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Generi

La vita in streaming del reality show

Chi l’avrebbe mai detto? Le piattaforme sono diventate uno spazio accogliente anche per generi come il reality e il dating show. Spesso con un twist che differenzia questi format da quelli generalisti.

Possiamo ammetterlo: quando le piattaforme di streaming hanno iniziato a investire sull’unscripted tutti (produttori e spettatori) avevamo sperato che avrebbero rappresentato uno spazio di sperimentazione in cui avremmo potuto trovare titoli che di solito non c’erano sulle reti generaliste o sui canali tematici. Con lo streaming c’è stato il trionfo di generi come il true crime o di programmi con una struttura narrativa forte come le docu-serie. Si sono visti anche qualche game show, qualche talent show e alcuni programmi comici. Ma nessuno (ingenuamente) si aspettava che il genere più gettonato – trent’anni dopo l’arrivo di The Real World e a vent’anni dal primo Big Brother – sarebbe stato quello dei reality. E che, tra i reality show, una buona fetta delle produzioni sarebbe stata rappresentata dai dating show, in primis quelli a base di sole, mare e (un po’ di) sesso. “I dating e i reality show sono popolari sulla tv lineare; quindi, è naturale che la loro popolarità si estenda anche alle piattaforme. Il fatto poi che servizi come Netflix o Hbo Max arrivino in tutto il mondo fa sì che questi programmi facciano parte di una conversazione globale”, dice Andy Dehnart, critico tv e editor della pagina specializzata realityblurred.com.

Too Hot To Handle

Se dovessimo segnare una data, non ci sarebbero dubbi: aprile 2020. Può sembrare una scelta arbitraria, magari lo è. Non che prima non ci fossero programmi di questo tipo sulle piattaforme. Ma sappiamo tutti cosa è successo in quei mesi. Eravamo chiusi in lockdown, spaventanti a causa di una pandemia di cui non si conosceva quasi niente. In casa si potevano fare davvero poche cose. Una era guardare serie e programmi in tv. In quelle settimane ci fu il boom di Tiger King. Tutti avevamo voglia di sole, mare, posti esotici. E su Netflix arrivò Too Hot To Handle, e fu un fenomeno globale (al top dei più visti per settimane in vari territori, 4 stagioni in totale, adattato in Brasile, c’è una versione latino-americana e presto una tedesca). Un gruppo di concorrenti sexy cerca l’amore, ma deve evitare ogni tipo di contatto sessuale, pena la perdita del montepremi. A controllarli c’è una severa assistente virtuale, Lana. Quale è stato il segreto del successo del format? “Penso che tutti possono capire come ci si sente quando ti dicono che non puoi avere qualcosa e per questo lo desideri ancora di più. E questo è ancora più vero e universale se si tratta di sesso”, dice Laura Gibson, creatrice di Too Hot To Handle con Charlie Bennett. “Il programma è arrivato quando tutti eravamo in lockdown e le persone in tutto il mondo stavano affrontando lo stesso problema: non riuscire a soddisfare i propri desideri. Tutti i dating show prima si basavano sul fatto di incoraggiare i single ad avere relazioni, il nostro faceva l’opposto. Penso che gli spettatori abbiano trovato il twist avvincente; in più avevamo un ottimo cast e un ingrediente fondamentale, la commedia”.

È rivelatore l’aneddoto che la produttrice ha più volte raccontato sull’origine del programma. L’idea del format le venne riguardando vecchie puntate di Seinfeld. In un noto episodio della quarta stagione, “The Contest”, i protagonisti della sitcom fanno una scommessa su chi riesce a stare più tempo senza masturbarsi. Nessuno ce la fa, e perdono i soldi. Da questa premessa sono poi partiti a sviluppare il format finale. In quel “seme”, in realtà così diverso dal programma, a pensarci bene c’erano già tutti gli elementi: la competizione, i soldi, il sesso, il dramma, la commedia. Bastava aggiungerci una location spettacolare e un gruppo di avvenenti protagonisti. Che sono gli ingredienti base di un po’ tutti i dating show basati sulla convivenza, sia che si svolgano su un’isola o una casa. Questi stessi elementi, secondo Gibson, li rendono particolarmente adatti anche alle piattaforme: “i migliori programmi riproducono gli alti e bassi delle fiction. Sono storie avvincenti che fanno sì che le persone facciano clic per vedere un altro episodio e sapere che succede dopo. Ciò li rende bingeable, se fatti bene. E questo è perfetto”.

The Same, But Different

Gibson dice un’altra cosa molto interessante: Too Hot To Handle, pur basandosi su elementi classici, aveva un twist avvincente. Grazie al successo di format come questo, le piattaforme si sono accorte che la chiave non era dare agli spettatori cose che non avevano mai visto, ma offrire loro titoli appartenenti a un genere molto conosciuto, aggiungendo però qualche elemento sorprendente. “The same, but different” è un’espressione che ci si sente ripetere spesso quando si parla con chi dirige le piattaforme: formule conosciute, ma con qualche elemento che le renda diverse. “I servizi di streaming, in questo momento, non hanno molta voglia di rischiare, perciò si sentono più sicuri quando seguono i passi di programmi di comprovato successo”, dice Dehnart. “Netflix è un buon esempio: molti dei suoi reality show più seguiti prendono in prestito format di reti via cavo e ci aggiungono piccoli twist. Selling Sunset non è altro che Million Dollar Listing di Bravo; Love is Blind è Married at first sight di Lifetime; Next in Fashion è Project Runway”. L’idea è, dunque, di puntare su meccanismi di sicuro successo, ma di cambiarli quel tanto che serve per renderli più attraenti per gli abbonati, usando stratagemmi tecnologici o idee scenografiche curiose. E in molti casi per attrarre gli spettatori, anche se in modo informale, quasi vergognandosi, spesso le piattaforme richiedono anche cose più semplici, come per esempio un cast di belle facce e corpi statuari da mettere in copertina nel menù della piattaforma per invogliare i clic. 

Too Hot to Handle è arrivato quando tutti eravamo in lockdown e le persone in tutto il mondo stavano affrontando lo stesso problema: non riuscire a soddisfare i propri desideri. Tutti i dating show prima si basavano sul fatto di incoraggiare i single ad avere relazioni, il nostro faceva l’opposto”.

Da lì il successo di quel sottogenere che in gergo televisivo è ormai definito “bikini reality show” a base appunto di sole, mare, sesso. E anche qui nulla di nuovo, niente che il pubblico non potesse già trovare sulla generalista, in format di grande successo come Temptation Island o Love Island. Gli esempi sono tanti, come FBoy Island di Hbo Max (alla seconda stagione, e in arrivo in altri Paesi come la Spagna), in cui le protagoniste devono capire quali pretendenti sono lì per cercare l’amore e quali solo per i soldi. Quello dell’inganno è un meccanismo che ritorna spesso in molti format, per prendere in contropiede i protagonisti (e gli spettatori). Su verità e bugia gioca anche il reality spagnolo di Netflix, Amor Con Fianza, alla sua seconda stagione (disclaimer: sono uno dei creatori). Nel programma sei coppie mettono alla prova la fiducia reciproca. Solo una, la più sincera, porta a casa il premio finale, che aumenta o diminuisce in base alle verità o bugie dette nel programma. Le menzogne costano. Per scoprirle si usa una speciale macchina della verità, chiamata “Eye Detect”, perché si basa su una tecnologia che rileva i movimenti oculari. Ritroviamo ingredienti conosciuti: la relazione di coppia con tutti i conflitti che genera (gli stessi di format come Temptation Island o Blind Faith), mischiati con un elemento differente, il gioco (che aggiorna il vecchio The Moment Of Truth) e una novità tecnologica (l’Eye Detect).

Let’s Get Loud

La premessa di Amor Con Fianza è semplice (“in amore è meglio sapere sempre la verità?”), ma nel caso di molti reality e dating show delle piattaforme le premesse sono a volte estreme. Spesso si tratta di veri e propri esperimenti sociali, provocazioni al limite del trash. “Questi programmi offrono momenti scioccanti o sorprendenti, e invitano il pubblico a esprimere un giudizio. Questo può innescare una conversazione sui social e quindi generano più attenzione”, spiega il critico di realityblurred.com. Uno degli ultimi esempi è il reality The Ultimatum: Marry or Move On di Netflix, in cui le coppie devono decidere se restano insieme o cominciano una nuova vita con un’altra persona. Un esperimento era Insiders, sempre di Netflix: nel programma spagnolo i concorrenti pensavano di essere arrivati all’ultima fase del casting per entrare in un reality show… ma in realtà il programma era già iniziato. Esperimenti e premesse estreme servono a fare in modo che i programmi possano conquistarsi uno spazio in un panorama sovraffollato di contenuti nuovi ogni settimana. Bisogna stare attenti però: cercare premesse eccessive per richiamare l’attenzione può avere l’effetto contrario. I programmi diventano sempre più assurdi, al limite della parodia. E non sempre giustificare tutto con un “taglio umoristico” funziona. 

È un tema interessante di cui si discute spesso tra colleghi. Le premesse forti sono pericolose perché quasi sempre i programmi che ne vengono fuori poi non riescono a stare all’altezza della loro stessa premessa. Si sgonfiano presto, deludono, non vanno da nessuna parte. Ci puoi fare un buon trailer, ma non reggono. E questo succede spesso con molti reality che guardiamo (ma li guardiamo davvero?) sulle piattaforme. Non significa che non si debba essere ambiziosi. C’è molta attesa, per esempio, per Squid Game: The Challenge, versione reality della serie sudcoreana, annunciato poche settimane fa da Netflix come il più grande reality di sempre, dove 456 giocatori si sfideranno per il premio finale. Per mesi (lo posso assicurare per esperienza personale) i creativi di tutto il mondo hanno provato a pitchare una qualche versione reality della serie. E alla fine è stata la piattaforma a lanciarsi nel progetto, affidandolo a The Garden e ai produttori di The Circle, Studio Lambert. The Circle è un caso interessante, uno dei primi reality di successo su Netflix. È un format per molti aspetti innovativo, anche rischioso, che cerca di sovvertire le regole base del genere. Forse era il tipo di prodotto che ci si aspettava sarebbe arrivato dalle piattaforme. Ma non bisogna dimenticare che The Circle non nasce su Netflix, ma ci arriva, dopo il suo esordio su Channel 4, una rete la cui missione è proprio la sperimentazione.

“Netflix è un buon esempio: molti dei suoi reality show più seguiti prendono in prestito format di reti via cavo e ci aggiungono piccoli twist. Selling Sunset non è altro che Million Dollar Listing di Bravo; Love is Blind è Married at first sight di Lifetime; Next in Fashion è Project Runway”. L’idea è, dunque, di puntare su meccanismi di sicuro successo, ma di cambiarli quel tanto che serve per renderli più attraenti. Anche con un cast di belle facce e corpi statuari da mettere in copertina nel menù della piattaforma.

Parliamo molto di Netflix, perché è uno dei servizi che più ha investito e investe sull’unscripted, tracciando la linea da seguire per le altre piattaforme. L’unscripted – per i suoi costi e i suoi tempi – è strategico: non a caso l’annuncio del reality di Squid Game è arrivato pochi giorni dopo le notizie sulla crisi della piattaforma. Netflix lancerà presto Summer Job, il suo primo reality italiano, in cui dieci ragazzi e ragazze scopriranno che quella che pensavano essere una vacanza in un posto paradisiaco diventa invece la loro prima, dura esperienza lavorativa. Un po’ sulla stessa linea va Snowflake Mountain, sempre di Netflix, in cui un gruppo di ragazzi un po’ infantili sono messi alla prova nella natura più selvaggia. Ma anche Amazon Prime Video si è lanciato sui reality (Making The Cut, alla terza stagione) e sui dating show, come The One That Got Away o il più innovativo (per tono e ambientazione) Lovestruck High. Discovery+ ha lanciato Love In The Jungle, dating girato in una riserva naturale, in cui la ricerca dell’amore si basa su istinti e rituali animali. C’è poi My Mom, Your Dad di Hbo Max, in cui i figli cercano fidanzati e fidanzate per i genitori. L’elenco potrebbe andare avanti: c’è Single’s Inferno su Netflix e lo svedese True Love su Discovery+, basato ancora sulla macchina della verità. Parliamo solo di reality e dating show arrivati negli ultimi due anni su piattaforme globali, senza contare quelli prodotti da servizi di streaming locali, format prodotti per reti generaliste ma lanciati prima sulle piattaforme delle reti e poi altrove (per esempio, l’inglese Ready To Mingle), o vecchi programmi che trovano una seconda vita on demand (per esempio, lo spagnolo The Bridge prodotto ora in Brasile da Hbo Max). 

Hits Come From Unexpected Places

Leggendo le sinossi di molti di questi format o guardando i trailer la sensazione di già visto è innegabile. A volte si ha l’impressione che si tratti di idee rimaste per anni nei cassetti e ritirate fuori ora grazie alla sete di contenuti delle piattaforme. Spesso è anche evidente che il successo di certi format in un Paese spinga le piattaforme a chiedere alle case di produzione programmi dello stesso genere ma con un taglio differente, più eccessivi, spettacolari, grazie ai maggiori budget a disposizione (Ultimate Beastmaster non esisterebbe senza Ninja Warrior). Molti di questi programmi puntano sulla commedia, ma è anche vero che a volte la costruzione narrativa è complessa e si accompagna a una migliore qualità della fotografia. O tra i protagonisti troviamo grosse celebrity che le tv generaliste per budget o reputazione non possono permettersi (si pensi a Celebrity Hunted su Amazon Prime Video in Italia). Detto questo, è vero che in alcuni casi ci si chiede se ci siano delle differenze formali o sostanziali tra un format di Netflix, Hbo Max o Disney+ e un qualunque reality o dating di una generalista. Grosse differenze, dice Andy Dehnart, che di reality ne guarda parecchi ogni giorno, in realtà non ci sono. “Le piattaforme di solito censurano meno il contenuto, il linguaggio esplicito. Forse la differenza maggiore riguarda il modo in cui gli episodi sono strutturati: in streaming, senza interruzioni pubblicitarie, le storie possono fluire in modi diversi e non devono adattarsi a rigide fasce orarie. Episodi diversi possono avere lunghezze diverse, in base al contenuto e non a una durata arbitraria. In un mondo ideale questo dovrebbe far sì che i creatori e i produttori abbiano più controllo sul contenuto, in realtà a volte finisce per ritorcersi contro i programmi, perché capita che gli episodi diventino troppo lunghi o sembrino gonfiati”. 

Ci siamo concentrati sui reality con un elemento competitivo o di convivenza e sui dating in costume da bagno che rappresentano la fetta più grossa, e di maggiore successo, delle produzioni unscripted che sono spuntate sui servizi di streaming più diffusi. È però vero che le piattaforme hanno esplorato con alterne fortune altri generi, anche quelli propri di tv tematiche o generaliste. Vecchi format come Queer Eye (Netflix) o The Quest (Disney+), game show come Nailed it! o Bullshit The Gameshow (Netflix), talent come Rhythm + Flow o Sing on! (Netflix) o comedy come Lol su Amazon Prime Video (forse uno dei più grandi successi italiani), molti programmi di cucina e pasticceria (Sugar Rush su Netflix, Baketopia su HBO Max o Foodtastic su Disney+), senza contare la parte più factual rappresentata da docu-serie e docu-reality (per esempio a tema sportivo, come Cheer su Netflix o All Or Nothing su Prime Video).
Se rimane un po’ di quel senso di delusione di cui si diceva, è pur vero che scorrendo i titoli è anche innegabile trovarne alcuni che mai avrebbero avuto spazio su una generalista o una tematica. Ci sono prodotti che da soli hanno creato nuove tendenze, dato spazio a voci nuove e temi come la diversità, raccontato storie che altrimenti il pubblico non avrebbe mai potuto conoscere e, last but not least, rappresentato un altro tipo di business per i produttori in un mercato stagnante. Alcuni programmi hanno portato una certa spensieratezza, un modo di fare tv con leggerezza, senza prendersi troppo sul serio (basti pensare a titoli come The Floor Is Lava o Is It Cake?, che piacciono al pubblico infantile). C’è allora ancora spazio per la creatività sulle piattaforme o siamo destinati a vedere (o a proporre come produttori) sempre le stesse cose? Gibson sembra ottimista: “Sì, c’è ancora spazio per l’innovazione. Il nostro prossimo progetto per Netflix è un quiz, non ha niente a che vedere con Too Hot To Handle”. Ma dobbiamo pagare Netflix per vedere un altro quiz? Gibson assicura che è un gioco mai visto: “Ha un concept forte e avvincente”. E conclude: “Vale sempre la pena presentare ciò che pensi sia davvero una buona idea pure se non è ciò che pensi le reti stiano cercando. I successi arrivano da luoghi inaspettati”.


Algerino Marroncelli

Quando era bambino, passava i pomeriggi costruendo scenografie di plastilina e giocando “alla tv”. Da grande, ha lavorato in Italia come autore e regista e ha scritto due saggi sulla televisione. Fino a sbarcare nel 2008 a Madrid per lavorare prima a Magnolia e ora a FremantleMedia, dove si occupa dello sviluppo di programmi originali e dell’acquisizione di format internazionali. Su Twitter è @AlgeMarroncelli.

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