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Exit Reality. Intervista a Valentina Tanni

Tra le altre cose, internet è diventato uno spazio creativo e artistico. Ha sviluppato linguaggi inediti, ha coltivato estetiche e rappresentazioni, ha seguito simboli e sogni. E un nuovo libro lo spiega bene.

Siamo usciti dalla realtà e ora cerchiamo disperatamente di rientrarci? Ma cos’è la realtà in un mondo che sembra avere la stessa configurazione della caverna platonica, quella abitata da schiavi costretti a guardare le ombre degli oggetti reali proiettate sul muro? Sono domande che sorgono leggendo Exit Reality il nuovo libro di Valentina Tanni edito da NERO nella collana Not. Il libro cerca di spiegare alcune espressioni artistiche native della cultura digitale e di grande successo online come la vaporwave, le backrooms, le aesthetics e i liminal spaces. L’autrice è una storica dell’arte e propone un approccio ibrido, all’intersezione tra arte e cultura del web, nello spiegare la lore di certi misteriosi quanto affascinanti fenomeni di internet.

Partirei facendo una constatazione che riguarda la copertina di Exit Reality. Valentina, avrà notato che è molto difficile realizzare la copertina di un libro, o l’illustrazione di un articolo, che parla di fenomeni online. Si finisce sempre per fare un patchwork di immagini varie, soprattutto meme, con spruzzate di emoji. Perché persino gli art director e gli illustratori trovano così difficoltosa la rappresentazione di internet?

Accade perché internet non è un’entità singolare. Non è un oggetto o un panorama con caratteristiche unitarie, sintetizzabile in una singola immagine immediatamente riconoscibile. Si ricorre all’uso di segni, simboli ed elementi di cultura visiva che fanno riferimento, in modi diversi, all’universo plurale e magmatico delle culture digitali. Quando navighiamo su internet, i nostri schermi si riempiono di finestre aperte su multiple realtà.

Il libro inizia con quello che chiamo “il battesimo di internet”, cioè l’esperienza che ognuno di noi ha fatto accedendo per la prima volta appunto a internet. Proprio nell’incipit sua madre le nasconde il modem, perché evidentemente da subito per lei Internet è un’esperienza che le ha dato notti insonni e dipendenza. La dipendenza di volerne sapere di più, di esplorare “il retro di stanze oscure, nel pozzo senza fondo di ricordi immaginari”. Ma quindi l’esperienza di stare su internet è negativa, incidentalmente positiva o fondamentalmente perturbante?

L’esperienza di stare su internet può essere del tutto ordinaria, può essere speciale, può essere profondamente perturbante, e in qualche caso può essere traumatica. Il mio “battesimo di internet”, per usare la sua espressione, è avvenuto in un momento in cui la rete era un posto molto piccolo e tranquillo, per cui la mia “dipendenza” si è formata in connessione a esperienze molto più positive ed eccitanti che negative o perturbanti. Ma non tutti – né nella mia generazione, né tantomeno in quelle successive – hanno avuto lo stesso genere di esperienza. Internet è un grande serbatoio dove miliardi di esseri umani riversano idee, sentimenti, istinti e desideri. Una collezione disordinata di ogni possibile sfumatura dell’animo umano, dalla più straordinaria alla più orribile. Le conseguenze dell’esistenza e dell’utilizzo di un tale archivio sono impensabili.

Nel libro non lo dice e quindi glielo chiedo: qual è la prima immagine che ha cercato?

Una pala d’altare di epoca bizantina. Studiavo Storia dell’Arte all’università e in quel periodo era molto difficile recuperare facilmente fotografie di opere d’arte, specie se poco famose. Con la connessione che avevo in quel momento, il mio computer ci mise svariati minuti a caricare l’immagine.

Un concetto chiave che attraversa ogni filone artistico-digitale è quello della nostalgia. Nostalgia dell’infanzia, nostalgia di eventi vissuti e non vissuti, nostalgia del futuro, nostalgia della nostalgia. Ma alla fine online di cosa abbiamo veramente nostalgia? E se fosse semplicemente nostalgia del mondo reale?

Non vedo perché dovremmo avere nostalgia del mondo reale, visto che nel mondo reale ci viviamo 24 ore al giorno. Semmai, a volte vorremmo allontanarci dalla realtà, o quantomeno trovare strumenti diversi per interpretarla. Inoltre, internet è parte integrante della realtà, non c’è nulla di irreale in esso.
Siamo nostalgici perché la nostra percezione del tempo è cambiata. Tutto sembra scorrere troppo velocemente, quindi il sentimento nostalgico diventa uno stato permanente, un riflesso condizionato. Dobbiamo considerare però anche un altro aspetto: ogni artefatto culturale – di qualsiasi epoca e luogo geografico – è accessibile online con pochi click, e questo facilita i viaggi immaginari nel tempo e nello spazio. A questo, va aggiunto il fatto che la nostalgia non riguarda soltanto la memoria: la nostalgia è un’emozione che riguarda il desiderio. Internet custodisce e alimenta il desiderio, nel bene e nel male.

“Internet è un grande serbatoio dove miliardi di esseri umani riversano idee, sentimenti, istinti e desideri. Una collezione disordinata di ogni possibile sfumatura dell’animo umano, dalla più straordinaria alla più orribile. Le conseguenze dell’esistenza di un tale archivio sono impensabili”.

Perché le aesthetics online hanno un così grande successo? Qual è la sua preferita?

Non c’è una ragione singola, ma una serie di concause. Un aspetto centrale risiede nella capacità che questo genere di contenuti ha di “incapsulare” stati d’animo e paesaggi interiori. Sono forme d’arte corali, in cui molte persone possono ritrovarsi e a cui possono partecipare. Una grande narrazione collettiva, un generatore di comunità. Allo stesso tempo, sono modalità di costruzione identitaria, un tratto questo che risulta in linea con la tradizione delle sottoculture giovanili. Non posso dire di avere un’aesthetic preferita, anche se per ragioni anagrafiche sono particolarmente legata alla vaporwave.

Tutte le produzioni artistiche digitali “oltre la soglia” di cui scrive presentano caratteristiche ricorrenti quali: sono strane, distorte, confuse, trasmettono malinconia e isolamento, parlano di spiriti, stati fluidi e gassosi, vibrazioni, energie. Si percepisce ma non si ragiona, si sente ma non applica la logica, si stimolano tutti i sensi tranne quello della realtà. Piero Angela non sarebbe contento di questo internet. L’umanità avrebbe potuto attingere a informazioni infinite e invece sembra che attingiamo a illusioni infinite. Dov’è che abbiamo sbagliato, se abbiamo sbagliato?

Dare spazio ai sensi ed esplorare spazi interiori non implica necessariamente un abbandono della logica. Il mondo della sensibilità non è quello delle illusioni, è una dimensione che l’Occidente tardocapitalista ha spesso trascurato e vilipeso. Semmai, il rischio, a questo punto, è di perdere di vista la dimensione collettiva, la responsabilità sociale: se l’attenzione scivola troppo verso il sé inteso come soggettività individuale, la dimensione sociale può perdere di forza, e questo è potenzialmente un pericolo. 

Alla fine, le misteriose produzioni culturali digitali, con strani nomi evocativi in inglese tanto difficili da tradurre in italiano, non sembrano un po’ una versione aggiornata dell’enciclopedia dell’esoterismo? I riferimenti culturali che il libro coglie sono Aleister Crowley, le religioni orientali, lo sciamanesimo, l’alchimia, la gnosi, la Qabbalah. Quindi è questo il famoso canone nell’arte digitale, un ritorno alle dottrine mistiche?

Non esiste nessun canone dell’arte digitale. A dire il vero non esiste neanche “l’arte digitale”. Esistono espressioni artistiche che nascono online, o che si nutrono dell’esperienza della vita online. Esistono artisti che usano il computer per produrre immagini e suoni, o artisti che lo decostruiscono per capire meglio il nostro rapporto con la tecnologia. Esistono persone che utilizzano i media digitali per esprimersi, singolarmente o entro grandi comunità distribuite. Detto questo, è vero che la mistica, la magia e lo spiritualismo stiano vivendo un momento di grande attenzione, ma niente torna mai uguale a se stesso. Questi riferimenti sono continuamente trasformati e rielaborati in chiavi differenti.

“Siamo nostalgici perché la nostra percezione del tempo è cambiata. Tutto sembra scorrere troppo velocemente, quindi il sentimento nostalgico diventa uno stato permanente, un riflesso condizionato. A questo, va aggiunto il fatto che la nostalgia non riguarda soltanto la memoria: la nostalgia è un’emozione che riguarda il desiderio. Internet custodisce e alimenta il desiderio, nel bene e nel male”.

Ma alla fine questa sensazione che proviamo online, lo “stranamente familiare”, non sarà la riproposizione digitale di quello che nel cinema è definito lynchiano? La copertina di Floral Shoppe, con pavimentazione bianca e nera e statua greca (e con le Twin Towers sullo sfondo), non richiama la Loggia Nera di Twin Peaks?

La cinematografia di David Lynch, soprattutto Twin Peaks, è senz’altro un riferimento molto conosciuto e amato. Più che per la pavimentazione e la statua, la Loggia Nera si può collegare a molte atmosfere vaporwave, weirdcore e dreamcore per la sua atmosfera onirica e il suo collocarsi fuori dal tempo. È un luogo in cui il tempo è “fuor di sesto”, come direbbe Philip K. Dick (e Shakespeare prima di lui).

Trovo le backrooms l’invenzione creativa collettiva più affascinante, come il concetto di glitchare (l’attivazione di un’anomalia in un videogame) e di noclipping (passare attraverso i muri e gli ostacoli in un videogioco). Insieme ai liminal spaces sono la concretizzazione delle “soglie”. In fondo chi è che passava attraverso i muri prima di internet? I fantasmi. E quindi: stiamo di nuovo cercando di raccontarci storie sul senso della vita e della morte?

Non abbiamo mai smesso di raccontarci storie sul senso della vita e della morte. Non parliamo d’altro, mi pare.

Tutto sommato la cultura digitale non si è inventata niente, ma ha rielaborato la popular culture dei decenni (se non secoli) precedenti. Stiamo quindi vivendo un nuovo Medioevo mistico? Ne usciremo vedendo un nuovo Rinascimento?

Tutte le espressioni culturali sono rielaborazioni di linguaggi, forme e idee precedenti. Nessun movimento culturale ha “inventato” qualcosa. Tantomeno la cultura postmoderna e post-internet, che è programmaticamente incentrata sul remix, sul sampling, sulla fusione di ispirazioni e influenze. Forse sarebbe utile smettere di mitizzare il Rinascimento e guardare alle specificità del presente.

Spieghiamo ai lettori la centralità di Pepe The Frog, la sua importanza in quanto simbolo.

Ci vorrebbe un trattato in cinque volumi per raccontare e analizzare la storia di Pepe The Frog. Sintetizzando molto, si può dire che rappresenta un caso molto interessante per capire come funziona la cultura memetica e come avvengono i processi di risignificazione nel mondo contemporaneo. Il personaggio nasce offline, in un fumetto underground; una pagina del fumetto è caricata online e nel giro di qualche anno questa innocua rana antropomorfa diventa prima la mascotte di un gruppo di frequentatori di 4chan, poi il simbolo dell’alt-right durante la campagna presidenziale di Donald Trump (ammantata di significati esoterici), e infine torna accidentalmente un simbolo positivo durante le proteste contro la dittatura a Hong Kong.

Il sottotitolo di un blog che si occupa da più di un decennio di cospirazioni nel mondo dello spettacolo che si intrecciano con l’agenda politica, recita: né le parole, né la legge, ma i simboli governano il mondo. Concorda?

No. È vero che i simboli possiedono una grande potenza. Ma oggi anche i simboli sono instabili.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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