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Schermo delle mie brame/01

Guerra, fotografia e riconoscimento facciale

Il conflitto ucraino è anche questione di comunicazione, di dispositivi tecnici, di armi che diventano media e media che diventano armi. Come con l’individuazione e identificazione dei caduti nemici.

Le guerre hanno un movimento contraddittorio, sono distruttive e reazionarie perché portano il mondo indietro, ma lo fanno introducendo massicce quantità di innovazione. Il complesso militare-industriale, una filiera mai a riposo, è un laboratorio di invenzioni continue. La tecnologia dei computer, quella dei telefoni portatili, quella dei droni, ma anche gli strumenti di analisi e controllo dei comportamenti sono l’effetto del continuo bisogno di sviluppo del complesso militare-industriale. Lo stiamo vedendo in questi ultimi mesi. I giornali, le trasmissioni tv, i social si sono riempiti di profili di nuove armi, nuovi tank, nuovi droni, nuovi missili tra la gioia degli esperti e dei generali. E uno degli obiettivi del complesso militare industriale è il volersi dimostrare naturale, normale, interessante.

All’interno di questo quadro sconcertante, il ruolo che in questa guerra stanno giocando i media digitali è una prova di quanto poco abbiamo ancora capito della loro pervasività: non solo tecnica, funzionale, ma profondamente simbolica. Sono entrati nel nostro orizzonte psichico, sono il luogo in cui le cose che accadono ricevono una “resa” e un’elaborazione che produce nuove sensibilità e nuove sensorialità. Abbiamo scoperto che uno dei vantaggi degli ucraini è stata la loro appartenenza a un mondo in cui i social avevano un grosso peso e costituivano una competenza diffusa. Riuscire a comunicare su canali non tracciabili e invece individuare la presenza dei soldati russi attraverso i telefoni portatili privati, fare interagire droni e telefoni, inventare una guerra di guerriglia e di imboscate possibile per la leggerezza dei nuovi apparati: tutto questo è stata testimonianza di una nuova generazione di competenze. Di fronte alla centralizzazione dell’esercito russo ha giocato finora la leggerezza della resistenza ucraina; un corollario della sua occidentalizzazione. Se la Russia ha inventato i troll e l’hackeraggio, l’Ucraina pare andata già oltre nelle contromisure. E l’effetto della propaganda ucraina (Paese democratico aggredito cresciuto in un ambito di media globalizzati) è stata ed è di gran lunga maggiore della propaganda russa (dove il soffocamento autoritario di ogni dibattito corrisponde all’impotenza nell’orizzonte internazionale). Lo ammettono gli stessi propagandisti pro-Putin. Lo zar non ha capito che la sua guerra all’occidente è anche una guerra ai canali globali che l’occidente ha inventato. Dopo la caduta del socialismo non c’è una rete alternativa a quella dei canali occidentali. Non si può essere altrettanto efficaci pur minacciando e lanciando proclami. Soprattutto è difficile fare passare dalla propria parte chi non c’è già. È la differenza tra la propaganda e un mercato competitivo dell’opinione.

Nella pratica di notificare ai genitori la sorte del proprio figlio c’è anche una antichissima legge del cordoglio tra nemici. C’è nella terribile applicazione di questo riconoscimento facciale il tentativo di riconoscere i morti nemici come degni di un qualche tipo di lutto e cordoglio, se non di sepoltura. E c’è anche un fine politico, quello di scoraggiare il nemico, di rovesciare l’illusione della vittoria.

La verità dei morti

C’è qualcosa che è il simbolo di tutto questo e che effettivamente ha fatto fare un salto alla dimensione tecno-simbolica del conflitto. Mi riferisco all’idea ucraina, messa poi in pratica in maniera abbastanza massiccia, di fotografare i volti dei soldati russi morti con un sistema di riconoscimento facciale, al fine di mandare alle famiglie degli stessi soldati l’evidenza della loro morte; per scavalcare la censura russa e l’intenzione costante dell’esercito russo di evitare una reazione da parte delle famiglie. Se cercate tra le app del vostro telefono, alla dizione “riconoscimento facciale”, compaiono varie applicazioni “Photo Sherlock”, “Actor Detector”, “Face find”, nella stessa ottica di “Shazam” per i pezzi musicali e poi, se andate avanti, si cominciano a trovare sistemi più professionali, “BioID Facial Recognition”, “IDentify”, “Face Boarding”. Ci sono vari metodi che utilizzano algoritmi diversi. E si appoggiano tutti sull’accesso a delle banche dati biometriche basate sulle immagini esistenti. La loro precisione è in funzione della ampiezza o meno del campo di indagine. British Airways, per esempio, lo applica al riconoscimento facciale dei suoi passeggeri per tracciarne la potenziale affidabilità o pericolosità. In Giappone sono stati elaborati sistemi di riconoscimento facciale delle emozioni da applicare alla tecnologia di robot da usare negli ospedali. Il caso dell’Ucraina è però nuovo, dimostra che l’accesso alle banche di immagini dei cittadini russi non presenta complicazioni a utenti che conoscano la lingua, le abitudini, i siti (in realtà basta entrare in Facebook). Racconta però una dimensione simbolica straziante. Visto che i soldati di leva sono al di sotto dei trent’anni è probabile che usino molto i social, e quindi sono rintracciabilissimi. E così i loro genitori, spesso linkabili. È terribile pensare come questo servizio – un servizio funebre – sia diventata una delle chiavi del rivelare le pecche e le mostruosità del regime russo. Vedersi recapitata la foto del volto del proprio figlio ucciso squarcia il velo di una guerra mai dichiarata come tale e infrange l’illusione dell’impermeabilità delle popolazioni di nazioni differenti. È un po’ la vendetta contro il trollismo praticato dai servizi russi negli ultimi decenni.

Lo zar non ha capito che la sua guerra all’occidente è anche una guerra ai canali globali che l’occidente ha inventato. Dopo la caduta del socialismo non c’è una rete alternativa a quella dei canali occidentali. Non si può essere altrettanto efficaci pur minacciando e lanciando proclami. Soprattutto è difficile fare passare dalla propria parte chi non c’è già.

C’è un aspetto simbolico ulteriore. Nella pratica di notificare ai genitori la sorte del proprio figlio c’è anche una antichissima legge del cordoglio tra nemici. Oltre lo strazio del cadavere di Ettore da parte di Achille, vige il diritto di Priamo, del padre dell’eroe troiano a recuperarne il corpo. C’è nella terribile applicazione di questo riconoscimento facciale il tentativo di riconoscere i morti nemici come degni di un qualche tipo di lutto e cordoglio, se non di sepoltura. Ovviamente c’è anche un fine politico, quello di scoraggiare il nemico, di rovesciare l’illusione della vittoria. In questa fase ulteriore della guerra, ora che Putin ha “liberato” per il conflitto possibili coscritti over 30 è un po’ meno difficile per il regime nascondere i morti, e sta passando alla loro celebrazione eroica o alla promessa di una ingente compensazione. Un meccanismo non così semplice, visto che una parte degli scomparsi rimangono tali (spesso ne vengono bruciati i corpi o messi in vagoni frigorifero) e ai parenti viene detto che non se ne hanno notizie. 

Questo uso dello schermo non ha avuto precedenti. Rispetto alle guerre passate qui c’è una mescolanza del privato alla dimensione pubblica che non si era mai vista: come se non fosse più possibile condurre battaglie centralizzate sui media e come se ogni retorica e monumentalismo venissero demoliti dalla diffusione di una logica dove l’individuo è diventato una centrale autonoma di immagini. È l’emersione, in un regime di menzogne, come quello che si instaura in una guerra, di un momento di agghiacciante verità: i volti straziati dei morti.


Franco La Cecla

Franco La Cecla è antropologo: Insegna in Naba a Milano Visual Culture e in Iulm Milano Arte e Antropologia. Ha pubblicato recentemente con Anna Castelli Scambiarsi le Arti, Arte & Antropologia e Tradire i sentimenti, rossori, lacrime, imbarazzi (Einaudi).  Altri lavori recenti, Essere Amici (Einaudi) e il documentario E' assurdo per un bianco essere in Africa, e il libro Africa loro (Milieu).

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