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Digital culture

Iconico! L’influenza della stan culture

Che siano i fan di Alberto Angela o di Franca Leosini, la stan culture, una sottocultura che viveva ai margini di internet, è arrivata negli ultimi tempi a influenzare tutto: politica, televisione e letteratura.

Ormai non è più raro imbattersi, soprattutto su Twitter, in stan account. Si tratta di profili interamente dedicati a una celebrità, al personaggio di una serie tv o di un film. Quando gli stan account si uniscono, formano una standom. A volte, si danno un nome dalla desinenza in -ers: Directioners e Beliebers sono i più noti a livello internazionale, mentre in Italia abbiamo anche i Leosiners (gli stan di Franca Leosini) e gli Angelers (gli stan di Alberto Angela). Sono conosciuti anche nella variante italiana “Le bimbe di”. 

Gli stan non venerano il personaggio famoso di per sé, ma l’idea che hanno di quel personaggio famoso. La standom stessa è un mondo immaginifico che ricalca quello creato dall’idolo di riferimento: è la copia, spesso distorta ed esagerata, di una fiction scritta da qualcun altro.

Una standom è simile a un fandom, solo che al posto dei fan ci sono gli stan. La differenza è che questi ultimi sono un fenomeno di internet e che il loro livello di ossessione verso la celebrità è superiore a quello dei fan. È un errore considerare tutto questo lontano dall’attualità, limitato a certe sottoculture giovanili, qualcosa di incomprensibile o “troppo nerd”. Al contrario, la stan culture si è diffusa in modo penetrante ovunque, fino a influenzare la politica. 

Stan, stan account, standom

Si è cominciato a parlare di stan e standom con l’avvento dei Directioners, la community legata agli One Direction che ha dato una struttura vera e propria a questo fenomeno. Poi sono venute le community dedicate a Lady Gaga, Katy Perry, Ariana Grande e quelle per esempio a un libro best seller per giovani da cui è stato tratto anche un film tipo Harry Potter, Twilight, Hunger Games. Bisogna immaginare le standom come dei feudi, di varia grandezza e diverse peculiarità, con un proprio arsenale e con una loro potenza di fuoco. Il feudo è costruito intorno a un idolo, ossia la versione idealizzata di una celebrità. Gli stan quindi non venerano il personaggio famoso di per sé, ma l’idea che hanno di quel personaggio famoso. La standom stessa è un mondo immaginifico che ricalca quello creato dall’idolo di riferimento: è la copia, spesso distorta ed esagerata, di una fiction scritta da qualcun altro. 

Nel mondo degli stan non servono le fan fiction in quanto gli stan stessi vivono, si muovono e interagiscono nella fiction che ricalca un’altra fiction. E si arrabbiano quando improvvisamente il loro idolo di riferimento, che a tutti gli effetti è una persona reale, dice qualcosa che non rientra nell’idea che lo stan si era fatto di lui. C’è uno stretto nesso tra cancel culture e stan culture. Gli stan soffrono tremendamente l’impossibilità di vivere fisicamente quei mondi che amano, inventati da altri, patiscono di non poter frequentare per davvero la star del cuore. Internet e i social media però hanno dato loro la possibilità di replicarli in uno spazio virtuale e di abitarli con un’identità virtuale. L’identità dello stan è totalmente plasmata sull’idolo di riferimento, la persona reale dietro lo stan account scompare. 

United we stan

Se all’inizio degli anni Dieci il fenomeno era ancora limitato a un contesto adolescenziale, in questi ultimi anni si è esteso ovunque, inglobando altre categorie sociali e altri temi. Nel 2017, l’Oxford English Dictionary ha inserito “stan” nel suo database, mentre nel 2019 il New York Times con gli articoli “How Fan Culture is Swallowing Democracy” e “United We Stan” ha certificato come il fenomeno si è esteso fino alla politica. A marzo 2020 ce ne siamo accorti anche in Italia, con l’improvviso successo de “Le bimbe di Giuseppe Conte”, seguito da emuli come “Le bimbe di Vincenzo De Luca”, “Le bimbe di Beppe Sala”. Ma questo modo di rapportarsi a un personaggio famoso, questa sorta di idolatria laica e virtuale, è ormai uno standard che coinvolge tutto lo star system. Si idolatrano influencer (le prime “bimbe di” sono state quelle di Giulia de Lellis), presentatori di un programma cult (Franca Leosini), divulgatori (Alberto Angela, Alessandro Barbero), famiglie reali (soprattutto inglesi), e in quest’ultimo periodo anche virologi. Si sono create, inoltre, nuove standom forgiate non più sulla base di bestseller per adolescenti, ma su opere di narrativa più mature, quelle con un certo successo editoriale e di critica, che sono diventate anche loro serie tv o film di successo. È il caso di Call me by your name, Normal People, L’Amica geniale. Tutte queste standom condividono la stessa terminologia (iconico, pazzesco, “questo account è ora stan di”, “sei ufficialmente cancelled”) e un certo tipo d’estetica. Estetica che ricorda (e non è sicuramente un caso) quella del diario di un liceale: scritte in word art (la versione virtuale della scritta con Uni Posca glitterato), cuoricini, fiorellini, tanti meme, tante gif, usate e riusate per descrivere stati d’animo e commentare avvenimenti. E poi l’ossessione per gli oggettini, le piccole cose che simbolicamente fanno da tramite tra realtà e fiction. Per esempio, la collana di Connell, il protagonista maschile di Normal People è diventata un oggetto di culto, con un account Instagram dedicato (la bio è “We stan Connell’s chain”). Gli stan amano l’estetica di Normal People, Call me by your name, o di Watermelon Sugar, l’ultimo video di Harry Styles: ambienti intimi che ricordano le board di Pinterest, luoghi che hanno la pretesa di esistere nella realtà ma poi sono veri solo su Instagram, personaggi che vivono storie d’amore confuse, semi-proibite. Le celebrità e i personaggi più amati sono quelli che mostrano una certa cultura, esibiscono consumi di nicchia, risultano carini e adorabili anche nelle avversità. Se poi dicono qualcosa di sbagliato si può sempre cancellarli. Gli stan amano tutto ciò che alimenta l’innamoramento ossessivo, odiano tutto ciò che può distruggerlo. Vivono intensamente quella che a tutti gli effetti è un’illusione.

Eminen, the Stan Godfather

C’è una canzone e un video musicale che hanno anticipato questo fenomeno di internet, dandogli anche il nome: è “Stan” di Eminem. Singolo dal successo planetario che precipita come una bomba sulla cultura pop, in mezzo alle hit di Britney Spears e dei Backstreet Boys, affrontando temi quali il disagio psichico derivante dalla società dello spettacolo, il suicidio, il femminicidio. Tratto dal terzo album del rapper, The Marshall Mathers (del 2000), il video di “Stan” è ossessivamente trasmesso da Mtv, che lo manda in onda nella versione censurata eliminando le scene di violenza esplicita. A oggi, tutta la sua potenza rimane intatta, compresa la carica d’angoscia che trasmette. Racconta la storia di Stan, abbreviazione di Stanley ma anche crasi tra stalker e fan, un ragazzo che vive in un contesto di povertà e degrado, che trova una via di fuga dalla realtà nell’adorazione di Slim Shady, l’alter ego cattivo di Eminem. Se Stan anticipa la stan culture, Slim Shady anticipa i troll di internet: il suo scopo è far impazzire l’opinione pubblica con una serie di esternazioni unpolitically correct, razziste, misogine, violente e ignoranti, screditando e gettando fango su tutto e tutti per il solo gusto di farlo. Ma Slim Shady è ricco e di successo: è uno sfigato che ce l’ha fatta e Stan non solo sogna di essere come lui, ma modifica il suo aspetto cercando di somigliargli, decolorandosi i capelli e vestendosi come lui. Stan diventa un clone di Shady: dall’esibizione di Eminem ai VMA del 2000, si scoprirà che di questi cloni ce n’è un esercito. 

Estetica che ricorda (e non è sicuramente un caso) quella del diario di un liceale: scritte in word art (la versione virtuale della scritta con Uni Posca glitterato), cuoricini, fiorellini, tanti meme, tante gif, usate e riusate per descrivere stati d’animo e commentare avvenimenti. E poi l’ossessione per gli oggettini, le piccole cose che simbolicamente fanno da tramite tra realtà e fiction.

Il luogo chiave del video è la cantina in cui Stan passa la maggior parte del suo tempo: è un luogo claustrofobico, chiuso, ma allo stesso tempo ricorda la cameretta di un’adolescente, dove qualcosa nel frattempo deve essere andato male. I muri della cantina sono interamente coperti di poster, ritagli di giornale, copertine con la faccia di Slim Shady. Su alcuni poster si vede la url di siti internet che si occupano del cantante: Eminem deve aver avuto una visione profetica molto dettagliata del futuro. Al centro della cantina, c’è la scrivania dove Stan scrive compulsivamente lettere a Slim Shady. La scrivania è sommersa da fogli, carta straccia, riviste accumulate; accanto c’è una radio e una tv sempre accesa che manda in loop le canzoni del rapper. Stan chino sulla scrivania a scrivere lettere, è schiacciato da un frastuono informativo che usa per stordirsi ma che non riesce a gestire. Non riceverà mai una risposta dal suo idolo, che finirà per odiare. Eminen gli risponderà quando sarà troppo tardi, scoprendo dalla tv che un fan si è suicidato buttandosi con l’auto da un ponte, uccidendo anche la sua compagna incinta (impersonata da Dido), legata e imbavagliata nel bagagliaio. A vent’anni dall’uscita di “Stan”, l’intensità e la profondità della canzone non solo è ancora intatta ma sprofonda nei meandri più oscuri della cultura pop, nel rapporto tra realtà e fiction, per poi uscirne generando figli che ne portano il nome.

Essere stan oggi

Fino a qualche anno fa, stan era un termine dalla connotazione fortemente negativa, visto che indicava qualcuno incapace di distinguere la fiction dalla realtà. Oggi il termine è normalizzato: “l’essere stan”, “fare lo stan” è vissuto e percepito anche in maniera gioiosa, giocosa e autoironica. Si comportano, usano termini e apprezzano l’estetica da stan anche persone che non sanno nulla di questa sottocultura, diventata ormai mainstream. Le standom stesse sono diventate estremamente influenti, come quelle che hanno aiutato attraverso raccolte fondi e ingenti donazioni il movimento Black Lives Matter. La stan culture ha attecchito profondamente nella nostra società, modificando non solo il rapporto con le celebrità, ma il rapporto tra l’individuo e la società stessa, che si è estremizzato, polarizzato, in visioni in bianco e nero che non ammettono nessun grigio. Basta che l’idolo di riferimento dica una parola sbagliata, non prevista dal culto, che l’ossessione amorosa diventi indignazione e odio. All’estremo di questo fenomeno c’è infatti la cancel culture: come aveva intuito Eminem già nel 2000, la celebrità ti eleva a dio, ma ha dei risvolti oscuri, la si può pagare a caro prezzo. L’idolo, com’è stato forgiato, può essere abbattuto, come una delle statue prese di mira dalle rivolte sociali di questi ultimi tempi. Non è detto che gli stan di oggi vivano nello stesso disagio sociale come lo Stan di Eminem. Tutti hanno uno smartphone e una connessione a Internet, account sui social media, abbonamenti a piattaforme di streaming, la tv in salotto, ascoltano musica e si dedicano al binge watching di serie tv. Il disagio dello stan sta nel dislivello tra la sua realtà così com’è e le illusioni continuamente offerte dall’industria culturale, che diventa così contemporaneamente causa e cura del disagio. La possibilità che gli stan siano risucchiati e distrutti dallo stesso mondo che si sono creati è forte. Nello standom niente è reale, anche perché la realtà neanche esiste più, essendo ormai copia di mondi immaginari. La realtà, pallida ombra della fiction, è una pratica da sbrigare in fretta per tornare a dedicarsi ai consumi culturali. Nella scelta tra pillola rossa e pillola blu, lo stan ha scelto la pillola blu.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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