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La sessualità ovunque, il sesso da nessuna parte

Vent’anni fa il sesso è stato al centro di una rivoluzione televisiva. Ora che si accetta senza problemi ogni diversità, però, la rappresentazione è stata sostituita dal solo discorso, l’immagine dalla parola.

Non c’è stata un’altra epoca in cui la sessualità fosse così al centro del discorso sui media, e quindi pubblico. Ruoli, posizioni e disequilibri tra generi, ma anche la nozione stessa di genere sessuale come lo abbiamo inteso fino a oggi, sono terreno di negoziazione in continuo slittamento prima di tutto in televisione, dove le reti generaliste (da noi quelle Mediaset) scivolano da tempo verso il pubblico queer, mentre i segmenti più avanzati di linguaggio (le serie) raccontano problemi di sessualità, mondi in cui la sessualità è in ridefinizione, o ancora storie dove l’intreccio non ruota intorno al genere ma i personaggi appartengono a generi non codificati, superando ogni problematizzazione e arrivando direttamente alla rappresentazione di un mondo diverso.

Un altro mondo è sempre possibile in televisione, specialmente se intercetta desideri e ansie del pubblico prediletto, specialmente se rappresenta in forma audiovisiva le discussioni che in forma scritta si trovano sui giornali e in forma orale nei talk. Ma più trova spazio il nuovo mondo della sessualità più inclusivo, più fluido, più conscio delle tante possibilità dello spettro di preferenze, generi e gender, meno è rappresentato il sesso strettamente inteso. E di conseguenza meno sono rappresentati il desiderio e la declinazione più concreta del sentimento. Almeno nel cinema mainstream e, appunto, in televisione.

Molto sesso, siamo Hbo

Hbo aveva prosperato lungo gli anni Duemila dettando una linea fatta di spregiudicate nudità, di violenza e del racconto della parte meno conciliante di ognuno, delle perversioni degli antieroi e poi proprio delle perversioni punto e basta. In un movimento chiaro, sembrava che il racconto delle pulsioni sessuali stesse travasando dal cinema in televisione, assieme a tutto ciò che è più perturbante e rimosso. Nei film mainstream il sesso c’era ma era sempre più macchietta, una specie di etichetta, una scena obbligatoria di passaggio sempre più breve, mentre nelle serie era una ragione di vita, uno snodo di trama cruciale, parte di un racconto adulto che quindi non poteva prescindere dall’attrazione dei corpi. E non solo l’attrazione dei corpi tra di loro, ma proprio con lo spettatore. Divertire, intrattenere, sfidare con forme di racconto più complesse, far rispecchiare in personaggi sfaccettati, eccitare.

Il sesso si è moltiplicato nei titoli (Masters of Sex, Sex Education, Sex Life, …) e anche nei discorsi, ma è scomparso dalle immagini. Le serie hanno cancellato la rappresentazione del sesso e della nudità. Dalla prima stagione di Game of Thrones (2011) all’ultima (2019), il cambio è radicale, dalla sovrapresenza alla sottorappresentazione.

Tutto questo almeno fino agli anni Dieci, lungo i quali gradualmente il sesso è scomparso dalla serialità televisiva. Il vocabolo si è moltiplicato nei titoli (Masters of Sex, Sex Education, Sex Life, …) e anche nei discorsi, ma è scomparso dalle immagini. Se si eccettuano alcune produzioni che fanno esattamente del racconto dei corpi il loro punto (come Euphoria o We Are Who We Are), tutte le altre serie, le cui trame non ruotano intorno agli amplessi o alla sessualità, hanno via via cancellato la rappresentazione del sesso e della nudità. Dalla prima stagione di Game of Thrones (2011) all’ultima (2019), il cambio è radicale, dalla sovrapresenza alla sottorappresentazione.

Cinema puro

È una forma di rimozione che si rispecchia nel cinema di maggiore incasso, che – nonostante non sia mai stato il territorio della trasgressione – lo stesso ha sempre trattato la sessualità dei personaggi (addirittura Indiana Jones e suo padre dichiaravano di aver avuto rapporti sessuali con la stessa donna!) e volentieri la rappresentava in scene di sesso solitamente furiose. Il thriller erotico a lungo è stato un genere a sé stante. Ora il cinema dei supereroi, o quello della grande azione o della fantascienza, quello cui sono riservati i budget maggiori, non contempla più l’ipotesi, e per non far notare l’assenza annulla il più possibile i sentimenti concretizzabili. Captain America ama perdutamente una donna ormai morta e sepolta, Superman ama Lois Lane guardandola da lontano, la familia di Fast & Furious (nel cui primo film, anno 2001, Vin Diesel possedeva rigorosamente in garage la sua donna) ora è come le famiglie più bigotte e non contempla amori che non siano di parentela. E anche James Bond in No Time To Die nonostante teneramente ancora ci provi con qualche donna, comunque non va in buca. Pure Zendaya e Timothée Chalamet, due simboli di racconti sessualmente spregiudicati (Euphoria e Chiamami con il tuo nome) in Dune si guardano languidi e basta.

Come sempre è una questione di tipologie di audience. Il cinema d’autore è sempre per pochi e infatti non ha nessun problema con la rappresentazione di ogni tipo di sessualità, ma la televisione a pagamento non è più per pochi e i suoi programmi non sono più per pochi.

E così se da una parte non è più un problema nemmeno per la Disney raccontare sessualità che non siano quelle eterosessuali convenzionali (in Eternals c’è un bacio omosessuale di uno degli eroi), dall’altra è diventato un problema rappresentare il sesso, perché rappresentarlo correttamente ora vuol dire farlo inclusivamente, tenendo a mente tutte le possibilità e non lasciando nessuno escluso dal godimento. Non rappresentarlo affatto è allora il modo più semplice per non sbagliare, non essere attaccati, non finire al centro di un ciclone che alieni il pubblico. A differenza dei network di inizio anni Duemila che coltivavano un pubblico desideroso di quello che trovavano a fatica al cinema, ora la parola d’ordine “allargare” è padroneggiata da tutte le piattaforme e i canali. Il pubblico della nicchia era la testa d’ariete per creare un chiacchiericcio sufficiente ad attirare su quei lidi il pubblico più grande. Arrivato quello, la programmazione deve allargarsi per essere buona per tutti, innocua, rassicurante.

Parole parole parole

Come sempre è una questione di tipologie di audience. Il cinema d’autore è sempre per pochi e infatti non ha nessun problema con la rappresentazione di ogni tipo di sessualità, ma la tv a pagamento non è più per pochi e i suoi programmi non sono più per pochi. Le serie che devono fare tendenza e nascono piccole si muovono con più agio (Normal People), mentre quelle più grandi rimangono accollate anche quando sono fondate sul prurito del racconto di desideri irrefrenabili (Bridgerton). La rappresentazione e le immagini sono sempre più sconvolgenti dei concetti e della loro accettazione. Un conto è accettare l’esistenza e la dignità di qualcosa di diverso, un altro è accettare di guardarlo. Dopo anni di rottura delle barriere anche il pubblico più vasto accetta mondi audiovisivi in cui sono presenti tutte le sessualità senza gerarchie, e questo anche quando il mondo di chi guarda non le comprende, le rifiuta o le marginalizza. Ma accettare l’esibizione del diritto a diverse forme di godimento è un’altra cosa.

Non esistendo più la vera televisione di nicchia, mostrare il sesso è più difficile, e anche nelle serie più audaci e rischiose, mostrarlo senza essere inclusivi, mostrarlo confermando anche carnalmente i passi avanti fatti quanto a diritti e dignità, è impensabile. Così continuiamo a parlarne, a mettere in discussione, a cambiare, rivoluzionare e includere, ma abbiamo tirato fuori dal discorso sociale il piacere. Lo stesso piacere che invece è molto inclusivo su tutte le altre piattaforme, quelle dedicate solo al sesso, le uniche dentro le quali, anche solo dal catalogo, è possibile leggere il racconto della varietà del desiderio sessuale nel nostro pianeta. Una quindicina di anni sono bastati a moltiplicare le categorie di Pornhub coinvolte negli atti sessuali, le performance e le tipologie di rapporti, includendo tutte le etnie, età, forme, taglie e religioni (era del 2015 il primo porno con hijab). Forse per una volta sarà da lì che ripartiranno i contenuti più adulti, con inclusività e tolleranza davvero per tutti.


Gabriele Niola

Giornalista e critico di cinema, videogiochi e webserie, è stato selezionatore della sezione Extra del Festival del Film di Roma e per il Taormina Film Fest. Scrive per MyMovies, BadTaste, Wired, Leggo, Fanpage e i 400calci.

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