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Tendenze

Junk food porn

Dopo il trionfo del cibo bello e instagrammato bene, è giunto il momento della rivincita: prodotti industriali, gozzoviglie esagerate, mescolamenti sgradevoli. Il lato oscuro della gastronomia digitale.

C’è un’espressione inglese che negli ultimi anni è entrata a far parte del galateo delle persone con smartphone ossessionate dal cibo: “Camera eats first”, la fotocamera mangia per prima. Il contesto in cui è utilizzata è facile da immaginare: nel preciso istante in cui la tavola è stata imbandita e le pietanze sono state accuratamente posizionate sulla tovaglia, appena pochi istanti prima che qualche sprovveduto si azzardi a dare la prima forchettata, ecco issarsi uno smartphone per immortalare dall’alto il banchetto, il cui perfetto still life sarà spedito nell’etere per allietare le fantasie gastronomiche degli utenti online. Filtri estetici e testi di accompagnamento possono variare a seconda della creatività dell’utente, mentre l’hashtag è unico e imprescindibile: #foodporn.

Cibo da vedere

Quando si parla di “pornografia gastronomica”, e quindi di una certa tendenza a manipolare il cibo per crearne una rappresentazione stimolante e appetitosa, si pensa a un fenomeno nato dalla compulsione fotografica degli utenti su piattaforme come Instagram e TikTok. Tuttavia, l’instagrammabilità è solo l’ultimo dei canoni estetici che nel corso degli anni, e persino dei secoli, ha permesso di sviluppare una cultura visuale del cibo in quanto oggetto del desiderio. 

Basti pensare che già nel 1977 il giornalista americano Alexander Cockburn usava il termine gastro-porn per indicare la moda dei libri di cucina di accompagnare le ricette a fotografie a colori appositamente studiate per stimolare “l’eccitazione e il senso dell’irraggiungibile” verso le pietanze raffigurate. L’idea di gastro-porn anticipa perfettamente quelli che oggi, nello spazio digitale, sono gli ingredienti cruciali di uno scatto #foodporn che si rispetti: la capacità di esaltare l’attrattività di una preparazione e, al tempo stesso, di renderla quasi irreale, avvicinandola a un’idea di gusto che ha più a che fare con l’iperuranio che con qualcosa che potremmo mangiare tutti i giorni. Il foodporn ci dice molto di più sulla fantasia che abbiamo di quel cibo, che sulla pietanza in sé. Se il concetto di gastro-porn risale a più di quarant’anni fa, il rapporto tra società e rappresentazione gastronomica è invece uno dei più antichi ed emblematici, soprattutto se si desidera cogliere degli indizi sull’atmosfera culturale di una determinata epoca.

A questo scenario da utopia gastronomica si contrappone un dark side, sempre più nutrito di contenuti e incentivato dall’algoritmo, fatto di cibo spazzatura, formaggio filante e fette di pancetta sfrigolanti. Dopo anni di egemonia dell’estetica foodie e buongustaia, i contenuti ad alto tasso di grassi idrogenati stanno godendo di una nuova fase di popolarità tra gli utenti online.

Un articolo su The Atlantic ripercorre la storia del #foodporn mettendo in luce il rapporto tra rappresentazione gastronomica e clima politico: i banchetti rinascimentali, con la loro ostentazione di argenteria e ceramiche traboccanti di specialità di discutibile gusto per il palato contemporaneo (un po’ di bisque di piccione?), non erano solo momenti di sfarzosa celebrazione, ma anche e soprattutto eventi simbolici cruciali, le cui immagini continuavano a circolare tra il popolo anche dopo la fine del simposio, per diffondere e rafforzare un’idea di potere e ricchezza molto specifica. 

Dai banchetti a Instagram

Circa quattro secoli e mezzo dopo i banchetti rinascimentali e a più di dieci anni dall’arrivo di Instagram in Italia, la moda del #foodporn continua a solleticare la nostra fantasia, non senza segnalare importanti cambiamenti nell’immaginario gastronomico contemporaneo. Osservando il susseguirsi di tendenze negli anni, appare evidente una tensione socio-culturale alla base delle rappresentazioni porno-gastronomiche: da un lato, persiste la tradizione delle lunghe tavolate riprese dall’alto, solo che al posto di simposi a base di torte di cinghiale abbiamo il comfort food, il cibo sano e quello vegano, le pietanze della tradizione. La mise en place cambia in base alle scelte alimentari, ma l’atmosfera che circonda i banchetti è sempre la stessa: abbondante, conviviale e attenta a celebrare i valori morali, oltre che nutrizionali, del cibo. È il lato luminoso della Forza, che nutre un immaginario borghese e aspirazionale fatto di preparazioni artigianali, vita lenta e rivisitazioni in chiave gourmet.

A questo scenario da utopia gastronomica si contrappone un dark side, sempre più nutrito di contenuti e incentivato dall’algoritmo, fatto di cibo spazzatura, formaggio filante e fette di pancetta sfrigolanti. Dopo anni di egemonia dell’estetica foodie e buongustaia, i contenuti ad alto tasso di grassi idrogenati stanno godendo di una nuova fase di popolarità tra gli utenti online. È un esempio il ritorno in auge dei mukbang, video che riprendono i creator ingozzarsi di quantità inverosimili di cibo altamente processato, fissando imperturbabili la telecamera. Il format, nato in Corea nel 2010, sembrava ormai archiviato nei recessi delle bizzarrie del primo web, finché una nuova ondata di contenuti su Instagram e TikTok non ne ha rispolverato gli antichi splendori, inaugurando il nuovo apogeo delle ingozzate online.

Il menù dei contenuti è esuberante come un fast-food: si va dalle scorpacciate di cibo da asporto in macchina al format diaristico “what I eat in a day”, nel quale gli utenti filmano i propri pasti durante l’arco della giornata o si riprendono mentre mangiano a tavola con gli amici, nell’intimità della loro abitazione o, addirittura, nelle mense dei campus universitari. I video raggiungono milioni di visualizzazioni, testimoniando una nuova tendenza voyeuristica che mette al centro del proprio desiderio i cibi ultra-processati e ferocemente conditi, alla faccia dei banchetti di pietanze a km0 dal retrogusto radical chic.

Cibo sgargiante

L’ultimo format che sta spopolando in questi mesi conferma l’inarrestabile ritorno del junk nel #foodporn: il nuovo protagonista di reel e video TikTok è il cibo chimico, colorato e pronto da mangiare dei convenience store. Dai konbini giapponesi ai dollar store americani, questi mini market offrono scaffali saturi di piatti pronti dai packaging accattivanti e i sapori fantasiosi. Sonsern Lin, in arte @hungryhoc, è stato uno dei primi creator a cavalcare il passaggio di tendenza dai menù esclusivi ai pasti convenienti: se fino a pochi mesi fa il suo profilo era un caleidoscopio di cene a base di wagyu pregiato e lussuose sushi box, oggi i banchetti di lusso hanno lasciato spazio a spuntini rapidi a base di cibo confezionato che non costa mai più di due dollari. Bevande pastello, onigiri, sandwich a base di uova e carne in scatola, noodles e hamburger da scaldare direttamente nei microonde presenti in negozio per essere consumati voracemente nel parcheggio antistante. La nuova estetica #foodporn testimonia una peculiare evoluzione nella nostra relazione con il cibo: non più prodotto della terra, fattore identitario o strumento di benessere, ma merce allo stato puro, alla stregua di un giocattolo o un capo fast-fashion. Gli snack dei convenience store sono studiati per intrattenere, oltre che sfamare senza impegno: i packaging vivaci custodiscono prodotti sintetici dalle forme perfettamente geometriche, che evocano una bellezza industriale che non ha niente a che vedere con l’organicità dell’ingrediente, quanto con il fascino del design moderno. Ed è proprio con lo spirito del design e del gioco puerile che il nuovo #foodporn si apre alla sperimentazione disinvolta degli hack, in cui i creator esplorano combinazioni alimentari ai limiti dell’ortodossia: gli spazi asettici dei convenience store e i sedili angusti delle macchine sono i luoghi in cui nascono nuove ricette improvvisate, per esempio accostando più prodotti ultra processati insieme per creare un nuovo Leviatano gastronomico, oppure sfidando le regole della decenza per testare versioni inedite dei prodotti fast-food: c’è chi chiede il cheddar freddo al posto di quello fuso, chi inventa nuovi panini e chi insegue leggende metropolitane andando alla ricerca di Mc menù segreti.

La mise en place cambia in base alle scelte alimentari, ma l’atmosfera che circonda i banchetti è sempre la stessa: abbondante, conviviale e attenta a celebrare i valori morali, oltre che nutrizionali, del cibo. È il lato luminoso della Forza, che nutre un immaginario borghese e aspirazionale fatto di preparazioni artigianali, vita lenta e rivisitazioni in chiave gourmet.

Non ci vuole un genio per capire che questa tendenza apre la strada a un importante problema nutrizionale ma, come ci insegnano i banchetti rinascimentali, la questione non riguarda tanto la qualità dietetica, quanto piuttosto i fattori politici e culturali che influenzano le scelte sul cibo che desideriamo. 

Bilanci e riflessi

Cosa ci dice il nuovo #foodporn sulla società in cui viviamo? Sicuramente che, in un clima di vibecession – di recessione percepita più dai consumatori che dai mercati – i simposi sfarzosi e i superfood venduti a peso d’oro non solleticano più il desiderio di massa di chi cerca nel cibo una forma di escapismo, oltre che di intrattenimento. Con gli alimenti freschi a prezzi stellari, la fantasia foodie borghese ha perso ogni appetibilità, mentre lo sguardo si sposta verso l’illimitata e coloratissima varietà di prodotti negli scaffali dei discount e dei convenience store. Lungi dal rappresentare una forma di protesta dal basso verso il mercato neoliberista, il #foodporn spazzatura sembra, piuttosto, una reazione cinica e disincantata a una società che offre sempre meno alternative.

Contro ogni etica e condotta sostenibile, persino contro la nostra stessa salute, ci crogioliamo nelle infinite varianti del consumo a basso costo, contrapponendo all’opulenza benestante l’abbondanza di prodotti di infima qualità come ultima frontiera di autonomia immaginaria. Per l’ennesima volta, quest’estate si sono registrate le temperature più alte di sempre, mentre il caro prezzi avanza e le politiche pubbliche continuano a latitare. Intanto su TikTok, un video dell’account @eatfoodporn mostra la preparazione di una piadina con cheddar fuso, patatine fritte, kebab e salsa burger, registrando quasi 5 milioni di visualizzazioni. All’inizio del filmato il creator domanda: “Quanto costa la felicità?”. A quanto pare, meno di un avocado toast.


Priscilla De Pace

Scrive di cultura digitale e società. È autrice della newsletter Una goccia e del saggio Al centro dei desideri. Consumo, nostalgia, estetiche digitali pubblicato per la collana Quanti di Einaudi (2023).

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