Ormai è un’abitudine. Cominciano i talent, e ci soffermiamo sulle audizioni. Ma dopo anni di visioni non ci fregano più: molti aspiranti finiscono dritti in una manciata di categorie.
Dalla prima edizione italiana di X Factor, andata in onda undici anni fa, più di 156 cantanti hanno partecipato al programma. Chi, come me, è cresciuto guardando tutte e tredici le edizioni, non solo ricorda bene o male tutti i loro volti, ma riesce ormai anche a riconoscere il funzionamento del format, dalle inquadrature pre-esibizione all’enfasi sui personaggi che passeranno le audizioni. È inevitabile che un format così ben costruito e ingegnerizzato, dopo tante edizioni, mostri gli ingranaggi della macchina e, di conseguenza, i primi segni di prevedibilità. L’ultima edizione parte da questa consapevolezza e gioca d’anticipo: Cattelan, colonna portante della grande X, ironizza sui concorrenti che partecipano alle audition, gioca sugli stereotipi e si traveste da rocker, da ragazzo impacciato e, novità, da timido che canta indie, riproponendo la galleria di tipi umani e musicali che abbiamo imparato a conoscere.
Una tipologia
Avere una memoria storica di X Factor è davvero un super potere inutile. Ispirato dalle imitazioni di Cattelan, ho provato a compilare un bestiario dei concorrenti che partecipano alle audition e poi ai bootcamp e alle home visit, da usare come vademecum per questa e per le prossime edizioni.
1. La favorita sopravvalutata
Iniziano i provini, inizia il toto-vincitore. Si scommette (non si sa perché) quasi sempre su una voce femminile, che in realtà non vince dal 2012. Applausi, standing ovation, lacrime e commozione, mani giunte e sguardi al cielo, milioni di visualizzazioni su YouTube. È il caso di Rita Bellanza (XF11) e della sua versione di Sally (10 milioni di views), data per vincitrice assoluta non solo di quella edizione ma anche delle successive dieci. Poi inizia il live e si alza il velo: Rita stona, dimentica le parole e si perde in disastri vari, finisce la magia e il “diamante grezzo” (appellativo xfactoriano) scompare nel nulla nonostante l’inedito scritto dal suo mentore, Levante. L’eccessiva attenzione del pubblico crea l’effetto “primo della classe”, le aspettative sono alte e molti aspettano solo di vederla cadere, schadenfreude. Stessa sorte l’anno dopo per Martina Attili, tutti pazzi per Cherofobia, l’esibizione con più views su YouTube della storia di X Factor (21 milioni!). Poi inizia la diretta, e ci si accorge che non si può vivere di rendita con la fortunata esibizione dei provini e Martina viene eliminata a un passo dalla finale. Fossi un concorrente, toccherei ferro se la mia audition macinasse troppe views sul tubo.
2. Il ragazzo con la chitarra
Nella scorsa edizione il giudice Manuel Agnelli disse: “Ormai è dall’anno scorso che sento ragazzini con la chitarra, che fanno questo tipo di cose. Ne ho fin sopra le p***e sinceramente. Questo tipo di cose mi ha saturato e penso faccia male reiterare questo movimento, che non ha prodotto nulla in Italia”. Aveva ragione, la maggior parte degli under uomini sono tutti wannabe Ed Sheeran. È dall’edizione di Lorenzo Fragola (XF8) che si vedono solo ragazzi con la chitarra, che si esibiscono in brani noti arrangiati in versione acustica. Su mille ragazzini chitarristi di solito ne passa uno, sistematicamente eliminato nelle prime puntate. In forte ascesa nell’ultima edizione anche la quota ragazze con la chitarra.
Iniziano i provini, inizia il toto-vincitore. Si scommette (non si sa perché) quasi sempre su una voce femminile, che in realtà non vince dal 2012. Applausi, standing ovation, lacrime e commozione, mani giunte e sguardi al cielo, milioni di visualizzazioni su YouTube. Poi inizia il live e si alza il velo: la concorrente stona, dimentica le parole e si perde in disastri vari, finisce la magia e il “diamante grezzo” (appellativo xfactoriano) scompare nel nulla.
3. La band con leader femminile
Una conditio sine qua non dei gruppi. Di solito lei è bella, ha i capelli rosso fuoco o è straniera. Da quando è stata istituita la categoria, abbiamo visto sul palco i Moseek (XF9), i Daiana Lou (XF10), i Ros (XF11), i Seveso Casino Palace (XF12) e i Bowland (XF12) e questa quota, a giudicare dai provini di quest’anno, probabilmente si ripresenterà. Band che volete partecipare a X Factor, se la vostra cantante non corrisponde al prototipo, cambiatela o tingetele i capelli. Anche i gruppi con questi requisiti, comunque, arrivano quasi sempre alle fasi finali ma non vincono mai.
4. Le scommesse
Completamente fuori dagli schemi e poco discografici, per usare un termine sempre xfactoriano. Nell’era pre-Sky erano più comuni, merito della fase embrionale che il programma viveva, in cui si sperimentava certo di più. La maggiore scommessa dell’edizione italiana sono state le Yavanna (XF3), un gruppo vocale (allora non erano ammessi gli strumenti) di tre sorelle elfiche appassionate di fantasy e musica celtica, arrivate in finale grazie alla Maionchi. Altri esperimenti meno riusciti sono stati i Cluster (XF1), gruppo vocale alla Neri per caso, i Farias (XF2), gruppo argentino sempre del team Maionchi, o ancora Nevruz Joku (XF4), difficilmente inquadrabile in una categoria. Più recenti sono gli Ape Escape (XF7), un trio rock di artisti salernitani definiti dalla giudice Ventura “brutti, vecchi e con le ciabatte” ma da lei portati in finale; il duo elettronico Sém e Sten (XF11) o il beatboxer Andrea d’Alessio. Nessuno ha in seguito effettivamente lasciato una traccia nel mondo discografico, ma di certo è ricordata positivamente la loro esperienza all’interno del programma.
5. Che suona questa?
Anche qui, categoria prettamente femminile. Le concorrenti arrivano con strumenti particolari, o comunque insoliti per un talent. A memoria la prima è stata Violetta Zironi con un ukulele (XF7), poi abbiamo visto una loop-station, un dulcimer, un pianoforte per bambini e ora anche un’arpa. Di solito commuovono, passano le prime selezioni, ma sono etichettate per sempre come “quella che suona il…”. Quando arrivano ai live i mentori fanno di tutto per separarle dagli strumenti, per dimostrare che oltre l’arnese c’è di più. Ma, tranne Violetta (ora attrice per un film Netflix), nessuna di queste eccentriche musiciste è mai arrivata in finale, anzi, nemmeno ai live. Menzione d’onore per il gruppo Bowland (XF12), che hanno usato utensili di vario genere, dal grinder ai bicchieri, passando per l’australiano didgeridoo.
6. I finti timidi con il vocione
La categoria peggiore, quelli che fanno gli svampiti e poi si trasformano magicamente quando cantano. Per fare un esempio, Malika Ayane quest’anno ha bacchettato un ragazzo, Salvatore Medica, per il suo finto atteggiamento da sfigato. Una volta smascherati, attirano l’odio del pubblico e hanno vita breve all’interno del programma.
7. Enfants prodige
Piccoli e talentuosi, avanzi dei programmi come Ti lascio una canzone o Sanremo Young. Sai cantare? Loro lo fanno meglio. Sai suonare? Loro lo fanno meglio. Sono sempre i più amati all’inizio della gara, ma non vincono mai, per questo molte rientrano anche nella prima tipologia, come Martina Attili. I giudici diranno sempre “hai solo 16 anni, incredibile!” o “se adesso sei così, chissà che farai tra dieci anni!”. Appunto, chi lo sa che fine hanno fatto dopo dieci anni, tutti scomparsi a eccezione della sola vincitrice Francesca Michielin (XF5, aveva 16 anni).
8. Gli over and over
Nessuno lo dice, ma tutti lo sanno. È una legge non scritta. La categoria over 25 è un bluff, la dovrebbero chiamare “x compreso tra 25 e 30”. Dai 28 in su sei già considerato vecchio, i trentenni non raggiungono mai i live e se li raggiungono, lo fanno con scarsissimi risultati. Quando X Factor andava in onda sulla televisione di stato non era così, vedi Matteo Beccucci, che vinse la seconda edizione a 39 anni. Ma comunque nessuno se lo ricorda.
9. La ragazza che fa cover indie
Nuova categoria, spuntata nelle ultime due edizioni. Cresciute tra Calcutta e Riccione, ripropongono i brani dei loro idoli con un’enfasi spropositata, come se Billie Eilish cantasse Coez. È da vedere nei prossimi anni come si evolverà questa categoria, anche se è opinabile il connubio X Factor-indie (sempre ammesso che lo si possa definire un genere).
10. Il duo maschile
Sono due ragazzi completamente agli antipodi, stile Pena e Panico di Hercules, che suonano musica elettronica. Piacciono alla prima esibizione ma poi sono sempre i primi ad alzarsi nella fase delle sedie. Ovviamente per cedere il posto al gruppo con la leader femminile dai capelli rossi.
11. Casi umani, vite difficili e riscatti
Un evergreen di ogni talent, ma un trend in leggero calo. Negli anni X Factor ci ha fatto vedere più tragedie di C’è posta per te: la youtuber Cixi (XF6), vittima di cyberbullismo e di bodyshaming; il balbuziente Stefano Filipponi (XF4), che riesce a cantare senza intoppi, o ancora la leader dei Daiana Lou (XF10), fuggita da una famiglia di testimoni di Geova, e Samuel Storm (XF11), profugo nigeriano. C’è poi ovviamente chi cerca un riscatto sociale nella musica, come Davide Merlini (XF6), di professione aggiusta-caldaie, o Giusy Ferreri (XF2), da cassiera alla capoeira. E infine ci sono i casi umani: ultimo di questa lunga lista un concorrente dell’attuale edizione che ha portato un inedito dedicato al suo lavoro, dal titolo inequivocabile (che fa onore alla categoria) La mia depressione. Ma i giudici ormai hanno capito che morto un talent se ne fa un altro, e non hanno problemi a bocciare concorrenti con storie difficili. Anche perché, come ironizza anche Cattelan, “se prendi quattro no vai dritto a The Voice”.
12. Quelli che fanno la cover di un pezzo di uno dei giudici
Non commentabili.
Sformat
Il programma inizia a sentire un po’ il peso degli anni, soprattutto nella prima fase, a tal punto da ridurre il numero di puntate da quattro a tre. L’obsolescenza del format internazionale non è solo un problema italiano e soprattutto non è una novità: le prime crepe già nella dodicesima edizione inglese nel 2015, che si concluse con una media di un milione di spettatori in meno rispetto all’edizione precedente, e da lì in poi risultati furono sempre più calanti. Il punto di saturazione dei talent è stato raggiunto tra il 2015-2016: X Factor Australia ha chiuso dopo otto edizioni nel 2016; gli ascolti della versione americana e inglese di The Voice sono crollati dal 2015; il quindicenne American Idol è stato chiuso da Fox nel 2016, per risorgere nel 2018 su Abc con ascolti più bassi. Nonostante tutto, i tentativi di sfruttamento del brand non sono terminati, a ottobre su Itv debutterà nella sbrilluccicosa veste vip Celebrity X Factor, mentre The X Factor: All Stars, uno scontro tra i migliori talenti delle passate edizioni, è atteso per il 2020. Ma l’eccessivo “strizzamento” del brand può solo accentuare il problema della ripetitività.
La nostra è stata (ed è) l’epoca televisiva dei talent, miniera d’oro per i broadcaster negli ultimi dieci anni. Hanno contribuito a creare la mitologia dell’underdog, lo sconosciuto che dal nulla, con il suo talento, riesce a ottenere un riscatto sociale arrivando al successo. “Se ci è riuscito lui allora lo posso fare anche io”: questo concetto ha poi contribuito alla nascita di figure come lo youtuber, l’influencer e così via. Possiamo, in conclusione, immaginarci una televisione priva dell’epica del talent? Una televisione senza volti, senza storie, di persone comuni da celebrare? Per il momento, l’unica cosa certa è che X Factor continuerà fino al 2022 e che chi ha avuto successo nelle ultime edizioni non rientrava in nessuna delle sopracitate categorie: Anastasio è un under senza chitarra, i Maneskin non hanno una leader dai capelli rossi, Chiara Galiazzo è davvero svampita e Michele Bravi solo adesso ha una sad story alle spalle.
Alessandro Laborano
Dall'ombra del Vesuvio a quella della Madunina. Laureato in Economia Aziendale, si è specializzato in Marketing Management presso l'Università Cattolica Del Sacro Cuore. Ha lavorato al Marketing Strategico di Mediaset prima e, oggi, in Warner Bros. Discovery.
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