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Serie tv

Dolce Francia seriale

Tutti pazzi per Parigi, per l’immaginario francese, per gli attori e gli asset d’Oltralpe. Ma questo è il frutto di un ampio lavoro, che ha radici lontane e grandi ambizioni. Con la capacità di fare sistema.

A fine luglio, Apple ha annunciato la serie La Maison, “uno sguardo coinvolgente dietro le quinte del mondo della moda, un’immersione nell’eleganza e nel lusso francese e nella vita delle sue potenti famiglie”. Wow, non vedo l’ora di entrare nella Maison. E non solo perché Apple Tv in questi anni ha dimostrato di avere una linea editoriale interessante rispetto ad altri streamers, ma soprattutto perché c’est la France! A livello globale, la serialità francese non ha la forza di quella inglese, che ha dalla sua la lingua e il lavoro fatto sulla tradizione. Non è diventata di moda con un genere solo, come la Scandinavia grazie al Nordic Noir. Non ha fatto il botto improvviso come quella spagnola, complice La casa di carta e Netflix. Ma crea successi nazionali e internazionali da anni, come attesta l’ennesimo articolo di Le Figaro. Successi da tv generalista, da pay tv e da streamer. Successi che diventano format. Non so se La Maison sarà una bella serie e se sarà un successo, ma alcuni suoi elementi aiutano forse a capire qualcosa in più della serialità francese.

La Francia è la Francia, ma può sembrare Twin Peaks

La Maison sarà diretta tra gli altri da Fabrice Gobert, autore e regista de Les Revenants (2012). Un giorno, in una tranquilla cittadina dispersa tra le montagne, ai piedi di una diga, alcune persone morte anni prima tornano dall’aldilà tali e quali al giorno del loro decesso. Rivogliono la vita che conoscevano, ma il tempo è passato, molto è cambiato. I loro cari oscillano tra gioia e orrore, perché non sanno cosa hanno davanti: uno zombi, un fantasma, un miracolo? Perché i morti sono tornati? Perché proprio adesso? La serie è stata un successo internazionale, e ha mostrato che era possibile anche per la Francia rompere il monopolio anglo-americano dell’immaginario. Les Revenants metteva in scena una cittadina tanto reale quanto fantasmatica, creando un’atmosfera sospesa e inquietante. Mescolava il surreale francese a quello americano, l’inquietudine del piccolo borgo sulle montagne europee a quella del piccolo villaggio americano perso tra i due picchi: Twin Peaks. L’esempio è quasi ovvio, ma come elaborarlo e farlo proprio è un’operazione stratificata. È una questione di temi comuni, certo: ciò che sta al di là del reale, là nei boschi, là nella Loggia Nera e nelle acque di una diga. È una questione di scrittura con strutture simili: tanti personaggi, tanti intrecci, sviluppi imprevedibili. Ed è anche questione di stile visivo.

Gobert si ispirò visivamente a Gregory Crewdson, fotografo americano famoso a partire dagli anni Novanta. Tra le sue influenze ci sono il pittore Edward Hopper (1882-1967), celebre per la sua rappresentazione realistica, struggente, solitaria della vita moderna americana, e la fotografa americana Diane Arbus (1923-1971), devota alla raffigurazione delle persone ai margini. Le sue fonti però sono anche cinematografiche: Steven Spielberg, Alfred Hitchcock e… David Lynch. Tutto torna, in circolo. Il paese senza nome di Les Revenants è di sicuro francese, ma ha un sapore così americano. 

Les Revenants e Dix pour cent mostrano che è possibile fare l’America in Europa, e dimostrano anche che tutto questo funziona, tanto nel proprio Paese quanto sul mercato internazionale, se e solo se resta intatta l’identità nazionale. Non è facile, eppure sono serie francesi nel profondo. L’intreccio tra amore e morte, il cattolicesimo, le atmosfere languide e decadenti nel primo, e invece nel secondo una Parigi che diventa protagonista, il cinema francese con il suo star system, la storica comedie briosa degli equivoci.

Succede così anche alla Parigi di Dix pour cent, e cioè Call My Agent, serie dedicata a un’agenzia di agenti di cinema. La ville lumiére è sempre la ville lumiére, ma i personaggi si muovono come se fossero a New York o a Chicago, freneticamente divisi tra vita privata e vita lavorativa. Abitano un ufficio con immense vetrate spiando gli altri come accade per Alicia Florrick e Diane Lockhart di The Good Wife e poi Fight. Si muovono e parlano, parlano e si muovono come se fossero nella West Wing di Aron Sorkin. Successo globale con tanto di adattamenti in altri Paesi, Dix pour cent è puro stile internazionale.

E cioè quello stile seriale che nasce dallo stile detto quality tv, nato negli Stati Uniti tra gli anni Ottanta e Novanta. Lo stile ricercato dagli spettatori, osannato dalla critica, indicato da sceneggiatori e produttori europei quale esempio da seguire. Uno stile che si crea e si diffonde anche altrove a partire dagli anni Duemila, quando gli showrunner americani lavorano in Europa, e crescono gli scambi, mentre i servizi in streaming impongono un po’ a tutti di pensare non più solo a casa propria, ma al mondo intero. Stile internazionale significa un cast corale, linee narrative multiple, una serialità che si apre creando intrecci dilatati su più puntate e più stagioni, temi forti e originali, creazioni di mondi narrativi abitabili, personaggi complessi e spesso bigger than life, gioco con i generi, stile visivo preciso e curato…

Dall’immaginario all’industria

Les Revenants e Dix pour cent mostrano che è possibile inglobare tutto questo, fare l’America in Europa, e dimostrano anche che tutto questo funziona, tanto nel proprio Paese quanto sul mercato internazionale, se e solo se resta intatta l’identità nazionale. Non è facile, eppure Les Revenants e Dix pour cent sono tremendamente francesi nel profondo, pur sposando una struttura americana. L’intreccio tra amore e morte, il cattolicesimo, le atmosfere languide e decadenti nel primo, e invece nel secondo una Parigi che diventa protagonista, il cinema francese con il suo star system, la storica comedie briosa degli equivoci.

Ma non basta possedere un immaginario, bisogna fare sistema per venderlo in casa propria e soprattutto all’estero: Unifrance è l’ente preposto alla promozione globale del cinema e audiovisivo francese. Riunisce ora più di 1.000 professionisti francesi del cinema e dell’audiovisivo (produttori, artisti, agenti, esportatori), che lavorano insieme per promuovere film e programmi tv francesi tra il pubblico, i professionisti e i media stranieri. Così a Parigi, durante le giornate organizzate da Unifrance a gennaio, era possibile assistere a un panel sui “nuovi volti” francesi, perché è così che si iniziano a promuovere le future star del proprio system. Era possibile intervistare autori e star di Bardot, serie molto più vecchio stile rispetto alle altre citate, ma scelta industriale azzeccata per rimettere in circolo un immaginario. 

Il gioco migliore però è quello del rinnovamento. Bisogna saper giocare con i propri miti, il proprio passato per creare però qualcosa di nuovo – e chissà se lo farà anche La Maison con la moda. Si pesca nella tradizione per creare nuove storie, nuovi brand, nuove properties, che fanno il giro del mondo come successi e come remake (al di là di Call my agent, anche Les Revenants ha avuto il suo remake americano).

Dagli albori della civiltà uomini e donne ri-scrivono le loro storie, fiabe, favole adattandole alla cultura del loro presente: non c’è nulla di immutabile nelle narrazioni. E la serie re-immagina Lupin giocando con il materiale originale (come nel celebre fumetto e anime di Monkey Punch): Omar Sy non è il Lupin di Leblanc, ma allo stesso tempo lo è perché ne emula le gesta apprese leggendone i libri.

Brand e classici, vecchi e nuovi

Prendiamo Lupin, serie Netflix del 2021 con Omar Sy. La sinossi: “Da adolescente, la vita di Assane Diop è stata sconvolta quando suo padre è morto dopo essere stato accusato di un crimine che non aveva commesso. 25 anni dopo, Assane userà il libro Arsène Lupin, ladro gentiluomo come ispirazione per vendicare suo padre”. L’idea vincente è questa: “usare il libro”. Lo fanno gli autori, lo fa il personaggio di Sy nella serie. Un classico della letteratura francese del 1907 diventa il soggetto e l’oggetto di un successo internazionale. Il libro diventa fonte per la trama, sorgente diegetica per il suo personaggio, ben visibile all’interno del racconto. Un gioco ben riuscito che rimette in circolo un classico, e non solo grazie a un prodotto derivato, la serie: anche i libri di Lupin conoscono un nuovo successo nelle librerie. E cos’è l’operazione Lupin se non la versione francese dell’operazione (splendida) di Sherlock?

Ma questa operazione di aggiornamento non è banalmente legata al fatto che Lupin sia interpretato da un attore di colore, come rimarcato più volte in Italia, chiamando in causa persino il “politicamente corretto”. In primo luogo perché dagli albori della civiltà uomini e donne ri-scrivono le loro storie, fiabe, favole adattandole alla cultura del loro presente: non c’è nulla di immutabile nelle narrazioni. In realtà, la serie re-immagina Lupin giocando con il materiale originale (come nel celebre fumetto e anime di Monkey Punch): Omar Sy non è il Lupin di Leblanc, ma allo stesso tempo lo è perché ne emula le gesta apprese leggendone i libri. Naturalmente la serie lavora sul corpo e sull’identità di Omar Sy, star del cinema francese, mettendo in scena le distinzioni non solo etniche ma anche di classe della società (il padre di Diop è stato incastrato dal suo ricco padrone, pardon, datore di lavoro). E per fare questo, si utilizza uno stile di racconto internazionale ma cercando un pubblico generalista, il vero obiettivo ormai di Netflix, oggi ben più smaliziato rispetto a qualche anno fa. 

Il classico è quel racconto che parla a tutti. Allo stesso tempo deve diventare un nuovo brand. È un’operazione tanto commerciale quanto profondamente culturale. E creare un nuovo classico e un nuovo marchio è quello che ha fatto Le Bureau des legendes, che avrà presto il suo remake americano: Showtime produrrà The Department con George Clooney alla regia. Un successo che non si deve solo alla scrittura, ma anche all’aver capito precise regole industriali e di marketing. La serie è prodotta dallo stesso studio che produrrà La Maison, la Top – The Originals Productions del produttore americano Alex Berger e dello sceneggiatore e regista francese Eric Rochant. Che ci tengono a dettagliare sul sito dello studio il loro “metodo”, perfezionato grazie all’esperienza di Bureau. Un metodo che “prende il meglio di ciò che la Francia e gli Stati Uniti hanno da offrire: i principi del sistema francese abbinati all’innovazione e all’efficienza americane”. E ancora: “lo showrunner deve farsi garante del buon fine creativo; il produttore esecutivo deve garantire che la produzione serva la visione dell’autore, il creatore; il produttore esecutivo dev’essere il garante del buon fine legale e finanziario. Questi tre ruoli complementari richiedono fiducia e assoluta trasparenza”. E c’è dell’altro: “Una volta che l’opera è consegnata, trasmessa e appropriata dal pubblico, diventa un marchio […]. È legato a un immaginario a cui lo spettatore è affezionato e che necessita di essere tradotto sui social network, all’estero e in diversi allevamenti. Per tradurre il dna di questo marchio e preservare la propria identità, la divisione PMDC (promotion, marketing, digital, communication) lavora per perfezionare ogni logo, poster, comunicato stampa, immagine, prodotto derivato”. Creare un stile internazionale con un tocco totalmente francese. Creare un metodo per scrivere, produrre, promuovere la propria serie, e renderla un brand. 

Fare sistema, fare industria, fare cultura

La capacità di Le Bureau di diventare un brand grazie al lavoro del reparto marketing è stato uno dei tanti temi emersi in un panel del forum professionale dell’ultima edizione di Séries Mania di Lille, festival internazionale seriale unico al mondo, diretto da Laurence Herszberg. Il festival ha una parte rivolta al pubblico, con proiezioni e incontri con star e autori nazionali e stranieri, e un forum professionale, con workshop, convegni, dibattiti, incontri di coproduzione. E ha anche una serie di iniziative dedicate alla scrittura, con scuole di formazione e workshop che mettono in contatto personalità di ogni Paese. 

Questo perché in Francia si pensa alla serialità come un sistema a più voci, nazionale e internazionale. Si fa cultura della serialità, come arte e come industria. L’avanzamento della serialità francese forse non è eclatante ma è costante, e nasce della volontà di creare un sistema, magari non ancora perfetto ma dagli orizzonti chiari. Fare sistema è anche questo: conquistare casa propria e l’estero non solo nelle nicchie ma anche nel mainstream. Affascinare e sedurre il pubblico, tutto quanto, con costanza e lungimiranza, fa di te una star – come direbbero gli agenti di Dix pour cent.


Stefania Carini

Si occupa di cultura, media e brand. Collabora con il Post, la Radio Svizzera Italiana, il Corriere della Sera. Ha realizzato podcast (Da Vermicino in poi per il Post) e documentari per la tv (Televisori, Galassia Nerd, L’Italia di Carlo Vanzina). Ha scritto Il testo espanso (Vita e Pensiero, 2009), I misteri de Les Revenants (Sperling&Kupfer, 2015), Ogni canzone mi parla di te (Rizzoli, 2018), Le ragazze di Mister Jo (Mondadori, 2022). Il suo ultimo libro è Il coraggio di Oscar (Mondadori, 2024).

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