immagine di copertina per articolo Il queerbaiting è dappertutto
Serie tv

Il queerbaiting è dappertutto

Un tempo era l’accusa del fandom a narrazioni che giocavano troppo sull’ambiguità dei personaggi. Poi è diventata una caratteristica ben più ampia e diffusa. Complicandone molto la definizione.

Tra le cose per cui sarà ricordata l’ultima Mostra del cinema di Venezia ci sono senza dubbio le infinite discussioni, polemiche e indiscrezioni intorno al film Don’t Worry Darling di Olivia Wilde: per giorni non si è parlato d’altro che delle presunte tensioni sul set tra la regista e la protagonista Florence Pugh, del botta e risposta tra Wilde e l’attore Shia Labeouf, di quanto sembrasse annoiato Chris Pine nelle interviste, del presunto sputo di Harry Styles a Pine – noto come “spit-gate” – diventato virale. Tra le tante polemiche non è mancata nemmeno l’accusa di queerbaiting a Harry Styles, dopo che ha baciato Nick Kroll in Sala Grande, durante la première: se da un lato “l’uomo più desiderato al mondo” si è ormai affermato come un’icona della moda gender fluid, dall’altro, a cadenza regolare, è accusato di appropriarsi dei codici e dell’estetica queer senza far parte della comunità Lgbtqia+, sfruttandola per profitto. È successo con l’uscita della cover di Vogue che ha visto Styles indossare un vestito lungo, con la presentazione del film My Policeman in cui interpreta un poliziotto gay, e così a Venezia. Il cantante e attore, insomma, è sempre sotto la lente di ingrandimento, ma non è il solo.

Da Cardi B ad Andrew Garfield, la critica di queerbaiting ha iniziato a colpire sempre più celebrities, per via di dichiarazioni, atteggiamenti ambigui o scelte di stile che strizzano l’occhio al mondo queer e a chi ne fa parte. Del resto, la pratica di appropriarsi e rendere cool i simboli e costumi di una comunità marginalizzata come precisa strategia di marketing non è certo nuova. È senza dubbio recente e inedito, però, il modo in cui ha iniziato a prendere piede il termine queerbaiting, prima usato solo nell’ambito della fiction e dei fandom studies. Oggi invece è facile che si parli di queerbaiting se un attore etero indossa abiti considerati femminei, se in una serie interpreta un ragazzo gay ma poi è paparazzato mano nella mano solo con donne, o anche se in un film si introduce un personaggio dall’orientamento sessuale non ben definito. Complice una maggiore attenzione alla rappresentazione e alle istanze della comunità Lgbtqia+, il concetto di queerbaiting è diventato mainstream, cambiando e ampliando semanticamente il suo significato, ma complicandone anche il suo riconoscimento.

Negare e ridicolizzare

Il fatto è che la definizione di queerbaiting, per certi versi, ha avuto sin dal principio confini labili, abbracciando più sfumature e interpretazioni, a causa delle sue origini. Il termine è stato coniato intorno al 2010 su Tumblr da utenti e fan che discutevano di serie come Teen Wolf, Sherlock, Supernatural: tutti titoli che hanno come protagonisti maschi bianchi, presentati come eterosessuali, al centro di battute, ammiccamenti e insinuazioni alle rispettive “slash ship” (letteralmente, relazioni tra due maschi) sostenute dal fandom, ma che nei fatti non diventano mai “canon”, non si realizzano mai. Attribuire la paternità del termine queerbaiting a una singola persona è impossibile, e anche dagli studi accademici emerge tutta la duttilità e pluralità di un fenomeno nato in modo spontaneo, su una piattaforma usata perlopiù da adolescenti: la docente e studiosa Eve Ng, per esempio, parla di prodotti audiovisivi in cui si “corteggiano gli spettatori interessati a narrazioni Lgbt”, senza però che “il testo mediale confermi mai definitivamente la non eterosessualità dei personaggi in questione”. Secondo Judith Fathallah invece si tratta di un’autentica “strategia con cui gli sceneggiatori e le reti cercano di attirare l’attenzione del pubblico queer con allusioni, battute, gesti e simbolismi che suggeriscono una relazione queer tra due personaggi, per poi negare con forza e ridere di questa possibilità”.

Il nucleo principale del queerbaiting è la presa in giro, l’adescamento (in inglese “bait” per l’appunto) nei confronti di chi guarda, che alla fine è deluso dalle aspettative alimentate e disattese; le definizioni di Ng e Fathallah, però, presentano anche sottili ma sostanziali differenze – la prima parla solo di personaggi queer non canon, la seconda di relazioni, aggiungendo un ulteriore livello: la negazione e ridicolizzazione del fandom da parte degli autori. Sherlock, per esempio, considerata la serie tv emblema del queerbaiting, aderisce alla spiegazione proposta da Fathallah: sin dal pilot la serie presenta allusioni, battute più o meno esplicite, e diversi tropes comuni nelle love stories – dalla gelosia della fidanzata di turno di John Watson all’eroico sacrificio di Sherlock Homes –, che suggeriscono un interesse amoroso tra i protagonisti, incoraggiato e insieme negato da autori e cast nel corso delle interviste. Sherlock è “la storia più gay nella storia della televisione”, dichiarò nel 2011 l’attore Martin Freeman; “Tutti vogliono credere che [Sherlock] sia gay. Non è gay. Non è etero. E il dottor Watson ha detto molto chiaramente che preferisce le donne. La gente vuole fantasticare su questo. Va bene. Ma non è nella serie”, ha dichiarato invece nel 2015 il co-creatore Steven Moffat. Ed è proprio in queste contraddizioni che emerge tutta la problematicità della pratica del queerbaiting, che gioca sul tenere insieme sia il fandom che spera che la ship diventi canon e che le loro teorie ricevano conferma – la Johnlock Conspiracy generò una mole infinita di analisi dettagliate, seguitissime – sia quello più ignaro e conservatore, che vedrebbe con scetticismo se non orrore l’unione tra i protagonisti.

Scarsa rappresentazione

Secondo la studiosa Emma Nordin, il queerbaiting non è altro che “un furto di rappresentazione e di spazio, un’espressione di omofobia e strumentalizzazione e una riproduzione dell’eterosessismo… In un tempo e un luogo in cui la rappresentazione queer è possibile ma costantemente negata”, ridotta a scherzo, a battuta spiritosa, che banalizza e sminuisce il pubblico queer e le sue esperienze affettive e sessuali. Ancora oggi, vedere una serie tv o un film con un protagonista non etero-cisgender, al centro di una storia romantica, non è scontato. I dati parlano chiaro: secondo l’ultimo report di Glaad, per quanto riguarda le serie broadcast, in prima serata, si arriva a 92 personaggi Lgbtq come protagonisti (su un totale di 775 regular), segnando l’11,9%, la percentuale più alta mai raggiunta finora; sono invece 87 i personaggi Lgbtq per le reti cable e 245 sulle piattaforme di streaming. Sul lato cinema, invece, per Glaad nel 2020, su 44 film delle principali case di produzione, 10 presentavano personaggi Lgbtq, con una crescita del 4,1% sull’anno precedente. La rappresentazione queer è senza dubbio aumentata, anno dopo anno, ma è cresciuta tanto, anche, la consapevolezza di tattiche narrative tossiche, molto più note grazie a media e stampa che hanno iniziato a discuterne. Contribuendo a cambiarne il significato.

Essenzializzare l’identità

In un articolo dellIndipendent del 2019 si definisce il queerbaiting “un espediente di marketing che le celebrità, gli scrittori e gli sceneggiatori di film e serie tv usano per attirare un pubblico Lgbtq+”. Le maglie già piuttosto frastagliate del queerbaiting, da sempre soggetto alle molteplici letture di fan e utenti, si sono così allargate, uscendo dai confini della fiction. Accusare una persona reale di queerbaiting, però, è ben diverso che accusare gli autori di una serie tv, perché implica fare deduzioni e teorie strettamente legate alla loro sfera privata e sessuale. Harry Styles, infatti, è sia attaccato sia difeso nella comunità Lgbtqia+, tra chi crede sia importante che chiarisca il suo orientamento sessuale – finora mai condiviso pubblicamente – e chi sostiene che sia scorretto costringere qualcuno, anche famoso, a rivelarlo. “Accusarlo di fare queerbaiting con i suoi fan è una trappola; può davvero negare le accuse solo facendo coming out e dichiarandosi in un modo che non sarebbe accettato appieno dal pubblico”, afferma sul New York Times Anna Marks, che da persona queer si dice convinta che Styles sia “uno di noi”. 

La definizione di queerbaiting ha avuto dal principio confini labili, abbracciando più sfumature. Il termine è stato coniato intorno al 2010 da utenti e fan che discutevano di serie come Teen Wolf, Sherlock, Supernatural: titoli che hanno come protagonisti maschi bianchi, eterosessuali, al centro di battute, ammiccamenti e insinuazioni alle rispettive “slash ship” (letteralmente, relazioni tra due maschi) sostenute dal fandom, ma che nei fatti non diventano mai “canon”, non si realizzano mai.

Il principale problema dell’accusa di queerbaiting ai personaggi famosi è il fatto che spesso si dà per scontata la loro eterosessualità, alimentando un pregiudizio frutto di una società eteronormata. Anche Billie Eilish, per esempio, non ha mai reso noto il suo orientamento sessuale ma è stata accusata di fare queerbaiting dopo l’uscita del videoclip Lost Cause, in cui balla, scherza e gioca in mezzo a un gruppo di ragazze; viceversa Madonna è stata più volte criticata di queerbaiting, nonostante la sua bisessualità sia nota; e Cardi B è stata costretta a ribadire di essere bisessuale, solo perché non ci sarebbero foto a testimoniarlo. “Mi sono fatta femmine prima che tu nascessi… Scusa, non ho le foto del telefono razr per dimostrartelo”, ha risposto la cantante, piccata, a un tweet di accusa. Come scrive Mey Rude su Out queste insinuazioni denotano una bifobia di fondo, perché “Frequentare persone che appartengono a un altro genere non cancella la propria bisessualità. Anche se una donna bisessuale non esce mai con un’altra donna nella sua vita, è sempre una donna bisessuale”. Il caso più recente e discusso di presunto queerbaiting, però, è quello di Kit Connor, protagonista di Heartstopper: l’attore, appena diciottenne, è diventato molto popolare grazie al teen drama di Netflix in cui interpreta un personaggio bisessuale; ma nonostante la crescente curiosità sulla sua sessualità, si è rifiutato più volte di parlarne pubblicamente. E all’ennesima critica e insinuazione di queerbaiting – solo perché paparazzato mano nella mano con l’attrice Maia Reficco –, prima ha cancellato il suo profilo Twitter e poi, dopo un mese di silenzio, si è dichiarato con un tweet: “Torno per un minuto. Sono bisessuale. Complimenti, avete costretto un diciottenne a fare coming out. Mi sa che ad alcuni di voi è sfuggito il punto della serie. Ciao”.

Parlando proprio della volontà di non “etichettarsi”, specialmente in pubblico, Connor aveva anche sottolineato che è “un po’ strano fare ipotesi sulla sessualità di una persona solo sentendo la sua voce o vedendo il suo aspetto”, come se esistesse un unico modo di essere queer. Lo scrittore Otamere Guobadia su I-D scrive che anche per questo, spesso, le critiche di queerbaiting a personaggi famosi rischiano di essere deleterie perché “essenzializzano ulteriormente l’identità queer, distillandola in un elenco di compiti estetici e performativi”. Negli ultimi tempi, tanto sui social quanto sui media, si è iniziato a discutere se sia giusto o meno continuare a parlare di queerbaiting in questo senso: “Vale la pena ripeterlo: il queerbaiting come termine non è stato pensato per essere applicato a persone reali”, afferma James Factora sulla rivista Them, parlando proprio del caso di Connor. “Volete definire Supernatural queerbaiting? Va bene, ne è il miglior esempio. Ma le persone della vita vera non sono personaggi di finzione e non possono essere definite in modo preciso da narrazioni prestabilite. Quindi facciamo che questo incidente sia un altro chiodo alla bara per non usare mai più questo termine in riferimento alle celebrità”.

Ancora bromance

Tornando a Heartstopper, la serie è stata molto apprezzata dalla community Lgbtqia+ per aver raccontato una love story tra un adolescente gay e un adolescente bisessuale, piuttosto rara nella serialità. Negli ultimi anni, le serie che hanno dato più spazio alla rappresentazione queer sono proprio i teen drama: si pensi a Euphoria, SKAM, Sex Education, Atypical, Never Have I Ever, Love, Victor, Genera+ion, fino ad arrivare a Heartbreak High, serie tv australiana che vede al centro adolescenti non-binary, asessuali e lesbiche. Un altro buon esempio di rappresentazione queer è la period comedy di Hbo Max Our Flag Means Death, che mette in scena una storia di amicizia tra due uomini – due pirati del XVIII secolo – che si trasforma in una love story, da implicita a esplicita. In un’intervista il creatore David Jenkins ha parlato proprio di come si è soliti usare i codici delle rom-com per giocare con il pubblico: “siamo così abituati che si tratti solo di bromance, bromance, bromance, quando è davvero semplice farli stare insieme [i personaggi]. L’altro giorno stavo guardando Butch Cassidy in aereo, e basta aggiungere un’inquadratura a quel film, e diventa una storia d’amore. Una storia d’amore non platonica”.

Anche quello messo in scena in Our Flag Means Death è racconto visto ancora di rado nella serialità tv e non solo. Se è vero che la rappresentazione queer è aumentata, spesso è ancora stereotipata, marginale o introdotta solo come tokenism, per fare numero insomma. Ne è esempio la serie Loki di Disney+, nella quale il protagonista si limita a confermare la sua bisessualità con una veloce battuta nel terzo episodio. In molti hanno apprezzato questa scelta, a lungo attesa, ma c’è chi l’ha ritenuta un mediocre contentino: “Loki fa un solo riferimento all’essere bisessuale, una volta, e tutti dicono: ‘Oh mio Dio, è una serie pansessuale’”, ha detto con sarcasmo lo sceneggiatore Russell T. Davies (creatore di Queer as Folk e It’s a Sin), definendolo “un gesto ridicolo, vile e debole nei confronti delle politiche vitali e delle storie che dovrebbero essere raccontate”. 

Proprio l’universo Marvel ha una lunga storia di queerbaiting, tra scene queer annunciate e poi tagliate, e relazioni che non vanno oltre il bromance: l’ultimo esempio è The Falcon and the Winter Soldier, nella quale è suggerita una tensione sessuale tra i protagonisti, prontamente smentita dai creatori: “Non c’è una sessualità definita in questo. In realtà, credo sia solo affetto”, ha dichiarato la regista Kari Skogland a Variety. D’altro canto, non sorprende che da parte della Marvel/Disney ci sia ancora una forte resistenza nel dare maggiore spazio a una buona rappresentazione queer, trattandosi di studios che per decenni hanno avuto un target di rifermento molto diverso, puntando sull’immagine dell’eroe maschile eterosessuale e sulla famiglia tradizionale. Come spiega Sean Griffin, docente di cinema e televisione alla Southern Methodist University in Texas, la “Disney ha riconosciuto l’esistenza di un ‘mercato gay’ per il suo prodotto, ma non un’agenda gay”, che al contrario rischierebbe di alienare il pubblico più conservatore, danneggiando la sua “agenda capitalistica”. 

Letture molteplici

Eppure, secondo la giornalista Jessica Mason di The Mary Sue, il queerbaiting oggi non sarebbe più un problema reale perché è “diventato un’accusa generica contro i creatori quando le storie e le ship non vanno nel modo in cui i fan vogliono”. In realtà, le accuse infondate, frutto di interpretazioni personali più o meno fantasiose, ci sono sempre state: “Questo gap – tra ciò che i creatori mettono sullo schermo e i modi in cui i fan lo interpretano, lo ampliano e ne discutono – è alla base del fandom, è lo spazio di cui il fandom ha bisogno per esistere”, scrive Willa Paskin su Slate. “I fan a volte creano dinamiche, fatti, conversazioni, interpretazioni e, sì, legami sessuali che nessuna serie avrebbe mai potuto fare. E la maggior parte delle volte, questo non va solo bene, è la parte più divertente”. Questo succede con la serialità televisiva anche a causa della sua natura episodica e, per l’appunto, seriale, perché dà modo ai fan di sviluppare molteplici teorie e ipotesi, che potranno avere una conferma o smentita definitiva solo alla messa in onda finale dell’intera serie. E questo vale anche per le critiche di queerbaiting

Accusare una persona reale di queerbaiting, però, è ben diverso che accusare gli autori di una serie tv, perché implica fare deduzioni e teorie strettamente legate alla loro sfera privata e sessuale. Harry Styles, infatti, è sia attaccato sia difeso nella comunità Lgbtqia+, tra chi crede sia importante che chiarisca il suo orientamento sessuale – finora mai condiviso pubblicamente – e chi sostiene che sia scorretto costringere qualcuno, anche famoso, a rivelarlo.

Sin dalla prima stagione di Stranger Things l’ipotesi che Will fosse gay e segretamente innamorato del migliore amico Mike ha circolato molto sui social, per via di una serie di battute più o meno implicite che suggerivano la possibilità. Gli autori e il cast hanno sempre evitato di dare risposte chiare e l’accusa di queerbaiting era dietro l’angolo, ma alla quarta stagione è finalmente arrivata una conferma più esplicita dell’omosessualità di Will, seguita dalle dichiarazioni dell’attore Noah Schnapp che interpreta il personaggio: “Ora che è diventato più grande, l’hanno resa una cosa reale, ovvia. Ora è chiaro al 100% che è gay e che ama Mike. Ma prima era un arco narrativo lento”. Eppure, anche dopo la messa in onda, non sono mancate le critiche di queerbating ai fratelli Duffer, nonostante i creatori non abbiano mai inserito battute che alludessero alla ship Byler, e la quinta e ultima stagione non sia ancora uscita. 

Persino Succession, pluripremiata agli Emmy, ha ricevuto critiche di queerbaiting, oggetto di dibattito sui social. Nel corso delle stagioni, la serie ha più volte giocato su un’attrazione latente tra i protagonisti Tom e Greg, costruendo un rapporto di amore-odio molto ambiguo e di difficile lettura. La frase “Ti castrerei e ti sposerei in un secondo” è uno degli esempi, nonché una delle battute più citate dell’ultima stagione. Lo scorso anno in un’intervista per GQ Nicholas Braun ha dichiarato: “Il rapporto tra Tom e Greg continuerà a essere difficile. E c’è un profondo amore reciproco sotto sotto. Non posso dire altro”; mentre EW ha definito Braun e Matthew Macfadyen la “Succession’s greatest power couple”, dedicando loro un servizio fotografico che li vede posare insieme e ammiccare un po’. Gli elementi per parlare di queerbaiting ci sarebbero tutti, insomma, ma considerato il successo della serie, Succession potrebbe essere un caso di queerbaiting apprezzato e sostenuto dal fandom. “Succession sta cercando di attirare nuovi spettatori con il queerbaiting e personalmente lo rispetto”, scrive una ragazza su Twitter; “Succession può fare queerbait come fosse un regalo speciale, perché qualsiasi cosa fanno Tom e Greg per me è troppo divertente, cazzo”, scrive un’altra utente. Il fatto è che l’ossessione omoerotica tra Tom e Greg è strettamente legata alla natura del racconto che Succession propone: “La chiave di lettura della serie alla sessualità è il suo svuotamento degli ideali etero-normativi che il capitalismo implicitamente promuove”, scrive Katherine Connell su Little White Lies. “Succession sembra giocare un ambizioso gioco narrativo lungo. Tuttavia, l’attualizzazione di una dinamica queer è improbabile, ma potrebbe essere il punto: dopotutto, Succession è in definitiva una storia di repressione tra i super ricchi e i potenti”.

Tra le serie più recenti accusate di queerbaiting non manca neanche l’altra serie di punta di Hbo House of Dragon, che secondo alcuni spettatori sembrerebbe suggerire un interesse amoroso tra Rhaenyra e Alicent. Come spesso accade, la reazione del cast è stata ancora molto ambigua. L’attrice Emily Carey ha addirittura dichiarato che “Non avevamo intenzione di giocarci. Non le stavamo ‘rendendo gay’ e non stavano facendo queerbaiting o cose del genere. […] Però se volete leggerci dentro qualcosa e vederla così, fatelo. Se volete vederle come qualcosa di più che amiche, fatelo. Se non volete, non fatelo”. L’attrice sostiene dunque la libera scelta e interpretazione. Ormai il queerbaiting è questo: una pratica che si presta a molteplici letture, significati e contesti. Così tanti da sembrare davvero ovunque.


Manuela Stacca

Laureata presso l'Università di Sassari, si occupa di critica cinematografica e televisiva per alcune testate online.

Vedi tutti gli articoli di Manuela Stacca

Leggi anche

immagine articolo Apple Music vs Spotify: Oltre Lo Streaming Musicale
immagine articolo Faccio schifo e mi dissocio
immagine articolo La signora di The Lady

Restiamo in contatto!

Iscriviti alla newsletter di Link per restare aggiornato sulle nostre pubblicazioni e per ricevere contenuti esclusivi.