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Culture digitali

Viaggio all’inferno delle app di dating

Tra la raccolta di nomi, dati e fenomeni e la testimonianza “tratta da una storia vera”, un racconto del modo in cui tanti, forse tutti, cercano l’anima gemella o il sesso occasionale. Per poi chattare e basta.

“Volevo sfregare la faccia dell’umanità nel suo stesso vomito,
volevo costringerla a guardarsi allo specchio” (J.G. Ballard)

Tutto ciò che conta è la sensazione

L’amore doveva essere il nostro regno a venire, eppure “tutto ciò che conta ora è la sensazione”. La mia non è una visione apocalittica né integrata delle app di dating, solo una visione personale. Nella scatola nera che è la nostra esperienza con queste app, da Badoo a Tinder, passando per Bumble e altre ancora, è impossibile non parlare di sé anche se l’articolo si prefigge una linea più (in)formativa, lontana dagli strilloni del web che presenterebbero le prossime pagine più o meno così: “Usi Tinder a pagamento e sei single? Noi ti spieghiamo perché!”, oppure “Che c***o te ne frega di Tinder, diventa tiktoker e sco*****i tantissimo”. Non è la ricerca per questo articolo che mi ha spinto verso determinate app, ma è la mia esperienza pregressa (sin da quando Badoo esisteva solo nella versione desktop) ad avermi portato a voler proporre una riflessione su quel gazunder che chiamiamo relazioni umane online, match, e così via. Perciò l’articolo si dividerà in due parti, per neofiti e non. Prima, uno sguardo panoramico sugli appuntamenti online, le relative app, per tastare il polso di queste app in un mondo che sta uscendo, zoppicante, dalla pandemia di Covid e dall’assenza totale – o quasi – di relazioni umane vis-à-vis. Poi, il mio “inferno” personale, sperando che il mio essermi posta come cavia – passatemi il termine – possa essere di qualche utilità a qualcuno, o strappare un sorriso amaro. Pronti a swipare a destra, spero.

Il Dio dell’amore e del massacro

It’s a Match w Match Group! No, di solito l’app non si congratula con te ma, nel caso di Tinder, appare una scritta verde in alto che dovrebbe darti una qualche scossa elettrica. Soprattutto agli uomini che, statisticamente, non fanno tanti match quanto le donne. Se usi Tinder, Hinge, OkCupid, Meetic (e altri) significa che, congratulazioni, hai matchato con la più grande holding di appuntamenti online. Per quanto più della metà del fatturato del colosso madre di tutti gli incontri online resti Tinder, complice la fine del lockdown, il dating online ha conosciuto una battuta d’arresto. Bernard Kim, Ceo di MatchGroup, subentrato l’estate scorsa, ha deciso di riprendersi, secondo il Wall Street Journal, le due categorie più profittevoli: le donne e la generazione Z. La pandemia è stata una spinta potente per le app, quasi ci fosse una tendenza schizofrenica, uguale e contraria, nell’aggirare il lockdown e andare a casa di perfetti sconosciuti. Secondo i dati, Bumble è aumentato del 70% e Tinder ha toccato 3 miliardi di scorrimenti in un giorno di marzo 2020. Per quanto Tinder rimanga costante, la gen Z, almeno negli Stati Uniti, ha alternative che si basano sugli stili di vita: da Struck, app di appuntamenti basata sui segni zodiacali, a Schmooze che ammicca al mondo dei meme, passando per Snack, nata da una sottocultura di TikTok che nei video trova la sua massima espressione di approccio per i single. TikTok è stato un grande promotore di Snack, che se ne è servito per farsi pubblicità tra i più giovani, creando trend e raccogliendo il testimone di Tinder, senza bisogno di lanciare una sezione di appuntamenti come ha fatto Facebook o come sta per fare Instagram.

Per la comunità Lgbtqi+, Grindr è stato il terreno fertile di “gioco” e promotore di connessioni meno superficiali (secondo i pareri dei suoi utenti), mentre per l’Europa, al di là dei citati pezzi grossi, Badoo ha sempre fatto da padrone. Lanciato nel 2006 dal russo Andrey Andreev, per quanto senza lo swipe non abbia lanciato una moda come Tinder, Badoo resta il più scaricato, con 400 milioni di utenti. Nel 2014 Andreev ha supportato la co-creatrice di Tinder, Whitney Wolfe Herd (che lasciò il suo progetto per discriminazioni sessuali) nella creazione di Bumble. La particolarità di Bumble, almeno per gli utenti eterosessuali, è che dà la possibilità alla donna di fare la prima mossa con i suoi match. Pena: se aspetta 24 ore per contattare il suo match, quello sparirà. Eppure, in quanto a utenti paganti Tinder rimane al primo posto, seguita da Bumble e da Match. Secondo UBS Group, Tinder ha 11,1 milioni di utenti paganti (sempre nel mercato statunitense) rispetto ai 2,1 milioni di Bumble e al milione di Hinge.

Nel 2017, un sondaggio ha evidenziato che il 39% degli utenti ha incontrato il suo partner online, rispetto al 22% nel 2009, e quasi la metà di tutti i giovani di età compresa tra 18 e 29 anni afferma di avere utilizzato una app di appuntamenti una volta nella vita. L’amministratore delegato di Snack, Kim Kaplan, ha sottolineato un dato significativo: “Le app di appuntamenti ti offrono l’opportunità di incontrare persone al di fuori delle cerchie tipiche in cui ti troveresti ogni giorno”, tutto ciò in barba alle cosiddette filter bubble. Ciononostante, a differenza di Bumble o Hinge, Tinder non è cresciuto più di tanto e, per uscire dal periodo di stagnazione, ha optato per la pubblicità (avete notato?). Tra l’altro, nonostante l’offerta diversificata, che serve a superare il periodo di recessione trimestrale, si stanno riducendo gli acquisti di Boost e Super Mi piace. Tinder ha cambiato il gioco degli appuntamenti, nonostante nel 2012 servisse come collegamento tra studenti, ma i concorrenti hanno guadagnato terreno enfatizzando qualità come gentilezza, autenticità, positività sessuale e connessioni nel mondo reale. Insomma, la gente sarebbe stanca del sesso fine a se stesso e vorrebbe “connessioni significative”. Per esempio, i sondaggi, i messaggi video e le note vocali di Hinge consentono agli utenti di rivelare di più della loro personalità. Può essere la fine delle app di dating? Molti stanno abbandonando, creando varie tendenze, tra cui lo slow dating (chattiamo e sentiamoci un po’ prima di vederci) e un sentimento denominato Foda, ossia la paura di uscire ancora, tra burn out e una sensazione di scoramento post pandemia. Paradossalmente la pandemia ha rappresentato l’apogeo di queste applicazioni quanto la loro rovina, una specie di cavallo di Troia che conteneva in sé i semi della distruzione.

F for Fake

Molti utenti si sono stancati di swipare o setacciare la banda larga per tre semplici motivi: catfish, fatica, impossibilità nel trovare altro oltre al sesso. Le app di dating, per dare risultati concreti, richiedono un certo coinvolgimento, che va dallo scartare o mettere like a migliaia di persone all’impegno in una chat che vada oltre i semplici convenevoli. Sembrerà strano, ma il 42% degli utenti (negli Stati Uniti) è online per cercare l’amore e difficilmente questi useranno solo una app alla volta, ma diversificheranno il “portafoglio di investimenti” scaricando ogni mezzo per fare conoscenze online. 

Per quanto Tinder rimanga costante, la gen Z, almeno negli Stati Uniti, ha alternative che si basano sugli stili di vita: da Struck, app di appuntamenti basata sui segni zodiacali, a Schmooze che ammicca al mondo dei meme, passando per Snack, nata da una sottocultura di TikTok che nei video trova la sua massima espressione di approccio per i single.

Sui truffatori, invece, fece scalpore la docu-serie Netflix Il truffatore di Tinder, tanto da spingere Tinder e Meetic a implementare messaggi nelle app con suggerimenti, aiuti, e linee guida su comportamenti nocivi e possibili red flag: verificare l’immagine del profilo, non dare il proprio numero di telefono o altre informazioni sensibili, videochiamate prima di incontrarsi. Nella mia esperienza, come suggerito da Buddy Loomis, addetto alle operazioni di investigazione di Match Group, di solito i truffatori vogliono spostarsi su piattaforme dove la loro identità è protetta, come Telegram e Signal. Le peripezie del truffatore israeliano Simon Leviev, che ha ingannato diverse donne con il suo schema Ponzi guadagnando all’incirca dieci milioni di dollari, hanno convinto i vertici di Tinder ad aggiungere sistemi di sicurezza come i controlli in background basati su Garbo, ossia una funzionalità che impedisce ai malintenzionati di utilizzare la funzione “non corrispondente” per nascondersi dalle vittime. La Federal Trade Commission ha stimato che gli utenti di queste app hanno perso la cifra di 547 milioni di dollari. La perdita media (sempre negli Stati Uniti), secondo la Global Anti-Scam Organization, è stata di 186.169 dollari nel 2022, rispetto ai 120.754 dell’anno precedente.

Sul catfish ci siamo concentrati tutti negli ultimi 15 anni, almeno da quando quasi tutti abbiamo deciso di vivere sui social, Facebook in primis. Eppure, per quanto la manipolazione e il filtro siano ormai d’uso comune, anche tra gli uomini negli ultimi anni, il catfish non sembra tanto un problema quanto una fantasia più vera della realtà. Come quell’episodio di South Park (“The Hobbit”) in cui tutti identificano gli altri per come sono nelle foto – ritoccate – sui social e non per come sono davvero. L’essere fake è una verità introiettata e chiunque faccia notare qualcosa che non va, nelle foto, nei video, nel profilo generale, è tacciato di fare bodyshaming. Per dirla con Simon Reynolds, è come se la terra delle relazioni umane fosse un paesaggio traumatizzato.

Un oscuro scrutare personale

Come già accennato, è la mia veterana esperienza in fatto di dating ad avermi portato a scrivere questo pezzo. Ricordo ancora gli “amori” nati su Splinder, Casertaweb, Irc, Ciao, Netlog, 2.0, Extremelot e tante altre piattaforme che non erano antesignane di queste app di incontri (al massimo lo erano delle piattaforme social come le conosciamo oggi), ma inevitabilmente fungevano anche da combinatori di appuntamenti. Furono due studenti di Stanford, nel 1959, a creare, con un Ibm 650, il primo matchmaking, ben lontano dagli algoritmi di oggi. Perciò già nei miei vent’anni, 2006, Badoo era una realtà eccitante ma non del tutto estranea per chi come me aveva già provato il brivido da roulette russa di incontrare un possibile Donato Bilancia su Irc, ringraziando la sala multimediale della scuola.

Ciò che segue non ha un supporto statistico, ci vorrebbero campioni di persone, tempo, mezzi, ma sarebbe interessante – come in un redivivo Comizi d’amore – raccogliere un po’ di dati qui, in Italia, da Nord a Sud, dalla capitale alla piccolissima periferia con un migliaio di persone passando attraverso la media provincia. Nel nuovo account che ho aperto due mesi fa su Tinder (ogni tanto mi sembrava si impallasse e come molti miei amici maschi l’ho installato e disinstallato più volte), con una finestra anagrafica mediamente piccola (un range che prende 10 anni soli di potenziali partner), ho scoperto, pagando per un mese soltanto, di avere accumulato 4618 like e, mentre scrivo, negli ultimi due giorni se ne sono aggiunti due centinaia. E credo che le migliaia di like siano una realtà assodata – ma sarebbe interessante saperlo – per le donne. Perché pagare, cosa che nessuna donna – o quasi – ha bisogno di fare con le applicazioni? Non lo dico per mera e sterile vanteria, ma m’interessava capire diverse cose: 1. Pagare ha reso la mia esperienza più agevole? No, ma probabilmente avrei risparmiato tempo se avessi pagato dal primo giorno della mia iscrizione. Matchare o ignorare migliaia di utenti può privarti di troppo tempo, rendendo Tinder un luogo ostile e stressante. 2. Ho trovato qualcuno di più affine? No. L’algoritmo continua a buttarmi gente a caso, e pure doppioni (come nelle figurine), indipendentemente da chi accetto e da chi rifiuto, ignorando le mie preferenze e il chilometraggio da me settato.

Può essere la fine delle app di dating? Molti stanno abbandonando, creando varie tendenze, tra cui lo slow dating (chattiamo e sentiamoci un po’ prima di vederci) e un sentimento denominato Foda, ossia la paura di uscire ancora, tra burn out e una sensazione di scoramento. La pandemia ha rappresentato l’apogeo e la rovina di queste applicazioni, una specie di cavallo di Troia con i semi della distruzione.

Ho chiesto a quasi tutte le persone con cui ho fatto il match com’era stata la loro esperienza con Tinder, nello specifico, e tutti (benché, ripeto, ciò non rappresenti una statistica) mi hanno risposto dell’invasività dei cosiddetti contatti fake cinesi, e che nei casi migliori (?) dopo due anni il numero di match arrivava a un massimo di 150 o 200 – ma la media è parecchio inferiore. Molti mi hanno risposto che mettono like a tutte, andando a rafforzare la posizione femminile nel contesto: non solo ogni donna si becca like a caso, ma è favorita dalla percentuale maggiore di utenti maschi (si pensa che gli uomini superino significativamente le donne su Tinder, ma il dato resta privato). 

Ci sono tanti punti da tenere a mente nel caso italiano, anche la diversa forma mentis rispetto al campione statunitense dove c’è maggior possibilità che le app siano usate per conoscere qualcuno in vacanza o far due chiacchiere anche di persona. Da noi, pare, Tinder e i suoi fratelli significano, inevitabilmente, sesso occasionale nel migliore dei casi, sexting senza volto nel peggiore. E anche voi avrete notato questa differenza di approccio sostanziale tra un italiano e uno straniero. Un mio carissimo amico (e sono sicura che chi legge può portare la sua esperienza personale nel discorso) ha trovato quella che oggi è la sua compagna. In qualche modo, questa storia a lieto fine mi ha convinta a non disinstallare ancora una volta le app, e a usarle come gioco prima di andare a dormire, un’esperienza tra il ludico e l’Asmr nello scorrere immagini di persone come a un casting immaginario in cui tu sei regista, produttore e attore.

È agghiacciante che in quelli che presto saranno 5.000 like, io abbia fatto il match con (per eccesso) il 5%. Di questi 250 match, nel raggio di 80 km – e nell’accidia post-pandemia non sono pochi – ci sarà un 10% disponibile. Di queste 25 persone potrei incontrarne, se va bene, la metà. Con questa metà potrei fare sesso praticamente con tutti (ma non è detto, per diverse ragioni). E difficilmente ho mai rivisto più di tre volte quelle due o tre persone incontrate (suddivise in scaglioni temporali in questi due anni da single). Da questa trinità non si ricava neanche una relazione, di nessun tipo. E siamo partiti da quasi 5.000 like, migliaia di like che tendono allo zero. È facile rimanere confusi rispetto alla realtà, e se le app di dating rappresentano un mondo strano, la realtà fuori dalla porta non è meno brutale: un amico, custode dell’antica arte analogica del “provarci di persona”, stanco di trovare l’ennesima red flag sotto forma di donna, mi ha scritto una mattina scoraggiato: “Senti, butto 50 euro su Tinder”.

Tipologie e motivazioni

Credo fermamente (?) che queste app dovrebbero cambiare target e puntare su due categorie specifiche: gli incel e gli sfortunati millennial come la sottoscritta e l’amico. Dopo un paio di mesi di uso smodato di Tinder (e dopo due anni di uso alternato), intercalato da Badoo e Bumble, oscillo tra una vera e propria compulsione a una repulsione, per non dire burnout, nei confronti delle persone, stanca ma anche conoscitrice divertita di canovacci che si ripetono uguali: il furbetto che chiede Telegram per il sexting o, peggio ancora, per rubarti le foto e metterle nel deep web di Telegram stesso, dove gli utenti si scambiano foto erotiche/porno di amiche, ex, cugine, match, sorelle, in una giostra gestita per lo più da uomini o da uomini che si fingono donne alimentando lo scam. E poi, ancora, l’artista reggaeton wannabe che cerca followers come perfetto contraltare della pseudo influencer di bell’aspetto o frutto di filtri; quello che cerca la botta e via ma “mannaggia la distanza”; quello che scambia due chiacchiere in chat ma non gli piaci abbastanza/si pente del match/ha una doppia vita/gli stai antipatica; quello che come un novello Barney (da How I Met Your Mother) direbbe e farebbe qualunque cosa pur di sedurti in vere pratiche manipolatorie e tossiche; e infine la categoria peggiore: il tizio/cliente che vede in te il rider, il prodotto a domicilio, la JustEat/Deliveroo/Glovo del sesso, “Vieni da me e ci divertiamo”. E quando gli fai notare che non lo fai di mestiere ed esistono le escort per due ore di sesso assicurato, mostrano i denti, e ti insultano. Insomma, sono quelli che pretendono, con una inquantificabile presunzione, la peripatetica gratis con la scusa della parità di genere e lo scardinamento dell’ipocrisia dei rituali borghesi: ‘Se tanto finiamo a letto insieme perché uscire e offrire cena e cinema?’, e quando fai presente che offri tu, ovviamente, scatta il ghosting.

Qualcuno scrisse che è “con una bella ferita che veniamo al mondo”, e io credo che le app di dating facciano leva su quella ferita e alcuni utenti contribuiscano ad allargarla. Eppure, tutti sottostiamo alle regole del gioco, perché? Perché, per dirla con Woody Allen in Annie Hall, abbiamo bisogno di uova? Ma non sarà che nella bulimia della perenne offerta moriremo di fame? Come in quel gioiello di Master of None che riprende un passo de La Campana di Vetro di Sylvia Plath: “Li desideravo tutti allo stesso modo, ma sceglierne uno significava rinunciare per sempre a tutti gli altri, e mentre me ne stavo lì, incapace di decidere, i fichi incominciarono ad avvizzire e annerire, finché uno dopo l’altro si spiaccicarono a terra ai miei piedi”.


Maria Eleonora C. Mollard

Nata in Argentina arriva in Italia nel 1990 per subire e assorbire tutta la cultura pop di un grande decennio. A quattro anni vede Freaks ed è subito epifania col cinema. Passa l’adolescenza a disegnare fumetti, guardare film e serie tv. Viaggia col padre, divora musica durante le traversate nel Mediterraneo sviluppando così un atteggiamento ossessivo-compulsivo verso le sue passioni. Affronta la guerra civile del precariato scrivendo articoli, girando cortometraggi e fantasticando sulla generazione in declino di cui fa parte.

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