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Fenomeni

L’esercito del trash

Piccolo reportage per capire meglio come funzionano le pagine e i profili del trash televisivo. Da tempo parte integrante di ogni racconto – e di ogni successo – che si rispetti. Trash Italiano e oltre…

Chissà se Tommaso Labranca, 26 anni fa, mentre scriveva Andy Warhol era un coatto, aveva immaginato questo boom di iscritti al club del trash. Più di 10 milioni per la precisione, se si sommano i follower dei primi 35 account che si trovano scrivendo “trash” nella barra di ricerca di Instagram. Certo, tra i follower alcuni saranno bot e altri saranno doppi profili, eppure siamo davanti all’ennesimo fenomeno social che sembra senza senso e invece muove montagne di reach ed engagement (rispettivamente l’oro e il petrolio dei social media), crea le agognate dinamiche, talvolta dà uno stipendio mensile a chi ha come principale qualità la passione per i reality e i programmi della De Filippi. I trash account, versione italiana dei tea account americani, hanno nomi come Trash Nazionale, IntrashTtenimento 2.0, Trash TV Stellare e sono accomunati dalla stessa estetica: immagini brutte e video lo-fi, screenshot sgranati, loghi pacchiani, meme e gif riproposti mille volte, però ogni volta funzionali nell’attirare i like. Sorta di giornali di gossip online sotto anabolizzanti, nascono come account Instagram, ma poi si replicano in canali YouTube, profili su Twitter e TikTok, gruppi Facebook. 

I trash account sono di solito aperti da millennial, “per caso” o per divertimento, per condividere la propria passione per la tv, per dare sfogo a una certa vena nostalgica per programmi del passato, tipo Non è la Rai, ma per alcuni visto il successo è diventato anche un mestiere. Per aspirare a un ritorno economico, puntano come obiettivo ai 100mila follower e alle 2.500 interazioni in media, il primo valico per far parte di quei micro e macro-influencer che raccolgono collaborazioni con i brand. Il più seguito tra questi account che vivono nella terra di mezzo tra il mondo delle celebrities e gli standom, è Trash Italiano: “l’intrattenimento raccontato con gif, meme, video, articoli e molto altro”, come missione dichiarata nella bio, quasi 4 milioni di follower su Instagram, più di un milione su Twitter, un magazine online che si può leggere anche da app e un e-commerce. Ma non è che una stella di una galassia in continua espansione; ce ne sono così tanti che ognuno può scegliere di seguire quello più adatto alle proprie esigenze. C’è Biccy, attivo dal 2009 con un taglio che si rifà molto ai tea account americani; c’è Very Normal TRASH di Marco Salaris, che ha appena aperto un nuovo canale con un taglio ancora “più televisivo e storico”, da Teche; c’è Ghetto Trash gestito da Enrico Maddalena, conosciuto come ri_ghetto, che rilancia nelle stories i servizi di Novella 2000: alcuni magazine hanno capito che possono collaborare con questi account per coprire ulteriori fasce di pubblico.

Colmare un vuoto

I trash account, infatti, colmano un vuoto informativo intorno agli influencer di cui invece giovani e frequentatori stabili di social sono ghiotti. Non lo fanno solo per grandi nomi tipo Chiara Ferragni – sviscerata da prima che la stampa ufficiale arrivasse a coprirla – ma anche per influencer di categoria molto più bassa: quel tipo di personaggi online che non arrivano neanche a 10mila follower, ma che grazie a un mix di mitomania e bisogno di attenzione riescono a farsi un seguito di appassionati, che appunto li seguono più che altro per commentarli sarcasticamente, coglierli in flagrante, rintracciarne le contraddizioni attraverso “indagini online”. Nei bassifondi di internet c’è sempre qualcuno che racconta del suo tumore incurabile, della sua storia d’amore tossica, di dottorati di ricerca in università americane duramente conquistati, mentre qualcun altro si diverte a scoprire che è tutto inventato. Entrambi si lasciano alle spalle una lunga scia di tempo perso dietro mille thread aperti e iper-commentati, ma anche questo non è altro che semplice entertainment, un modo come un altro di passare il tempo e divertirsi sulla versione social di Beautiful. Una dinamica che risale ai tempi dei blogger e che si è nel frattempo accelerata e professionalizzata, trovando il suo terreno ideale dentro le logiche dei reality show dove oggi, non a caso partecipano molti influencer. 

I trash account sono di solito aperti da millennial, “per caso” o per divertimento, per condividere la propria passione per la tv, per dare sfogo a una certa vena nostalgica per programmi del passato, tipo Non è la Rai, ma per alcuni visto il successo è diventato anche un mestiere.

Il ruolo dei trash account in questo senso non è solamente passivo: sono loro stessi a “spingere il drama”, a creare cioè le dinamiche rendendo notiziabile qualcosa che sarebbe passato inosservato. I trash account sono un’enorme catena di montaggio di drammi social attiva 24/7 su tutte le piattaforme. Attraverso un ininterrotto scrutinio multi-canale dei loro personaggi preferiti svelano i retroscena, colgono le contraddizioni di un personaggio che magari si nasconde dietro un feed di frasi motivazionali e foto patinate, ritagliano clip dalle dirette del Grande fratello, li scompongono atomicamente e ci costruiscono sopra un incessante commentariato, che su determinati fatti si ingrossa così tanto che neanche la stampa mainstream può più ignorarlo. È così che è nato l’Ares Gate, su cui ancora ci sono indagini in corso. Così è nato anche il recente caso del presunto stupro ai danni di Dayane Mello durante la Fazenda, reality show brasiliano. Il fatto è stato notato prima dalle standom della Mello, che ormai hanno raggiunto dimensioni planetarie, e poi i vari filmati sotto accusa, prove del presunto stupro, sono stati montati, riorganizzati, commentati dai trash account di tutto il mondo, ma soprattutto da quelli italiani (la Mello è stata uno dei personaggi più amati del GFVip 5), finché non se ne sono occupati anche a Le Iene. Si potrebbero citare molti altri casi, meno gravi e più divertenti, si potrebbero citare certe shitstorm partite proprio dai trash account, si potrebbero citare fidanzamenti e presunti matrimoni nati e morti sui social tra famosi e wannabe, si potrebbero citare altre centinaia di casi di questo human stock market dove i trash account fanno semplicemente da broker. 

Influencer economy

Nella influencer economy, restare costantemente chiacchierati è cruciale per continuare a crescere. Per questo gli influencer non si limitano a seguire e farsi seguire dai trash account ma interagiscono con loro, danno interviste, sono loro stessi che spesso fanno da fonte lasciando trapelare finte indiscrezioni, magari attraverso un fake account appositamente creato. È un modo facile e veloce per entrare e rimanere nel dibattito culturale, attraverso la costruzione fordista di drammi che spinge in alto la loro popolarità. È anche il modo con cui gli influencer tengono sotto controllo eventuali scandali o fail comunicativi, assicurandosi che escano solo news che rafforzino la loro reputazione: basta vedere il rapporto privilegiato che hanno i Ferragnez con Trash Italiano. Certo, un do ut des che esisteva già nel mondo dello spettacolo tradizionale, solo che di mezzo c’erano attori e giornalisti, autori televisivi e agenti pubblicitari e il tutto andava avanti con una consuetudine professionalizzata. La pandemia ha ovviamente accentuato il fenomeno.

I trash account colmano un vuoto informativo intorno agli influencer di categoria più bassa: quel tipo di personaggi online che grazie a un mix di mitomania e bisogno di attenzione riescono a farsi un seguito di appassionati, che appunto li seguono più che altro per commentarli sarcasticamente, coglierli in flagrante, rintracciarne le contraddizioni attraverso “indagini online”.

Sembra che oggi l’intero mondo dello spettacolo sia costruito sulle gif di Tina Cipollari che esclama “No Maria, io esco”. Le reaction divertenti con personaggi famosi come soggetto, che si aggiornano dopo ogni grande evento tipo Eurovision o Europei di calcio (Mara Venier che se la ride, Leone Ferragni imbronciato, la foga di Aiello a Sanremo, Chiesa che fa quel gesto molto italiano con la mano), sono solo i buttadentro di un rabbit hole internettiano. Chi ci entra da semplice utente, divertito e un po’ incuriosito dalle gif, può uscirne stan di Elisabetta Gregoraci e Giulia De Lellis. 

Spesso gli utenti si creano un doppio account usato esclusivamente per commentare il trash, nella tranquillità dell’anonimato e senza essere giudicati dalla loro solita bolla magari dedita al commento woke. Chi è un famoso di Serie C può improvvisamente arrivare alla Serie A. A costoro, che passano dallo status di modelli sconosciuti a superstar internazionali nel giro di una stagione, si chiede soltanto di essere il più aderenti possibile con il loro personaggio, autentici nel senso di autenticamente aderenti allo storytelling che gli viene imposto. Si capisce anche perché sono trash: sono tutti tentativi falliti di imitazione, gente che vorrebbe incarnare un certo modello di celebrità hollywoodiana, ormai rarissima anche a Hollywood. Sono ridicoli, talvolta squallidi, a volta danno l’impressione di essere scatole vuote che vanno riempite, ma il loro fallimento è anche la loro forza. Gli utenti possono così empatizzare con loro, ci si riconosce nelle loro debolezze, nel loro “essere alla mano”. Soprattutto si ride molto su questi tentativi falliti di emulazione. Direbbe Labranca: si ride del trash altrui, tacendo del proprio.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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