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Nonfiction

Il tempo della parodia

Documentary Now!, o di come il trionfo del vero nella televisione della realtà abbia tanto bisogno anche di una presa in giro.

Difficile dire che sia bella, una parodia dove non si ride quasi mai. Difficile criticare troppo duramente una cosa fatta con un tale amore per quello che dovrebbe prendere in giro.
Documentary Now! è una serie comica a puntate, una cornice che ospita, di volta in volta, “i film che hanno formato e cambiato il mondo del documentario”. Su sei parodie, solo una è ambientata nel tempo presente. DRONEZ: The Hunt for El Chingon racconta cosa succede quando due video-giornalisti americani vengono mandati a Juarez, Messico, per scoprire dove diavolo si nasconde un pezzo grosso del narcotraffico. Ecco i loro metodi di ricerca: i primi due inviati girano per la città chiedendo ai passanti “scusi, lei conosce El Chingon?”, altri due indossano scarpe bruttissime perché hanno sentito dire che i messicani si vestono così, gli ultimi due vagano nel deserto finché trovano una villa e bussano alla porta. Il boss abita lì, in effetti. Gli americani diventano suoi amici per una giornata, tirano la sua cocaina, sparano con i suoi mitra. (Commento: “Abbiamo scoperto che El Chingon è un tipo a posto”). Per portare a termine l’inchiesta, però, è necessario sacrificare un totale di sei giornalisti. Gli inviati di DRONEZ in Messico continuano a morire ammazzati, e sono sostituiti da nuovi inviati di DRONEZ, tutti maschi, tutti bianchi, prelevati dalle indagini ad alto rischio che conducevano in altre parti del mondo. Uno stava “cucinando omelettes con una sorority razzista”, uno stava “giocando a Mario Kart con i ribelli siriani”.

Questa è l’unica puntata di Documentary Now! dove si racconta, in qualche misura, l’oggi. Il modo in cui filmiamo il reale, le nostre aspettative (consapevoli o meno) su come dovrebbe comportarsi un giornalista investigativo. In tutta la serie, è l’unica puntata che si può apprezzare senza conoscere a fondo il documentario esatto a cui si sono ispirati gli autori.

Un passo indietro. La sigla di Documentary Now! mischia immagini tratte da veri documentari famosi (Roger & Me, Don’t Look Back) ai titoli di testa che potrebbe aver avuto, nel corso di cinquant’anni, un vero programma dedicato al genere. Oggi, stando agli autori, il genere può essere oggetto di parodia perché i tempi sono maturi. Il pubblico ne guarda tanti e sa come funzionano. Per un confronto: L’aereo più pazzo del mondo esce nel 1980, quando uno spettatore conosceva abbastanza bene cliché e meccanismi del cinema catastrofico, e il genere in sé aveva raggiunto un alto livello di saturazione commerciale. Ammesso che un simile momento d’oro si stia verificando qui e ora per il documentario, gli autori scelgono di muoversi all’interno di un campo piuttosto limitato: “vogliamo prendere amabilmente in giro i nostri film preferiti”. Gli autori desiderano portare in scena un certo modo di raccontare il reale, l’insieme dei filtri estetici e narrativi che sono appoggiati sopra i fatti in un determinato momento della storia. Quindi The Eye Doesn’t Lie è un documentario su un caso di cronaca nera, come poteva essere girato a metà anni ’80; Sandy Passage un documentario su due donne povere e isolate, come poteva essere girato negli anni ’70. Ogni volta, con una singola eccezione, un vecchio film viene ricostruito con affetto implacabile, magari giusto cambiando i nomi ai personaggi, aggiungendo qualche battuta o un nuovo finale.

Gli autori desiderano portare in scena un certo modo di raccontare il reale, l’insieme dei filtri estetici e narrativi che sono appoggiati sopra i fatti in un determinato momento della storia.

Torniamo un attimo a DRONEZ. La forma della parodia è molto puntuale, chi conosce i reportage di VICE qui ritrova gli stessi stacchi di montaggio, i colori sparati, le frasi a effetto. Ma l’oggetto della parodia è l’intenzione dietro questa forma, il messaggio contenuto in questo giornalismo: “noi, inviati d’assalto, vi portiamo dove gli altri hanno paura di andare; il nostro modo di lavorare è l’unico veramente originale e cazzuto”. Allora i protagonisti sono due ragazzi bianchi che corrono rischi inutili, si sopravvalutano in continuazione, sgranano gli occhi davanti a tutto quanto per loro è triste, strano, goffo. Stringendo: DRONEZ fa ridere perché accetta di avere un bersaglio. Ci mostra le fragilità di uno stile, l’ambiguità della sua sostanza. Mentre il resto della serie è un lungo omaggio reverenziale a un passato intoccabile. Gli abiti delle protagoniste di Sandy Passage sono quasi uguali a quelli di Grey Gardens, quarant’anni fa; The Eye Doesn’t Lie è un remake scena per scena di La sottile linea blu, comprese le inquadrature finali sul registratore con la voce del vero assassino che confessa, e gli obiettivi usati durante le riprese sono gli stessi obiettivi usati da Errol Morris nel 1986. Non si ride molto, no. Non si ride perché non c’è niente da ridere.

Le persone che hanno creato Documentary Now! sono tre ex volti del Saturday Night Live – Fred Armisen, Bill Hader, Seth Meyers – e sono più che capaci di confezionare una parodia accessibile, se vogliono: il banco di prova per la serie sarebbe stato uno sketch di quattro minuti, History of Punk: Ian Rubbish, che può essere capito da chiunque. Queste persone conoscono il mestiere. Si sono incontrate in un posto dove tutti dovevano essere in grado di scrivere e recitare, e in una fase, nell’evoluzione del programma, dove venivano riuniti autori con competenze diverse – prima di diventare un comico, Bill Hader aveva lavorato per anni come assistente di produzione e montatore televisivo. Lo stesso, a giudicare dalle loro scelte, il tempo presente sembra dominato da una crisi di realtà. Come se, qui e ora, non stia succedendo niente, e niente meriti attenzione. Si prende in giro VICE, ma il resto passa sotto silenzio, compreso il boom della serialità sulla cronaca nera (anche se forse, sempre stando agli autori, per una parodia di The Jinx sono mancati i tempi tecnici). In quest’ottica, “il presente” non è un momento, è un mezzo: c’è un pubblico che apprezza il documentario, ma solo perché può guardare i film del passato in streaming. Qui e ora, si crea molto poco e si recupera tanto. Si vive di rendita grazie alla fortuna che ha avuto un oggetto in un altro tempo.

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È possibile che le scelte degli autori dipendano da un bisogno profondo, legato al lavoro che tutti e tre stanno portando avanti in parallelo, ognuno per conto proprio. Meyers conduce un talk show, Armisen è il co-creatore del varietà Portlandia, Hader recita in film per il grande pubblico. Per tutti e tre, insomma, “il presente” è quello con cui fare i conti nel quotidiano: un progetto più personale, un po’ defilato, volta lo sguardo indietro.

Su una cosa, almeno, Documentary Now! ha colpito nel segno: il tempo per la parodia del documentario è davvero maturo. Negli ultimi anni è davvero aumentato il numero degli spettatori. Però si è anche rinnovato il genere dall’interno. La diffusione mainstream di alcuni formati, dal documentario sportivo (30 for 30) alla biografia dell’artista (Behind the Music, True Hollywood Stories), ha obbligato parecchi autori a prendere le distanze dalla struttura rigida che quelle serie hanno perfezionato (debutto, ascesa, crisi, caduta, finale), mentre i comici hanno utilizzato la stessa struttura a loro vantaggio, portando alla luce la ripetitività e la parzialità delle “storie vere di gente famosa”. Un segmento dello Chappelle’s Show intitolato “Charlie Murphy’s True Hollywood Stories” ripercorreva gli incontri violenti tra l’attore Charlie e le celebrità che lui aveva conosciuto grazie al fratello minore Eddie. Adesso, quando tocca a Documentary Now! affrontare un genere di massa come la biografia musicale, si gioca sul registro del verosimile più che sull’umorismo: i Blue Jean Committee erano un gruppo pop spensierato, gli alfieri del California style – rilassarsi, divertirsi con poco – ma i loro padri fondatori si prendevano molto, molto sul serio, si sono separati malissimo, e dopo la rottura non si sono più visti né parlati. Ascesa, caduta, finale malinconico. Sembra una parodia accessibile, finalmente. Non lo è. Anche questa segue un modello ultra-specifico, History of the Eagles: se non l’abbiamo visto, non possiamo ridere di gusto. Possiamo solo ascoltare le finte canzoni del finto gruppo, possiamo trovarle molto belle, molto accurate. Suonano davvero come i grandi successi del soft rock anni ’70.

Il pubblico di Documentary Now!, nei fatti, si va restringendo a ogni puntata. La seconda stagione (agosto 2016) potrebbe cambiare le cose, ma non è detto che questo sia il desiderio degli autori. Potrebbe restare tutto uno scherzo privato, nobile. Le parole-chiave potrebbero sempre essere “il passato”, “il rispetto”, “la gentilezza”.


Violetta Bellocchio

Autrice di Il corpo non dimentica (2014), ha fatto parte di L’età della febbre (2015), Ma il mondo, non era di tutti? (2016), ha curato l'antologia Quello che hai amato (2015) e la traduzione italiana di The Art of Rivalry (2016). Ha collaborato a Rolling Stone, Vanity Fair, IL, Rivista Studio.

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