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Dibattito! Estetiche digitali: continuità o rivoluzione?

Ma davvero internet, i social e le piattaforme hanno cambiato tutto, nel linguaggio e nella creatività audiovisiva? Per qualcuno è stata rivoluzione, per altri solo un’illusione. E qui raccogliamo una serie di testimonianze. Via al dibattito!

Il flusso è il messaggio – Gabriele Balbi

La questione più interessante degli ultimi anni è la trasformazione radicale dei social media in strumenti di ascolto e visione di contenuti, tanto che si è parlato di social media come di nuova televisione. C’è però un altro elemento televisivo nei social media finora poco notato: il recupero del concetto di flusso così come lo aveva pensato Raymond Williams negli anni Settanta del Novecento. Secondo lo studioso, nella tv commerciale americana gli spettatori sperimentavano un’esperienza di visione ininterrotta tra i vari programmi, dove il senso complessivo non risiedeva nel guardare un singolo spettacolo, ma appunto nel flusso indistinguibile di contenuti. Le modalità di visione e ascolto dei social sembrano aver recuperato, o meglio adattato, alcune caratteristiche del flusso. Ne cito tre. La sequenza continua di (brevi) video che si somigliano, tagliati sulle preferenze dello spettatore, ma anche tremendamente uguali a se stessi. Lo scrolling infinito tra contenuti che sembrano non avere limite e fine e in cui ci si può immergere (sempre flusso è!) a piacimento. La capacità e la remuneratività per le aziende di tenere agganciati (hooked) gli utenti. La logica di flusso à la Williams caratterizza l’attuale ecosistema digitale, specie sui social. Un ritorno al passato che però potenzia ancora di più un flusso che è personalizzato, intrusivo, remunerativo, sempre a portata di pollice, fruibile comodamente tra una pausa e l’altra.

TikTok come naturale prosecuzione di Paperissima Sprint – Luca Barra

Sarà l’algoritmo, sarà il caso, sarà il caos. Ma nelle mezz’ore sprecate passate a spiare e scrollare su TikTok (da lurker, si diceva in altri tempi internettiani) capita sempre più spesso di imbattermi in presse meccaniche che schiacciano oggetti senza posa, in bottiglie colorate di vetro che rotolano dalle scale per frantumarsi in modi sempre uguali e sempre diversi sui gradini di marmo, in assurdi tiri al bersaglio. Poi ci sono le reazioni ridicolmente sovradimensionate di sconosciuti (reaction, in questi tempi internettiani), i frammenti notevoli di televisione notevole, i pezzetti buffi di vite quotidiane meno buffe. E ancora gli animali: bestie strane, cani, gattini. Ecco allora, improvviso, un barlume di consapevolezza. L’ultimo in ordine di tempo dei nuovi spazi digitali, al netto dei loop, al netto della minima direzionalità in avanti volontaria di chi guarda, propone video fatti proprio come quelli che da decenni milioni di persone guardano ogni sera in televisione. TikTok è la naturale prosecuzione di Paperissima sprint, degli animali con le voci buffe doppiate da Gerry Scotti, delle cadute più o meno volontarie, dei lapsus, degli inattesi filmati. E da lì si può tornare genealogicamente indietro ai funniest home video d’America, alle candid camera, a Specchio segreto, persino alle comiche del cinema muto. Cambiano i contenitori, cambiano i dettagli e gli impacchettamenti, ma di base le forme, i linguaggi, restano più o meno gli stessi: quello che ci fa ridere, emoziona, stupisce, stranisce. L’esperienza più moderna è allora guardare insieme, sovrapposti, TikTok e Paperissima. Splash.

Reazioni, estensioni, lunghe durate – Giovanni Boccia Artieri

Ci sono almeno tre forme dell’audiovisivo digitale che, per qualità e quantità, segnano una discontinuità rispetto all’industria culturale dell’audiovisivo. 1. I contenuti costruiti come reazioni ad altri contenuti: dal mettere in scena l’immediata risposta emotiva al fare duet e stitch in cui si supporta/ridicolizza/critica qualcuno. Contenuti audiovisivi classici usati come “risposta a” certamente esistono, ma non sono un canone, come invece in alcuni ambienti digitali. Inoltre, qui viene elevata a valore di “contenuto” anche la risposta affettiva e non solo la risposta discorsiva. 2. I molti contenuti online che nascono con la premessa di essere “estesi” da un pubblico. Anche nell’industria tradizionale avevamo le pratiche di fan fiction, ma si basavano sull’idea che il fan compisse una sua piccola sovversione giocando con il canone, mentre nel digitale il “bordo” del contenuto nasce spesso già in ottica di aggancio e rilancio da parte di un pubblico generalizzato. 3. La durata molto estesa di alcune live in cui per gli standard dell’audiovisivo non accade nulla. Anche la televisione ha da sempre costituito un basso continuo e di compagnia nella vita domestica, ma attraverso formati di contenuto, per quanto leggeri. Qui il contenuto è il contatto amicale immaginato che può durare anche ore senza script, come può durare ore e ore un’uscita con un amico/a, stando assieme per lo stare assieme.

L’audiovisivo digitale è nato per soddisfare un bisogno diverso e con linguaggi e formati che incrociano la tv ma rimanendo sempre alternativi. Cambia la struttura narrativa, cambia la fruizione, cambia il sistema produttivo.

Staccare dalla complessità e rilassarsi un po’ – Stefania Carini

Capita spesso dopo la visione di qualche puntata in streaming: la sera sono stanca per seguire troppi fili narrativi. Capita invece sempre a metà di una puntata di Succession: fa troppo male vederla tutta di seguito. In entrambi i casi, infatti, mi serve una pausa, e cioè video comici o proprio scemi su Instagram o TikTok. Lo scrolling è il nuovo zapping, ma io mi diverto pur riconoscendo la scarsa fattura di quel che vedo. In un certo senso, non serve una produzione Hbo per mostrarmi una famiglia più o meno disfunzionale, bastano il pov del tiktoker bresciano Mattia Stanga e l’asciugamano in testa dell’altro tiktoker Daniele Cabras, sardo. Tutti e due – con differenti stili e risultati – imitano chi sta loro vicino, la famiglia, gli amici, spesso la mamma. Anzi, la Madre Italiana. Che pulisce e cucina, impone regole senza successo, urla e si agita. “La comicità nasce dalla cameretta, e lì si ferma: non c’è evoluzione!”, si dirà. Vero. Mi ricordo Andrea Roncato nei panni della mamma di Gigi Sammarchi: molta comicità televisiva non ha mai avuto alcuna complessità. E poi, è mai possibile che la mamma italiana sia ancora percepita così dai figli maschi? E se questi video fossero un piccolo specchio dell’immutabile frustrazione femminile? Quando arrivo a questo ragionamento, allora sì, la testa si è riposata: e rimetto su Succession.

La differenza sta nella narrazione – Sergio Del Prete

I punti di contatto tra la tv e TikTok sono molti, ma in ultima analisi non così determinanti, tolto il fatto che si parla di immagini in movimento accompagnate da suoni e parole. L’audiovisivo digitale che va da YouTube a Twitch, passando per Instagram e TikTok, è nato per soddisfare un bisogno diverso e con linguaggi e formati che incrociano la tv ma rimanendo sempre alternativi. Cambiano i formati, che in certi casi stanno accelerando sempre di più nella direzione del breve e brevissimo. Cambia la struttura narrativa, che spesso non vive in se stessa ma più in un eterno rimando a storie già viste (le tendenze). Cambia la fruizione, così individuale e influenzata dall’algoritmo. Cambia il sistema produttivo che è quasi sempre artigianale, se non amatoriale. La tv da sempre si è dimostrata un medium multiforme e famelico, capace di integrare le altre forme artistiche ed espressive, facendole sue in una narrazione forte, di lunga durata e capace di parlare a larghe fette della popolazione. Mille idee e personaggi sono nati sui social ma hanno poi fatto venire il mal di testa ad autori e produttori nello sforzo di trovare una promozione in prima serata. Mi sono trovato in quello stato quando ho portato su Mtv i rich kids di Riccanza, che nascevano e vivevano attraverso le luccicanti foto su Instagram. Non si scappa: in tv serve una narrazione, una storia da raccontare che incolli le persone per più di tre secondi allo schermo.

Guardare giocare su Twitch è diventato il gioco stesso – Riccardo Fassone

Non serve più giocare ai videogiochi. Per essere parte di una comunità di giocatori, per poter partecipare al dibattito – al discourse – su Reddit o Twitter (ora X) legato a un videogioco, non è necessario giocare. Almeno non nel senso che attribuiamo comunemente all’idea di giocare a un videogioco; quella che rimanda a interminabili sessioni di fronte a uno schermo, con un controller in mano. La possibilità di guardare qualcuno che gioca, per esempio su Twitch, e partecipare alla vita di una comunità – certo spesso piuttosto disarticolata, a volte tutt’altro che accogliente – è essa stessa gioco. Non un surrogato, un’alternativa, una versione per procura di un’attività più nobile, ma gioco in senso pieno. Se c’è una cosa che l’emergere di piattaforme digitali di distribuzione audiovisiva ci ha insegnato è che il piacere di videogiocare è sempre stato anche un piacere spettatoriale, e che al di qua dello schermo del computer c’è un’altra complessa macchina composta da chi gioca, chi guarda, chi si iscrive, chi commenta.

Tra le piattaforme e i social media cambiano le domande – Andrea Girolami

Cos’è Netflix? Un’azienda tecnologica o semplicemente un altro editore televisivo? La domanda non è retorica, e serve a chiarire il discorso attorno tutti i servizi di questo tipo. A ripeterla con una certa insistenza è l’analista tecnologico Benedict Evans, che spiega come tutte le domande che girano attorno Netflix (così come gli altri servizi streaming) sono sempre di natura televisiva. Quando si parla di servizi come Disney+ o Amazon Prime non si discute di feature innovative o cambi di formato. Parliamo di attori, registi, titoli e star, proprio come faremmo con qualunque altro canale lineare o pay. Quando pensiamo a piattaforme di intrattenimento come YouTube e TikTok invece la conversazione è centrata sulle dimensioni dei video, sull’algoritmo che governa la loro distribuzione o sulle formule di revenue sharing messe in campo con i creator che producono i contenuti a disposizione degli utenti. Queste sono domande tecnologiche, molto diverse da quelle che vengono in mente accendendo la tv su Raiuno, Canale 5 o appunto Netflix. Solo analizzando i discorsi che girano attorno questi soggetti siamo in grado di distinguere tra chi si limita a portare avanti il business dell’intrattenimento come lo abbiamo sempre conosciuto con nuovi mezzi, e chi prova a creare qualcosa di totalmente differente dal passato.

I social media recuperano la logica di flusso della televisione: un ritorno al passato che però potenzia ancora di più un flusso che è personalizzato, intrusivo, remunerativo, a portata di pollice, fruibile tra una pausa e l’altra.

Il fascino della moltiplicazione degli schermi – Arnaldo Greco

Sono un ragazzino, entro per la prima volta in un ipermercato di elettrodomestici e i televisori sono tutti accesi. Saranno una trentina, sintonizzati perfino su canali diversi, ipnotici. Non conta cosa trasmettono, non c’è neppure il volume ovviamente, ma la moltiplicazione delle immagini cattura tutta la mia attenzione. Mi accorgo, anzi, di essere capace di avere ancora attenzione da dedicare alle immagini. Una tv non basta. Il fascino del multischermo mi colpisce ancora, trent’anni dopo, ogni volta che entro negli studi televisivi in cui lavoro e trovo il muro di schermi (sedici) che mostra ciò che in quel momento stanno trasmettendo i canali Rai. Mi pare che l’innovazione dell’audiovisivo digitale stia soprattutto in questa possibilità: moltiplicare gli schermi. Appoggiarsi agli schermi che ci sono già, trasformare le immagini che ci sono già, o anche solo moltiplicare gli schermi all’interno dell’unico dispositivo che stiamo maneggiando. 

Se tutto è contenuto – Fabio Guarnaccia

Se pure esistono antenati televisivi o domestici dei contenuti video prodotti dagli utenti per le piattaforme social, la natura di questi ultimi è diversa. E questa differenza non sta tanto nel formato, o nel format, quanto nel contesto e nelle sue capacità generative. Il mezzo che li veicola ha logiche diverse da quelle televisive, la distribuzione affidata all’algoritmo favorisce l’interazione, la replica, il remix, la moltiplicazione, promuove, insomma, pratiche di creatività a basso voltaggio che incidono non solo sul contenuto in sé, ma sull’intenzione del produttore e sull’attività dello spettatore. Anche i palinsesti vivono di flusso, ma qui il flusso del content ha una portata mai vista prima, genera vertigine e una forma di dipendenza continua e personalizzata: vogliamo che non finisca mai e non finisce, in effetti, mai. Non ha interruzioni. Non è fatto da moduli dotati di uno sviluppo narrativo interno. È sempre quello stesso video, quella stessa coreografia, quello stesso trend, che si ripete, solo un po’ diverso, ancora e ancora finché non si esaurisce. La quantità del contenuto fresco a disposizione conta e finisce per condizionare l’esperienza estetica complessiva. Insomma, se guardiamo le foglie possono sembrarci familiari, ma l’albero è proprio di un’altra specie.

Le potenzialità del racconto seriale di piattaforma – Amanda D. Lotz

La narrazione audiovisiva nel contesto digitale ha liberato il contenuto dai tanti limiti legati ai contesti distributivi passati. Molte caratteristiche del digitale consentono alla creatività e alla considerazione degli spettatori di essere centrali. La domanda cruciale nel dar forma alle vicende e ai racconti finalmente può essere “di cosa la storia ha bisogno”, invece che “cosa la distribuzione consente o richiede”. In alcuni casi, i limiti dei protocolli tradizionali (il palinsesto, la collocazione oraria) hanno ispirato delle soluzioni creative, ma tutto sommato hanno spesso portato soprattutto a tantissime ore fatte di formule stanche. Liberarsi dalla necessità di fornire contenuti a un’audience di massa ha innescato una trasformazione profonda. Non è solo per la distribuzione digitale, anche se senza di essa sarebbe stato un cambiamento ben più limitato. Sono possibili tante più storie, a livello commerciale, quando un pubblico enorme non è più il prerequisito. Da più di un secolo è in corso un enorme cambiamento nelle storie scritte, e allo stesso modo sempre più la narrazione su schermo può andare dall’introspezione minima e contenuta alle storie epiche e in espansione. Allo stesso tempo, poi, le tecnologie ci consentono di tornare a quello che ci piace per rivederlo, o di trovare una storia che fa al caso nostro decenni dopo la sua creazione.

Narrazioni digitali metamorfiche e infestanti – Valentina Tanni

L’universo dell’audiovisivo digitale online è complesso e variegato. È dunque impossibile analizzarlo come se si trattasse di un fenomeno con caratteristiche unitarie. Al suo interno possiamo senz’altro riscontrare alcune tendenze che si posizionano in continuità con il linguaggio televisivo, dal punto di vista sia dei formati sia dei modelli di fruizione. Pensiamo alle webserie, ad alcune tipologie di live streaming e alla creazione di personaggi e micro-celebrities su piattaforme social come TikTok. Accanto a questi contenuti, tuttavia, troviamo numerosi altri fenomeni che prevedono invece un coinvolgimento degli utenti continuo e profondo, un genere di partecipazione che sarebbe impossibile contestualizzare all’interno di un format televisivo. Penso alle lunghissime catene di duetti, ai reaction video, ma anche alle gigantesche operazioni di “lore” building che si creano attorno a contenuti memetici o virali. Si tratta di narrazioni collettive dal carattere metamorfico e infestante, che ruotano attorno alla pratica della conversazione e che possono esistere solo grazie alla natura partecipativa del network.


Luca Barra

Coordinatore editoriale di Link. Idee per la televisione. È professore ordinario presso l’Università di Bologna, dove insegna televisione e media. Ha scritto i libri Risate in scatola (2012), Palinsesto (2015), La sitcom (2020) e La programmazione televisiva (2022), oltre a numerosi saggi in volumi e riviste.

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Fabio Guarnaccia

Direttore di Link. Idee per la televisione, Strategic Marketing Manager di RTI e condirettore della collana "SuperTele", pubblicata da minimum fax. Ha pubblicato racconti su riviste, oltre a diversi saggi su tv, cinema e fumetto. Ha scritto tre romanzi, Più leggero dell’aria (2010), Una specie di paradiso (2015) e Mentre tutto cambia (2021). Fa parte del comitato scientifico del corso Creare storie di Anica Academy.

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