sia di tendenze diffuse ovunque (o persino copiate) sia di idiosincrasie nazionali.

Alcune costanti e altrettante specificità sono al centro delle quindici testimonianze che seguono: con le molteplici voci di chi studia e insegna il linguaggio e l’industria televisiva in numerose università straniere, in dieci Paesi e tre continenti, emergono alcuni frammenti di un discorso inevitabilmente condiviso. Chi sceglie la prima persona e racconta la sua esperienza, chi si appoggia alle testimonianze di conoscenti e professionisti, chi adotta una prospettiva più esterna e oggettiva. Chi racconta i programmi, chi indaga i palinsesti della tv tradizionale e i cataloghi non lineari, chi affronta la produzione o la distribuzione. Ne esce un mosaico fatto di tante tessere, che unisce all’affondo su singoli casi, agli aneddoti e alle curiosità una riflessione più ampia. Più di una volta, dall’Italia, capiamo quanto davvero tutto il mondo è Paese.

Stati Uniti. Interruzioni broadcast e rinascite su Zoom

Giancarlo Lombardi 

City University of New York

L’uragano Covid si è abbattuto sui palinsesti dei network americani con rapida devastazione, troncando la produzione di moltissime serie. Lo spettatore non ha dunque scoperto come Law & Order: SVU avrebbe preparato il terreno per il rientro di Stabler, a cui in autunno era stato affidato uno spin-off del franchise di Dick Wolf, né ha potuto assistere alla battaglia finale con i Whisperers di The Walking Dead, e ha dovuto accettare, come series finale temporaneamente definitivo, il penultimo episodio di Empire. In fuga verso le piattaforme digitali, il pubblico americano tappato in casa per il lockdown ha scoperto che allo shock dell’interruzione improvvisa delle produzioni più rassicuranti per continuità (anche le soap hanno chiuso i battenti) si contrappone una serie di ritorni e di nuovi inizi. Sulla scia degli ultimi episodi di Saturday Night Live, collage di registrazioni domestiche di tutti i protagonisti, Nbc ha messo in onda a fine aprile A Parks and Recreation Special, riportando sulla scena, in “Zoom format”, tutti i protagonisti della comedy di Amy Poehler. Pochi giorni dopo, gran parte del cast di The Office ha presenziato al matrimonio Zoom di due suoi fan, officiato da John Krasinski e trasmesso nel suo show online, Some Good News. E a queste son seguite, sempre su YouTube, le cast reunion di La tata, Willy, il principe di Bel Air, This Is Us e Private Practice. L’esperimento più riuscito, per il suo aspetto seriale, riguarda la fiction più longeva della tv americana: la soap Guiding Light (Sentieri). A distanza di 11 anni dalla conclusione, gli attori di Sentieri partecipano infatti, ogni mercoledì pomeriggio, a cast reunion tematiche in cui riflettono sugli anni passati sul set newyorchese della soap di Cbs. È questa la nuova normalità ai tempi del Covid: la spettatrice che si vede riflessa nella vita di attori che per anni hanno accompagnato giornalmente la sua vita, e che come lei affrontano il lockdown, con gli stessi timori e paure. Una sorta di silver lining, una nota di speranza nel ritorno di una consuetudine interrotta da un decennio, e un invito dunque, per riprendere il titolo di un’altra soap scomparsa da anni, ad aspettare con fiducia il domani.

Danimarca. Lasciateci cantare

Pia Majbritt Jensen

Aarhus Universitet

Se durante il lockdown gli italiani hanno cantato dai balconi, i danesi lo hanno fatto invece davanti al televisore. Succedeva ogni mattina con il programma Fællessang – hver for sig (Cantando insieme – da soli), sulla prima rete pubblica Dr1, in onda anche al venerdì sera in prime time, alle 20. Oltre un quinto della popolazione danese si collegava per cantare insieme: lo show è stato ogni settimana stabilmente nella top 5 dei programmi più visti da marzo a giugno, quando è terminato. Ad aprile addirittura la metà della popolazione, 2,7 milioni di danesi, ha visto almeno una puntata. La versione in prime time è semplice, economica e decisamente efficiente: un conduttore famoso e un direttore di coro introducevano le canzoni, interpretate poi da famosi artisti danesi, collegati dalle loro case, e con gli spettatori che si aggiungevano nel canto; molti spettatori trasmettevano online in diretta le loro performance, e questo live stream diventava a sua volta parte del programma. Anche la premier Mette Frederiksen si è registrata, con la figlia, mentre lavava i piatti e cantava una hit degli anni Ottanta. Il misto di brani molto noti degli ultimi decenni e inni e ballate risalenti anche all’Ottocento, interpretati insieme da persone comuni e dai cantanti più amati, ha reso l’esperienza davvero toccante. Sono state sensazioni anche mie, confinata nel mio appartamento con due figli: mentre noi tre cantavamo insieme, sentivamo molti nostri vicini fare la stessa cosa e, per un attimo, ci è sembrato davvero di non essere soli in mezzo a quella che per la gran parte di noi è stata una crisi senza precedenti nelle nostre vite. Gli ascolti della tv danese sono esplosi, in generale: a fine marzo la visione lineare è aumentata di 20 minuti al giorno, specialmente grazie alle notizie e alla copertura in diretta delle conferenze stampa del governo sulle reti pubbliche. Quando la regina ha pronunciato un discorso alla nazione, questo è stato visto da 2,4 milioni di danesi: l’evento più visto da quando, nel 1992, Kantar Gallup ha cominciato a rilevare gli ascolti televisivi nel Paese…

Australia. Stop&Go per la soap e per tutta l’industria locale

Ramon Lobato

Royal Melbourne Institute of Technology 

L’impatto dell’emergenza sanitaria sulla produzione televisiva australiana è condensato nell’esperienza della nostra soap opera più longeva, Neighbours, in onda ininterrottamente dal 1985. Dopo aver fermato le riprese nel momento peggiore della crisi, in seguito la serie ha annunciato che sarebbe ripartita in “Covid mode” – senza comparse e con il distanziamento fisico tra le star (nessun abbraccio). Per una serie costruita su relazioni adolescenziali e rapporti extraconiugali, il new normal non è stato facile da accettare. La pandemia ha inoltre esasperato i problemi strutturali già presenti nella piccola industria mediale australiana, in qualche modo in crisi da sempre. Gli obblighi a restare a casa sono stati una pacchia per Netflix e Disney+ e per i tg serali delle reti locali. Il governo australiano ha risposto alle richieste di un supporto di emergenza da parte dei network che coprono l’intero Paese, allentando i vincoli sulla produzione locale, una misura temporanea che molti temono diventerà stabile, come spesso accade alle decisioni prese sull’onda di una crisi. Nel frattempo, un’ampia indagine volta a regolare i contenuti locali sui servizi di streaming dovrebbe chiudersi e presentare i risultati alla fine dell’anno, e l’industria televisiva nazionale continua a vedersela con gli effetti di Netflix. Come avviene più o meno con tutto, nell’era post Covid l’integrazione a livello globale avrà effetti contraddittori sulla tv australiana.

Germania. Lineare e on demand, entrambi in crescita

Lothar Mikos

Filmuniversität Babelsberg Konrad Wolf, Potsdam

Le persone rimaste a casa durante l’emergenza sanitaria hanno aumentato i consumi mediali negli spazi domestici anche in Germania. Ed è vero sia per la televisione lineare sia per i servizi di streaming. Nel marzo 2020, la copertura netta della tv è salita fino al 75% (rispetto al 70,9% di un anno prima); la visione televisiva è aumentata di 18 minuti tra un anno e l’altro; e l’uso delle piattaforme non lineari si è alzato del 9,8% da gennaio a marzo per le audience tra i 14 e i 49 anni. AGF (Arbeitsgemeinschaft Fernsehforschung) ha registrato l’undicesimo uso della tv più alto da quando è partita la misurazione, nel 1988. Nella crisi anche i più giovani, abituati a migrare su altri device, sono tornati al broadcasting più tradizionale, e l’intensità di visione è aumentata del 15,2% in un mese. Sono state le news a trainare la crescita impetuosa dell’ascolto lineare: il 75% degli adolescenti (14-19 anni) ha cercato informazioni su canali pubblici e privati, seguendo i palinsesti. Continuano a fidarsi della televisione. Al tempo stesso, l’intrattenimento lineare forniva utili distrazioni: i programmi di cucina, i dating show, le trasmissioni di viaggio, persino le televendite hanno raggiunto i loro ascolti più elevati. Non è un gioco a somma zero: in Germania si è ritornati alla visione lineare proprio mentre crescevano anche i consumi on demand.

Spagna. Informazione, gossip e scontri del talk infinito

Concepcion Cascajosa Virino

Universidad Carlos III de Madrid

Sálvame (Salvami) è stato il programma televisivo più rilevante in Spagna durante l’emergenza. Condotto dal giornalista catalano Jorge Javier Vázquez, la trasmissione è partita nel 2009 su Telecinco, ammiraglia di Mediaset España. Il talk show, basato sul gossip e su panelist regolari, coinvolti in scontri infiniti e gare di insulti, occupa lo slot tra le 16 e le 21, cui si aggiunge un’edizione speciale nel prime time del sabato, Sálvame Deluxe. Dopo l’inizio della crisi, politici e medici hanno cominciato a sedersi accanto alla solita compagnia di giro, sorprendendo per la calma con cui trasmettevano messaggi di responsabilità. Si è aggiunto un nuovo blocco, con domande degli spettatori agli esperti, e alle 20 c’era una pausa per unirsi nell’applauso collettivo ai medici e infermieri che combattevano la pandemia. La parte centrale del programma, Sálvame Naranja, è passata da 2 a 2,9 milioni di spettatori in una settimana, dal 9 al 16 marzo, prima emissione dopo l’annuncio dello stato di allerta. Subito dopo, il programma si dedicava ad attaccare il giornalista di destra Alfonso Merlos, la cui infedeltà nei confronti di un’ex concorrente del Grande fratello era stata svelata da una diretta su YouTube, in un segmento chiamato ironicamente “Merlos Place”. Questo spiega il modo in cui Sálvame ha affrontato anche le controversie sulla gestione politica della crisi: Jorge Javier Vázquez, che dice di aver votato socialista, ha proclamato in diretta che Sálvame è un programma per “rossi e gay”, difendendo il governo di Pedro Sánchez in una discussione con la più famosa panelist, Belén Estebán (nota come la “principessa del popolo”). Ottimista anche di fronte a una crisi inimmaginabile e in crisi perenne con se stesso, Sálvame ha incarnato alla perfezione l’identità spagnola nei mesi della quarantena.

Regno Unito. Normal People, un successo inatteso e “di sponda”

John Ellis

Royal Holloway University of London

Normal People è stato uno dei successi inattesi del lockdown nel Regno Unito. È un drama schietto, sensibile e dal ritmo lento, in dodici parti di soli trenta minuti ciascuna. Adattato da un romanzo molto noto di Sally Rooney, rivolto in particolare alle donne più giovani, racconta la storia d’amore on/off tra Marianne (Daisy Edgar-Jones) e Connell (Paul Mescal), in una relazione segreta durante il loro ultimo anno di scuola in Irlanda. Il romanzo li segue all’università, a Dublino, e si concentra sulle vite interiori dei due: l’autocommiserazione di Marianne e la dolorosa ritrosia di Connell. La serie tv è piena di silenzi e scene di sesso, ampiamente acclamate come “sensibili” e “rispettose”; ogni episodio si focalizza su un singolo momento, mettendo in primo piano le relazioni con altri e le tante occasioni perse per ricongiungersi. Connell non è in grado di dire “ti amo” fino all’undicesimo episodio; Marianne finisce incastrata con uomini prepotenti. Normal People è diventato una hit mainstream, in onda sul primo canale pubblico, Bbc One, e il modo in cui le audience se ne sono accorte mostra bene quanto la visione tv sia cambiata nel Regno Unito, con trend accelerati dal lockdown. Quando è stata messa a disposizione online sulla piattaforma Bbc Three, ha avuto 539.000 download. La messa in onda lineare del primo episodio è arrivata a 3,6 milioni di spettatori (compresi quelli dei 7 giorni successivi, in catch-up), e quasi 3 milioni in più l’hanno recuperata dopo i primi sette giorni. Alla fine gli spettatori online sono stati di più di quelli broadcast, ma la messa in onda tradizionale è stata cruciale, dando attenzione, generando publicity e regalando alla serie un’importante spinta.

Olanda. Protocolli di sicurezza e ostacoli per la produzione

Judith Keilbach

Utrecht Universitet

In Olanda, il numero crescente di casi dell’epidemia si è accompagnato al cambio nelle abitudini degli spettatori tv, desiderosi di conoscere gli ultimi sviluppi guardando le news e le conferenze stampa del governo in diretta, trasmesse dal servizio pubblico. Con il lockdown, da metà marzo la produzione di tutti gli altri generi televisivi è stata sospesa, e solo a fine maggio il settore produttivo ha sviluppato un protocollo che potesse assicurare la ripresa per un gran numero di situazioni lavorative. Il protocollo copre tutte le fasi della produzione tv: le linee guida per i titoli unscripted includono inviti a lavorare a casa in fase di pre-produzione (redazione, casting) e a tenere 1,5 metri di distanza durante le riprese, predisponendo percorsi obbligati o inserendo apposita segnaletica negli studi; si deve inoltre individuare un responsabile salute e sicurezza che controlli l’adesione al protocollo. Da una stagista presso Holland Got Talent, ho saputo che però il lavoro di redazione è stato svolto da casa solo finché la registrazione delle audizioni era lontana: era utile tornare negli uffici della società di produzione per concludere la preparazione di cinque giorni consecutivi di riprese. C’erano frecce sul pavimento, il pranzo della mensa era consumato alle scrivanie di ciascuno. Nello studio televisivo, le misure hanno portato a separare il pubblico generico da concorrenti, membri della giuria e conduttori: parenti e amici seguivano i casting sul grande schermo in un altro studio poco lontano. Dopo le performance, molti cambiavano sedia e nessuno si assicurava più di tanto del rispetto delle distanze. Non c’è bisogno di dire che nel caos della produzione anche lo staff non poteva rispettare più di tanto le linee guida, le regole e le misure, che spesso diventavano soprattutto ostacoli. Dato che in Olanda le mascherine negli spazi chiusi non sono mai state obbligatorie, è piuttosto facile dimenticarsi della pandemia – e non solo durante le produzioni televisive…

Stati Uniti. Le serie tv, contraltare a quanto accade fuori

Dana Renga

The Ohio State University, Columbus

Prima della pandemia, mi ero abbonata a Hulu per vedere le prime tre stagioni di The Handmaid’s Tale e recuperare ogni tanto le puntate perse di Grey’s Anatomy o di This Is Us. Nel 2019, a un certo punto, la mia carta di credito è scaduta, e con lei il mio abbonamento al servizio. Ma poi è arrivato il Covid-19, i giorni si sono allungati e la noia colpiva a tarda sera, così a maggio mi sono di nuovo abbonata a Hulu, dopo aver dato un’occhiata ai social per capire quali tra i nuovi programmi fossero binge-worthy. Subito ho visto Normal People, e mentre seguivo la storia d’amore altalenante e complicata tra Marianne e Connell ero affascinata dalla fotografia oppressiva, quasi claustrofobica della serie, che mi faceva sentire in trappola. Sono passata quindi a Little Fires Everywhere, vista proprio quando le vaste proteste per supportare #blacklivesmatter raggiungevano la mia porta di casa: la serie, scritta e recitata divinamente, toccava corde simili, mostrando come gli americani afro-discendenti sono sproporzionatamente colpiti dalle violenze della polizia e dal coronavirus. Infine ho concluso The Great, festeggiando ogni volta che sentivo l’esclamazione “Huzzah!” e seguendo la segreta ascesa al potere di Caterina. Mi ha scosso l’enfasi data al contagio, soprattutto nell’episodio “The Pox on Hope”, quando Caterina si inocula da sola una cura controversa contro il vaiolo, e l’episodio si chiude con le vittime della malattia bruciate per ordine della corte. Una programmazione davvero tempestiva.

Regno Unito. Qualcuno pensi ai bambini!

Jeanette Steemers

King’s College London

In tutto il mondo, i produttori di contenuti televisivi per bambini cercano nuovi modi di raggiungere il loro pubblico, ma al tempo stesso faticano ad affrontare le conseguenze del lockdown, tra rallentamenti del lavoro e la sospensione di tutte quelle fiere ed eventi in cui di solito mostrano il loro materiale e stringono accordi. A marzo e aprile, le aziende hanno dovuto adattarsi improvvisamente a lavorare da casa. Con il distanziamento sociale, ogni programma dal vivo che coinvolgeva i bambini è diventato impossibile. Il commissioning si è praticamente bloccato, in un settore che già di solito non naviga nell’oro. L’animazione ha reagito meglio, visto che si può realizzare più agilmente a distanza. Per chi si serve di manodopera a basso budget, il salto è stato meno pesante, e in certi casi il lavoro è aumentato in seguito alle richieste di contenuti sull’emergenza sanitaria. Sono emerse persino nuove opportunità: in Macedonia del Nord una sola casa di produzione ha occupato con programmi educativi sette ore al giorno di una rete tv, sostituendo la scuola e aiutando chi non aveva un buon accesso internet a casa. Le reti, specialmente pubbliche, hanno preparato materiali per i bambini confinati in casa. E l’impatto della pandemia sui più piccoli ha mostrato quanto possono fare le industrie mediali per aiutare le famiglie.

Spagna. Palinsesti alla deriva in attesa di tempi migliori

Charo Lacalle

Universidad Autonoma de Barcelona

Lo stato di allarme per la pandemia ha posto le emittenti tv spagnole di fronte a un paradosso i cui effetti non sono ancora chiari. Mentre il consumo televisivo è aumentato del 22% tra il 14 marzo e il 20 giugno, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e la visione condivisa della tv è salita a livelli impensabili, gli investimenti pubblicitari sono diminuiti del 51,3%. In seguito, il lockdown e l’arrivo dell’estate, classico periodo di calo degli spettatori, si sono uniti all’incredibile aumento degli abbonati alle piattaforme Ott, accelerando l’abbandono degli schermi post Covid. La situazione di eccezionalità e di incertezza non solo ha rallentato la produzione, ma ha portato alla riconversione di alcuni format, indotta dalla necessità di ridurre i costi e sostenuta dagli user generated content. Un abbinamento che, in tempi di vacche magre, potrebbe pure restare. In seguito a tutti questi fattori, i palinsesti della tv gratuita sono andati un po’ alla deriva. L’interruzione delle riprese degli show di intrattenimento ha privato i network dei loro titoli più redditizi, che non si è osato far ripartire prima di settembre. E con l’autunno stanno arrivando, forse, tempi migliori per qualche sorpresa, come l’adattamento spagnolo di Idol Kids (su Telecinco) o il biopic La veneno (legato ad Antena 3 e Atresplayer).

Nuova Zelanda. Diretta  e senso di comunità

Susanne Eichner

Aarhus University

La diretta è stata ampiamente discussa come una delle caratteristiche centrali della televisione lineare. E, tra le sue molte funzioni, il piccolo schermo è descritto come particolarmente capace di coprire eventi catastrofici. Mentre senza dubbio l’online ha preso alcune funzioni della tv, l’emergenza Covid-19 ha portato a una situazione inedita: la catastrofe non è infatti qui un evento singolo, ma un racconto seriale dal finale aperto. In tale situazione, più che una finestra sul mondo, la televisione ha creato un ambiente locale, permettendo a tutti di partecipare a una situazione che si sviluppava nel qui e ora, nella doppia dimensione locale e in diretta. Ho passato i mesi prima e durante il lockdown come visiting researcher in Nuova Zelanda, e due programmi hanno particolarmente contribuito a darmi il senso di essere lì e live: il programma di informazione governativa trasmesso molto spesso, intitolato Covid-19: Level 4 Alert for Pacific Peoples e realizzato dal Ministero della Salute in dieci lingue diverse; e il segmento educativo Papa Kāinga Tv trasmesso sulla rete pubblica nazionale Tvnz2 dal 15 aprile al 3 luglio, per sostituire l’educazione scolastica, con buoni risultati di ascolto. Mi sono accorta che nessun altro medium è riuscito a stabilire un simile senso di comunità, sincronia e appartenenza. Kia ora rawa atu!

Stati Uniti. Disney, gigante dai piedi di argilla

Denise Mann

University of California, Los Angeles

Quando il Covid-19 ha colpito, la Walt Disney Company era nel pieno di una grande ristrutturazione, con quattro nuove divisioni e un’infrastruttura tecnologica da poco automatizzata, volta a trasformarla da una major novecentesca di Hollywood, basata sulla produzione, a qualcosa di più vicino all’economia tecnologica del nuovo secolo. Se Disney+ è per il magic kingdom la vetrina del negozio online, luccicante e rivolta ai consumatori, la sezione Parchi, Esperienze e Prodotti di Consumo (PECP) è la fabbrica nascosta, il back-end dove si fanno le salsicce, altrimenti note come big data. Disney+ è fiorente, con quasi 55 milioni di abbonati globali, e ha tratto beneficio dal grande numero di persone costrette a casa in quarantena. Invece PECP, l’hub del marketing globale che estrae dati e informazioni sui consumi da tutte le property fisiche per centralizzare la cross promotion di tutti i personaggi Disney, è rimasta chiusa a lungo. I danni sono stati enormi: 12 parchi a tema su 14 con le serrande abbassate; 4 linee di crociere rimaste a terra; 29 produzioni teatrali con i sipari calati; e 312 Disney Store con il cartello “siamo chiusi” (anche se ShopDisney.com e gli equivalenti hanno avuto ottimi risultati). Nel frattempo, le due divisioni Media Network e Studio Entertainment si stanno lentamente rialzando dal blocco delle produzioni. Alcuni opinionisti sospettano che Bob Iger abbia abbandonato in anticipo il ruolo di Ceo, assegnandolo al successore Bob Chapek, dopo aver sentito le tetre notizie sulla pandemia, che avrebbe guastato un altrimenti ininterrotto ride of a lifetime. Come ha scritto il New York Times il 4 maggio, “una volta era un regno pieno di prosperità e invidiato da tutti, ma stava crescendo una minaccia invisibile”.

Svezia. Il tempo della televisione e quello della vita sospesa

Annette Hill

University of Lund

Il Covid-19 ha cambiato la mia comprensione del tempo televisivo. La potente scrittura del tempo della tv è stata sempre di grande interesse per pubblico, industria e accademia: la diretta, la copertura degli eventi sportivi, i generi come il reality o il talent show. Nel lockdown, la vita ha rallentato e abbiamo potuto di nuovo imparare molte cose su tale potere. C’è un senso del tempo nel ritmo delle news, certo: i tg serali svedesi tratteggiavano l’immagine distopica dei numeri di infetti e di morti, delle scelte politiche e mediche, della perdita tragica degli ospiti nelle case di riposo. Tutto ciò fatto con la retorica della società aperta, con i suoni della vita depotenziati ma sempre attivi, se confrontati con l’assenza di persone e mezzi di trasporto nei Paesi che invece hanno deciso per il lockdown. E c’è un senso del tempo delle narrazioni seriali, che hanno offerto un’esperienza immersiva fuori dalle nostre vite reali, sia sui canali lineari sia sulle piattaforme digitali che hanno dato accesso ai loro archivi. Abbiamo visto Billions su Hbo Nordic, ben sapendo che le stagioni nuove erano sospese e i loro mondi narrativi congelati fino alla ripartenza dell’industria audiovisiva. Chiamando mia madre, in lockdown in Galles, parlavamo di telegiornali e serie tv. Lei guarda il servizio pubblico e le reti commerciali, confrontando le loro notizie e aggiornamenti, criticando i politici. La sua routine quotidiana comprende il piccolo universo della tv mainstream, con Miss Marple e Poirot che occupavano i pomeriggi, e Morse e Montalbano che le facevano compagnia la sera. Io e mia madre, tutte e due in Paesi nordici ma con tipi di restrizioni molto differenti, stavamo facendo una simile esperienza del tempo televisivo, anche a distanza capaci di parlare delle notizie come dei racconti seriali che attraversano molte frontiere.

Regno Unito. L’anello debole è la produzione

Jean K. Chalaby

King’s College London

Il Covid-19 ha influenzato la produzione di contenuti tv nel Regno Unito in vari modi. Ha interrotto molti progetti, costringendo ad abbandonare le riprese e impedendo di partire con nuovi show. L’impatto è negativo anche sui budget: le piattaforme on demand vanno bene, ma lo stesso non si può dire delle reti commerciali. Secondo alcune previsioni, il mercato pubblicitario televisivo britannico si ridurrà del 50%. Per broadcastnow.co.uk, un quarto delle società di produzione avrà i ricavi dimezzati; il 63% ha usato il sussidio governativo di disoccupazione, il 10% ha licenziato personale, il 20% ci sta pensando. Nonostante tutto, la maggioranza (57%) resta fiduciosa sul futuro. Un intervistato, però, ha sottolineato la portata del problema: “i produttori sono in grossi guai, e né le emittenti né i freelance sembrano comprendere davvero ciò che significa”. In realtà, molti aggregatori di contenuti e conglomerati mediali hanno cominciato a rendersi conto che le case di produzione hanno un bisogno urgente di supporto: sia Sony sia Netflix hanno creato fondi appositi, Bbc ha donato 500.000 sterline per questo e ne ha aggiunte altre 200.000 per il supporto psicologico. Ma per alcuni produttori è troppo tardi: Wild Pictures, per esempio, chiuderà in autunno. La pandemia aumenta le incertezze e riduce le opportunità, ma ha offerto ad alcuni produttori anche un’opportunità creativa, dedicando all’emergenza documentari come How the World Is Changing e What’s it like to Catch Coronavirus?, prodotti da Britespark Films e distribuiti all’estero. Frontline Heroes, di Barcroft, è una serie girata dagli operatori in prima linea nella pandemia in forma di diario. Molti produttori impiegheranno mesi, se non anni, per riprendersi.

Francia. Il vuoto degli studi, il pieno di film e serie

Mélanie Bourdaa

Université Bordeaux-MontaigneL’epidemia ci ha colpito tutti, sia pure in misure diverse, cambiando le nostre abitudini personali e culturali. Abbiamo organizzato incontri online con la famiglia e gli amici, o feste persino, e ci siamo abituati a insegnare a distanza. Le modifiche hanno riguardato anche la televisione. Molti programmi di prime time hanno dovuto cambiare i loro set, tenendo conto della distanza di sicurezza tra gli ospiti e rinunciando agli spettatori in studio. Penso a Le Quotidien, molto popolare su Tmc, diviso in due parti e modellato sui talk e late show americani, con attori lasciati soli nello studio che rimbomba vuoto alle loro battute. Lo guardavo già prima, e il vuoto lasciato dal pubblico, troppo difficile da riempire, mi ha lentamente portata ad abbandonarlo. Mancava del tutto la complicità tra i panelist e l’audience, il programma sembrava piatto. Inoltre, fatto interessante, molti canali pay francesi hanno concesso l’accesso gratuito durante il lockdown: ho potuto guardare su Canal Plus tutte le quattro stagioni di Le Bureau des légendes, recuperare Killing Eve, gettarmi in Miss America e rivedere un po’ di film classici su Tcm. Grazie a questa iniziativa, molti canali tematici hanno ottenuto abbonati che poi sono rimasti, con un’intelligente mossa di marketing.


Luca Barra

Coordinatore editoriale di Link. Idee per la televisione. È professore ordinario presso l’Università di Bologna, dove insegna televisione e media. Ha scritto i libri Risate in scatola (2012), Palinsesto (2015), La sitcom (2020) e La programmazione televisiva (2022), oltre a numerosi saggi in volumi e riviste.

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