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Entertainment

Il lusso di essere sciocchi

Lip Sync Battle e Billy on the Street fanno quello che la tv è chiamata a fare: riempire il vuoto con nient’altro che se stessa. Entertainment, fun and joy.

Ma poi ci sono idee che risorgono così, di punto in bianco. John Krasinski è in viaggio con la moglie Emily Blunt e il suo amico Stephen Merchant. Sta cercando qualcosa di creativo per il Late Night with Jimmy Fallon. Malgrado la sua esperienza di attore, autore e produttore (The Office, Promised Land), l’ispirazione latita. All’improvviso parte una canzone e qualcosa si illumina: “Perché non facciamo una gara di playback?”.

Per molti italiani che affrontarono l’esiziale età dello sviluppo all’inizio degli anni Novanta, “gara di playback” evoca qualcosa di talmente rimosso da non essere mai accaduto, solo un sogno infilato dentro ad altri soffici sogni a forma di ragazze, tante ragazze, di compiti per domani rinviati sine die, di diottrie perdute e mai ritrovate.

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Per alcuni americani di oggi “gara di playback” equivale invece a Lip Sync Battle, ovvero uno dei segmenti del programma di Fallon, che a un certo punto da cazzeggio si è fatto format. Ma non subito. Rifiutato da Nbc (“non può reggere venti minuti”) e da altri network, il concept di Krasinski viene infine comprato da Spike, cable tv in piena fase di rebranding e che ha disperatamente bisogno di una hit che faccia esplodere i propri numeri. Trovata.

Playback e applausometro. La tv degli esordi, la tv dei lustrini e la tv di oggi. Le bionde contro le more, le barzellette: democrazia catodica per alzata di mano. Esiste un’idea meno idea di questa? Eppure, anche i progetti più scemi – e dunque vincenti – hanno bisogno di un contenitore. Lip Sync Battle significa innanzitutto produzione impeccabile, cura dei dettagli, canzoni che possano includere quanta più audience trasversale possibile. Il conduttore, LL Cool J, fa quello che ci si aspetta da un rapper di quasi 50 anni che si veste ancora come se il mondo fosse finito alle soglie dell’Internet, un omone che nel tempo libero recita in serie tv scadenti, e sa come aizzare le folle (“Are you ready for an epic battle?”). Al suo fianco quella che in Italia sarebbe solo una valletta e invece loro chiamano “colorful commentator”: Chrissy Teigen in ogni puntata entra in scena come un’Anna Oxa qualsiasi ma a canzone finita, con il fiatone di chi già non ne può più. Non balla, non canta, non fa niente. Sembra ubriaca, di se stessa, del suo semplice stare in tv. LL Cool J e Chrissy sono la cornice perfetta di un mondo che non teme la propria stupidità, e in più hanno un sacco di amici, capaci di trasformare la tua festa in un successo totale.

It’s the only show on tv where you’re gonna see superstars being super serious about being super silly”. La promessa di LSB è quella giusta, basta mantenerla. Le celebrities, che nel corso dei decenni sono passate da viagra per format in crisi a carburante televisivo in offerta speciale, funzionano se sono davvero celebrities. Vale per il cast dell’Isola e vale quando devi salire su un palco e mimare con la bocca dei pezzi musicali più o meno “Oh my Gosh”. Meglio ancora se sono Premi Oscar o almeno candidati a qualcosa, se si conoscono tra di loro (in Italia la chiameremmo “la solita compagnia di giro”) e se fanno finta (ma poi quanto?) di odiarsi. Anne Hathaway vs Emily Blunt, John Legend vs Common, Eva Longoria vs Hayden Panettiere e via scendendo in termini di fama e di ratings.

Ma per esaudire i nostri sogni ci vogliono altre celebrities, partecipazioni speciali che rimarranno irripetibilmente wtf anche al millesimo replay, grazie all’assoluta gratuità del gesto. Qua non ci sono film da promuovere con l’aria scocciata di chi sta fingendo di voler essere altrove. Vengo perché voglio venire, perché mi voglio (ancora) far notare: J-Lo (in scena giusto il tempo di sventolare in faccia a tutti il suo prezioso core business), Johnny Galecki, Christina Aguilera. Nessuno però può competere con le apparizioni mariane. Quando Channing Tatum si presenta sul palco nei panni di un’iperfalsa Beyoncé, pochi immaginano che, a due terzi di Run the World (Girls), arriverà lei, l’ipervera Beyoncé, talmente tanta, talmente “io regina voi pezzenti” da non poter credere ai nostri occhi: li chiudiamo un attimo e Sua Maestà è già fuori dal palco, nessuno mi tocchi nessuno mi parli. “Oh my God, the room just exploded”.

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Lip Sync Battle riesce in quello che è il vero compito della tv, riempire il vuoto con nient’altro che se stessa: “entertainment, fun and joy”. Ogni volta che la tv si impiccia di cose che non le competono, che cerca di risolvere problemi, di cambiare o, peggio ancora, di salvare il mondo, non fa che allontanarsi dal disimpegno, e fallisce. Se Chrissy Teigen sottolinea la baldanza dei propri capezzoli o prende in giro la virilità di Mike Tyson lo fa perché ha capito (o gliel’hanno suggerito all’auricolare, fa lo stesso) che l’irresistibilità del tutto risiede nell’assoluta mancanza di senso ultimo, nell’abbandono senza vergogna alle sciocchezze che tra un attimo saranno già archiviate. È la tv di chi ha capito che nessuno la guarda più, a parte le case di riposo e Twitter, è la tv che sceglieremmo di vedere se ci dicessero che domani a pranzo finisce il mondo. Ed è la tv, per esempio, di Billy Eichner, un ragazzone alto e vagamente sovrappeso che in pochi anni è passato dall’anonimato dei circuiti di secondo piano a nuova promessa dell’intrattenimento, con la benedizione, tra gli altri, di David Letterman, Seth Meyers e Amy Poehler.

In un vecchio (ed esilarante) episodio di In Bed with Joan Rivers, Billy racconta come è nato tutto, dalla voglia di sfogare il proprio fanatismo per la cultura pop condividendolo, letteralmente, con la gente della strada. Da qui l’idea di Billy on the Street, comedy game show sui generis in cui “Billy”, versione allargata di se stesso, aggredisce i passanti di New York a colpi di domande sulla tv e sullo showbiz. La gente, concorrente a sua insaputa, reagisce spaventata, divertita, arrabbiata, complice di uno spettacolo che forse non vedrà mai. Più spesso, come si fa con i pazzi, asseconda l’arbitrarietà dei vari segmenti. Le risposte possono essere esatte, o sbagliate, in base all’umore di Billy, come nel gioco Quizzed in the face, in cui vinci “solo se la tua risposta coincide con la mia opinione, chiaro?”.

Chiaro. Con poche e semplici mosse Billy on the Street cresce di visibilità e le celebrities, ancora loro, fanno la fila per comparire nel suo show nelle situazioni più improbabili, ma sempre sotto il fuoco delle sue urla e del suo giudizio implacabile. C’è Tina Fey che si butta a terra per l’onta di aver perso il gioco “Latina Fey” (“Non hai saputo trovare 20 star latine in 60 secondi!”), o Julianne Moore che va in giro a chiedere soldi alla gente in cambio di un’interpretazione da Oscar, live, adesso. Ma anche Michelle Obama, in arte Flotus, è pazza di Billy e gli dà carta bianca nella realizzazione di un video per l’ennesima campagna sull’alimentazione. Billy riesce a non svelarle in anticipo i giochi e le domande (“la forza del mio show è la spontaneità”) e così Flotus si ritrova in un supermercato di Washington a spingere un carrello della spesa con dentro Billy che recita il discorso di Gwyneth Paltrow agli Oscar del 1999. Yes, you win!

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A differenza di altri assalitori da marciapiede, Eichner non vuole scioccare, insultare o ridicolizzare il pubblico. Non ha altra ambizione se non quella di veder riconosciuta la propria dedizione alla tv: sono bravo, dannazione, cosa aspettate a ricoprirmi di Emmy? E proprio perché non ha altri fini, riesce a far sembrare tutto facile: la preparazione ossessiva dei testi, la cura maniacale dei meccanismi comici, la gestione perfetta dell’improvvisazione e dell’imprevisto, ovvero la forma più sublime di scrittura in diretta. Con quel fare da divinità capricciosa e onnipotente che si fa beffe del candore dei concorrenti per caso, riesce a tenerci incollati allo schermo. Non solo. Costringendoci a prendere drammaticamente sul serio le sue follie ci sbatte in faccia allo stesso tempo la miseria e la grandezza che la tv si porta dietro dalla sua invenzione, ossimoro originale e mai espiato. Il medium più inutile e disprezzato, ma anche quello di cui nessuno può fare a meno. In una puntata della prima stagione, Billy abborda per caso una signora che non vuole saperne di giocare con lui, perché “la tv è noiosa”. I due iniziano a bisticciare finché Billy non chiude il discorso con il tono di chi in realtà sta difendendo se stesso: “Ma cosa stai dicendo, la televisione è la cosa migliore che mi sia mai capitata”.


Nico Morabito

Palermitano e parigino. Coautore dei film La Dernière Séance (presentato alla Settimana della critica della Mostra di Venezia 2021 e vincitore del Queer Lion) e Fuori Tutto (Miglior documentario italiano al Torino Film Festival 2019). Ha collaborato alla scrittura del film Le Favolose (presentato alle Giornate degli autoridella Mostra di Venezia 2022). È professore a contratto all’Università di Paris Nanterre, dove tiene un corso di scrittura audiovisiva dal 2019.

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