Se esiste un posto dove le differenze generazionali emergono con maggiore forza ed evidenza, questo è è senza dubbio il web. Tra cliché, macro-tendenze ed espressioni culturali, lo spazio digitale si rivela il terreno d’osservazione ideale per un’etnografia delle identità e delle tensioni intergenerazionali online.
Non c’è una definizione unanimemente accettata di cosa significhi essere un millennial. Il Pew Research Center, centro di analisi politiche e sociali statunitense, ha recentemente deciso di far finire la generazione dei millennial con i nati nel 1996. “I punti di cut off generazionali non sono una scienza esatta” illustrano i ricercatori “(…) Tuttavia i loro confini non sono arbitrari. Le generazioni sono spesso considerate in base alla loro durata, ma anche in questo caso non esiste una formula concordata per stabilire quanto debba essere lunga. Con un arco temporale di 16 anni (dal 1981 al 1996), la nostra definizione di millennial è equivalente alla generazione precedente, la Generazione X (nata tra il 1965 e il 1980)”. Da un punto di vista puramente sociologico – e molto focalizzato sulle esperienze delle persone nate e cresciute in Occidente – i millennial sono coloro che si ricordano l’attentato dell’11 settembre, ma erano comunque piuttosto giovani, avendo al massimo vent’anni all’epoca. Sono inoltre cresciuti all’ombra delle guerre in Iraq e Afghanistan, e della grande crisi del 2007/2008, che ha radicalmente modificato il loro modo di proiettarsi nel futuro, di affrontare il mondo del lavoro, e compiere le scelte che potremmo definire “adulte”.
Per buttarla sul melodrammatico, possiamo dire che i millennial sono un po’ una generazione tradita dalla storia; cresciuti nel mito della società liberale e sprofondati poi in un’epoca di guerre, minacce terroristiche e recessione economica. La narrazione mainstream è stata per anni quella di una generazione incapace o disinteressata a crescere. Qualche anno fa diventò virale un trend che dipingeva l’intera generazione come composta da distruttori seriali di industrie: i millennial hanno distrutto l’industria dei cereali, della birra, dei beni di lusso, delle palestre, del golf, e dei diamanti. Sono stati anche quelli che non volevano impegnarsi abbastanza a risparmiare per piani di lungo termine, preferendo fare colazione tutti i giorni con un toast all’avocado e con un uno spice chai latte.
I nuovi vecchi di internet
Più o meno all’improvviso, la realtà e la sua percezione si sono disaccoppiate: i millennial, che per anni sono stati identificati con i “giovani” si sono trovati alla soglia della mezza età. Lo dicono anche gli stessi osservatori del Pew: i millennial più anziani hanno ormai superato i quarant’anni, quindi parlare dei “giovani” ha poco senso. La narrazione dei ragazzini fissati con il cellulare non risponde più alla realtà. Storicamente i millennial hanno un rapporto complicato con l’età adulta. Diversi studi hanno mostrato come fatichino più dei loro genitori (i nati nella seconda metà del Ventesimo secolo) a raggiungere gli obiettivi tipici di una vita stabile, dal lavoro fisso all’acquisto di una casa. Ma nonostante il percorso accidentato i millennial sono diventati vecchi eccome – e nulla ce lo racconta meglio dei social network.
I millennial sono quelli che si ricordano le discussioni sui forum, che scrivevano le fanfiction aspettando i libri di Harry Potter, mentre i Gen Z sono gli utenti mobile native, che dominano le nuove piattaforme e i nuovi linguaggi. Gli zoomers sono “nati filmando se stessi”.
La generazione millennial ha infatti un’altra particolarità: è stata la prima ad adottare internet nelle proprie abitudini quotidiane. In particolare per i nati negli anni Novanta, i primi forum, le chatroom o MSN, Myspace, Netlog, Tumblr e infine i primi esperimenti con i social media mainstream sono stati riti di passaggio fondativi in periodi cruciali della vita. Twitter fino a pochi anni fa era una piattaforma di incalcolabile valore per i professionisti, su cui molti hanno cominciato a informarsi e costruirsi opinioni politiche. Instagram era un modo per tenersi in contatto con gli amici. YouTube era un canale di espressione orizzontale e un modo di approfondire idee complesse – prima di diventare un rabbit hole di contenuti estremisti. Le piattaforme si sono deteriorate, o vanno verso invasi da pubblicità o da disinformazione aggressiva. Nel crepuscolo dell’era dei social media – o almeno così pare – anche la prima generazione ad averli usati se ne sta allontanando. “I millennials sono l’ultima cosa che resta del mondo analogico, il ponte tra ciò che era e ciò che sarà”, ha scritto su Wired il giornalista Jason Parham. “E forse è proprio questo il motivo per cui mi sembra che non ci siano più app per socializzare valide come quelle di un tempo. Siamo cresciuti a suon di Msn e Myspace. E poi Friendster, Blogger, Tumblr, Twitter e Facebook sono stati i luoghi dove abbiamo trovato le nostre community, nutrito le nostre pulsioni creative e persino la nostra carriera. Con il tempo, però, è cambiato tutto”. Sul New York Times, Max Read ha battezzato il 2023 “l’anno in cui i millennial sono diventati vecchi su Internet”. Sono meno online rispetto alle generazioni successive, non investono tempo a inseguire le novità social o tecnologiche (ad esempio usano relativamente poco le app di IA generativa, come Chat GPT), il loro tempo davanti allo schermo è in declino da anni. Sicuramente c’è un fattore anagrafico: con il tempo e con le sudate mete della vita adulta si perde interesse nei trend social. Internet non è più quello di una volta, e i millennial ne stanno facendo a meno.
Rete e identità generazionali
Su Internet si discute di identità: identità di genere, orientamenti sessuali, identità razziali, neurodivergenze. E le identità generazionali, che posto occupano? Sono legate al web a doppio filo. Da un lato, come abbiamo visto, sono proprio i consumi e le abitudini online a definirne alcuni tratti. I millennial sono quelli che si ricordano le discussioni sui forum, che scrivevano le fanfiction aspettando i libri di Harry Potter, mentre i Gen Z sono gli utenti mobile native, che dominano le nuove piattaforme e i nuovi linguaggi, in particolare quelli incentrati sui video brevi. Gli zoomers sono “nati filmando se stessi”. C’è poi una differenza fondamentale nel modo in cui la rete e le piattaforme sono concepite da millennial e zoomers. Se per i millennial internet era un luogo per scambiarsi informazioni, costruire relazioni, al massimo distribuire qualche zine di nicchia, per la generazione successiva la rete costituisce un’opportunità economica. Ha detto in un’intervista lo scrittore Vincenzo Marino, autore del saggio Sei vecchio. I mondi digitali della Generazione Z che i social sono diventati “delle vere e proprie piattaforme performative: alla portata di tutti, e sulle quali chiunque può ambire di entrare nell’agone col proprio contenuto”. Non sono cambiate solo le modalità di utilizzo, ma la reale concezione di fondo degli spazi online. Il predominio del content, inteso come possibilità di trasformare in contenuto virtuale un’ampia gamma di aspetti della vita, è una conseguenza della privatizzazione della rete e della sua monetizzazione da parte di grandi aziende oligopolistiche. Un aspetto materiale che influenza profondamente un cambiamento culturale.
Il tempo online passa più veloce di quello sulla Terra. La Gen Z invecchierà molto rapidamente, e comincia già a sentire il ticchettio dell’orologio. Se spopola la nostalgia per epoche che gli utenti dei social non hanno mai vissuto, compare tra i molto giovani anche la tendenza a guardare con un misto di pietà e divertimento i contenuti che postavano durante la preadolescenza.
D’altro canto sono gli stessi contenuti pubblicati a identificare e scolpire nell’immaginario una serie di caratteristiche generazionali: ci sono il millennial pink, e le millennial pause (quei secondi vuoti all’inizio del video). Le gif sono cringe, mettere le foto delle proprie piante e delle tazze di caffè è un’abitudine triste che fa così anni Dieci. TikTok è piena di ventenni che sfottono i loro fratelli maggiori per le pose che assumono nei selfie, per i font che usano nei meme (ve lo ricordate Impact?), e si potrebbe continuare. Insomma. Il millennial cringe è entrato a pieno titolo nell’album di famiglia di una generazione, insieme alle bolle immobiliari e all’ansia per il terrorismo. Alcuni lo rivendicano con gioia. la generazione degli eterni bamboccioni, dei narcisisti pigri come li definì Time Magazine in una memorabile copertina, possono finalmente godersi la vecchiaia, almeno quella sulle piattaforme.
Accelerazione e nostalgia
E gli zoomers? Secondo le statistiche e gli studi sono loro a dominare gli spazi online. Sono costantemente connessi, trascorrono il loro tempo libero prevalentemente in rete, sono una fetta considerevole degli utenti dei nuovi social network. Sono, sempre secondo il Pew Research Center, il 44% degli iscritti a TikTok. Anche se qualcuno nota che anche TikTok sta invecchiando – e forse è molto più da millennial di quello che pensiamo.
Il tempo online passa più veloce di quello sulla Terra. La Generazione Z invecchierà molto rapidamente, e comincia già a sentire il ticchettio dell’orologio. Se spopola la nostalgia per epoche che gli utenti medi dei social non hanno mai vissuto – come gli anni Cinquanta – compare tra i molto giovani anche la tendenza a guardare con un misto di pietà e divertimento i contenuti che postavano durante la preadolescenza. Tra i dodici e i diciannove anni c’è un abisso e, tra l’internet del 2017 e quello del 2024 sono passate ere geologiche. L’accelerazione dei contenuti come delle innovazioni, la sensazione che tutto si modifichi alla velocità della luce, ci dà una vertigine temporale, a cui non riusciamo a dare un senso. La malinconia è la risposta che l’inconscio collettivo in rete ha trovato. I trend social vanno così veloce che le “operazioni nostalgia” a distanza di pochissimi anni sono gioco facile: basta digitare “2020 nostalgia” e si possono trovare migliaia di video che ci portano indietro di quattro anni, quando eravamo chiusi nelle nostre camerette o nei nostri uffici casalinghi a guardare gente che si filmava ballando la WAP dance. I millennial rimpiangono il periodo d’oro di Tumblr, gli zoomers ridono di quando alle medie postavano i selfie su Snapchat prima di andare a scuola. Internet, nel frattempo diventa sempre più invivibile, tra deepfake, pubblicità e piattaforme che muoiono. Si sospira, ricordando i bei tempi andati, Proprio come dei boomer qualunque.
Irene Doda
Irene Doda si occupa di temi legati al lavoro e alla tecnologia. Ha scritto per Wired Italia, L’Indiscreto, Emma e per altre testate online e cartacee. Autrice del saggio L’utopia dei miliardari. Analisi e critica del lungotermismo (2024).
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