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Icone pop

Charles Manson, black star della cultura pop

Nel primo anniversario della morte, un’indagine alla ricerca degli elementi che hanno reso Manson un tassello essenziale della cultura pop. E una parte di Hollywood.

È passato un anno dalla morte di Charles Manson e l’anno prossimo ne saranno passati cinquanta dalla strage di Cielo Drive, un evento che ha profondamente colpito la cultura popolare di massa. Anche il prossimo film di Quentin Tarantino, Once Upon a Time in Hollywood, il primo nell’epoca post-Weinstein, racconterà del massacro di Cielo Drive a opera della Manson Family, seppure in maniera laterale. In ogni caso, la storia di Charles Manson è una storia di Hollywood. Dai giornali è raccontata però in maniera diversa: sarebbe più il simbolo della fine degli anni Sessanta, il fallimento della controcultura; riguarderebbe la pericolosità delle sette e del satanismo. Ma questo non spiega l’incredibile quantità di libri, film, serie televisive, album musicali e canzoni dedicate a Charles Manson, “uno dei più feroci assassini della storia” (secondo la stampa) e icona della cultura pop (secondo l’immaginario collettivo creatosi negli anni intorno alla vicenda di sangue). La storia di Charles Manson parla di come tutti siano ossessionati dalla fama, di quello che fa il successo alla psiche delle persone (anche di quelle già famose) e del bisogno continuo delle masse di divorare storie. Insomma, di come il sogno hollywoodiano si sia rivelato un’illusione.

Dall’inizio

Andiamo con ordine. Per la ricostruzione corretta della vicenda bisogna affidarsi a due libri. Il primo è Helter Skelter, scritto da Vincent Bugliosi, il pubblico ministero nel processo contro Manson e la Family. Descrive le indagini e il movente che portarono alla condanna a morte, poi commutata in ergastolo, degli accusati. È considerato il saggio criminale più venduto della storia ed è praticamente il capostipite del genere Making a Murderer. È anche il libro che ha dato il più grosso contributo alla formazione di luoghi comuni intorno alla vicenda e al personaggio di Charles Manson, facendolo diventare “il capo della setta satanica”, “il serial killer tra i più sanguinari della storia”, “il diavolo massacratore di Sharon Tate”, “Satana che insanguinò Hollywood” (dai titoli di quotidiani). Ma Manson, che si è sempre dichiarato innocente, non è mai stato accusato di aver eseguito materialmente gli omicidi di Cielo Drive, né quelli della notte successiva contro i coniugi La Bianca, bensì di essere stato il mandante.

Ci sono le confessioni dei membri della Family, tra cui quelli di Susan Atkins che si vantò con un’altra detenuta di essere stata l’assassina di Sharon Tate, e di Linda Kasabian, la testimone-chiave del processo. Manson avrebbe ordinato loro di compiere la strage per scatenare l’Helter Skelter, ossia quella che Bugliosi descrive come “una guerra razziale tra bianchi e neri”. Helter Skelter è una canzone dei Beatles contenuta nel White Album e fa riferimento a una giostra per bambini. Secondo le testimonianze, Manson l’avrebbe interpretata come “l’inizio dell’apocalisse”, appunto della guerra tra uomini di razza caucasica e afroamericana. È una delle scritte che caratterizzano i luoghi del crimine imputati alla Family: nella casa dei coniugi La Bianca (l’altro omicidio, oltre a quello di Cielo Drive) fu trovato scritto sul muro con il sangue di una delle vittime “Healter Skelter” (con refuso). Altre scritte con il sangue fanno sempre riferimento a canzoni del White Album dei Beatles come Rise (da Blackbird), e Pig (Piggies). Con questo indubbiamente affascinante movente, il PM Bugliosi convinse la giuria a condannare Manson alla pena di morte, ma contemporaneamente gli attribuì un potere carismatico quasi divino: convincere le persone a compiere stragi efferate per motivi insensati. Il tutto condito da simbologia, cultura pop ed esoterismo. La ricetta magica per farlo diventare uno dei simboli del male nella cultura popolare di massa.

Il secondo libro si intitola La Famiglia ed è stato scritto da Ed Sanders, musicista (ex-leader dei The Fugs) e giornalista, una personalità rilevante nel mondo della controcultura americana degli anni Sessanta. È il testo su cui Tarantino si è basato per il suo film. Mentre il primo libro ricostruisce le verità processuali da un punto di vista medio-borghese, il secondo offre il racconto veritiero dell’America dal punto di vista di un artista, che ha visto da vicino le logiche e la struttura delle comunità hippie. Si vede il sogno di tanti ragazzi americani di buona famiglia, che negli anni Sessanta scappavano di casa per abbracciare, in maniera del tutto consapevole, uno stile di vita completamente nuovo, apparentemente libero e senza regole all’interno di queste comunità. Ne esistevano moltissime, ognuna con la propria peculiarità. Una di queste era la Family, che si era formata intorno a Manson: non proprio una setta, più una comune non troppo organizzata, che girava intorno alla droga e ai sogni di gloria nel mondo della musica rock. L’autore scrive nella prefazione del suo libro di essere rimasto affascinato fino all’ossessione dal caso Manson, perché: “apriva uno squarcio sul mondo di Hollywood, aveva il rock’n’roll, aveva il fascino del Wild West, aveva i veri anni Sessanta con la loro rivoluzione sessuale, l’amore per gli spazi aperti, le droghe psichedeliche, i sogni di gloria, religioni di ogni tipo, le stragi interne e le guerre, il tutto concentrato in un’enorme e vorticosa storia di sesso, droghe e crimini violenti”. Strappa anche un velo sulla figura di Manson, restituendo un’immagine umana contrapposta a quella che si vede di solito, di un matto con la svastica incisa in fronte. Manson è stato un uomo poco più alto di un metro e mezzo, molto magro, nato da una prostituta, con un’infanzia spesa tra affidi temporanei e istituti, abusato fin da piccolo. Nel 1967, a 32 anni, aveva sulle spalle già 15 anni di carcere per furti d’auto e rapine. Dal 1969 non è mai più uscito di cella, fino alla morte nel 2017.

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Costruzione di un’icona

Le leggende su Manson cominciano proprio dal carcere. A Terminal Island si dice che imparò i metodi da sugar daddy per controllare i gruppetti di prostitute, come tenerle sotto controllo. Alcune fonti sostengono che venne a contatto con Scientology, che invece ha sempre fermamente smentito. Manson era comunque interessato alle tecniche di scientologia e sosteneva, secondo alcuni testimoni, di essere particolarmente portato per alcune tecniche di manipolazione mentale e ipnosi. Altre fonti riportano contatti con massonerie e sette sataniche, ma queste non sono mai state confermate. L’unica cosa certa è la frequentazione intensiva dell’ambiente carcerario, un luogo dove non sono rari racconti e leggende che si sviluppano tra detenuti su temi quali magia nera, esoterismo e declinazioni affascinanti del concetto del male. Inoltre, si era nel pieno dell’era dell’Acquario, dei movimenti New Age, delle scienze alternative, delle discipline orientali: Manson era semplicemente figlio del suo tempo. Sempre in carcere imparò a suonare la chitarra e a comporre delle canzoni, rafforzò il suo amore per il rock’n’roll e per i Beatles, un’altra delle sue ossessioni. Infine, la fascinazione per la Bibbia e per Gesù, da lui considerato una figura di rottura e rivoluzionaria, piegata alle ragioni della religione ufficiale (anche questo era un sentire comune dell’epoca). Ecco tracciati i tre pilastri fondanti della filosofia mansoniana: i Beatles, la Bibbia, Scientology.

Nel concreto, però, gli obiettivi che l’ossessionavano erano i soldi e il successo. E comunque non era l’unico: poco importava se per perseguirli si tentava un’altra strada, non quella mainstream ma quella della controcultura. Gli anni Sessanta rappresentano il momento in cui la cultura di massa fa un patto con la controcultura, costruendo quell’orizzonte etico che tutt’oggi solca l’immaginario dell’Occidente contemporaneo. Infatti, se per alcuni le stragi di Cielo Drive rappresentano “la fine del sogno” (c’è chi è arrivato a teorizzare che sia stato un complotto per mettere fine all’ascesa della controcultura), succede che quella che era cultura alternativa viene inglobata nel pensiero dominante: la decrescita felice, l’ambientalismo, il vegetarianismo, la desacralizzazione del sesso, la difesa dei diritti delle minoranze. Depurata però dai fondamenti che non andavano bene alla società dei consumi, come l’abolizione della proprietà privata, “l’apertura della mente” mediante droghe, il libero amore. Questo cambio di marcia è ben descritto nel libro di Joan Didion, White Album, che prende spunto dagli omicidi Tate-La Bianca: da un sentimento di fiducia e di cambiamento, si tornava a un sentimento di paranoia costante. Del sogno di un nuovo mondo non rimaneva che un mercato nuovo, funzionale alla società, quindi all’American way of life, quindi all’Occidente.

La storia di Charles Manson parla di come tutti siano ossessionati dalla fama, di quello che fa il successo alla psiche delle persone (anche di quelle già famose) e del bisogno continuo delle masse di divorare storie. Insomma, di come il sogno hollywoodiano si sia rivelato un’illusione.

Ossessione pop

Ecco trovato il motivo (inconscio?) per la successiva ossessione della cultura popolare per la figura di Charles Manson, che in qualche modo fissa, catalizza, riassume questo passaggio. Ecco spiegati tutti quei libri, film, serie televisive, album e canzoni dedicati a lui. Potremmo citare le serie più recenti: Aquarius con David Duchovny, la settima stagione di American Horror Story e Mindhunter. I Guns N’ Roses (la band inserì una canzone di Manson, Look at Your Game, Girl, nell’album The Spaghetti Incident? del 1993). I Kasabian si chiamano così in onore di Linda Kasabian, la testimone chiave del processo. E ovviamente Marilyn Manson, che incise il suo primo album Portrait of an American Family (il titolo originale doveva essere molto probabilmente The Family) nello studio di registrazione di Trent Reznor dei Nine Inch Nails. Studio allestito proprio nel salotto della villa al numero 10050 di Cielo Drive, luogo del massacro, che Reznor aveva appositamente comprato. Lo studio di registrazione, tra l’altro, era stato chiamato “Pig” come la parola lasciata sulla porta della casa, scritta con il sangue di Sharon Tate (c’è una foto su Life che ritrae Roman Polansky vicino la porta). Reznor lasciò la casa nel dicembre 1993, spiegando più tardi che “c’era troppa storia in quella casa”, prese la porta e la portò con sé installandola come porta d’ingresso del suo studio discografico a New Orleans. Per non parlare di tutti i film che sono già stati girati (qui una raccolta), oltre a quello di Tarantino. Manson era uno che stava – per dirla come Massimo Carminati – nel Mondo di Mezzo: il punto di congiunzione tra Hollywood, la droga e il sesso. Nella serie Aquarius (si trova su Netflix) questo aspetto è ben raccontato: esponenti del mondo dello spettacolo vi si rivolgevano per ottenere LSD e ragazze mentre Manson, attraverso questi favori, sperava di ottenere l’accesso allo stardom. È certa la sua amicizia con Dennis Wilson dei Beach Boys che a sua volta l’aveva introdotto a Terry Melcher, figlio di Doris Day, nonché proprietario della villa a Cielo Drive. Villa venduta a Roman Polansky qualche mese prima della strage. Si dice che Manson ci fosse già stato, ospite di una festa in cui aveva fornito droga e ragazze.

Ecco: le ragazze. Charles Manson ne aveva intorno a sé molte, giovani e belle. Alcune provenienti da ambienti degradati, con genitori alcolizzati e violenti, come Susan Atkins, ma altre provenienti da famiglie medio-borghesi e del tutto rispettabili, come Patricia Krenwinkel. Entrambe sono state condannate al carcere a vita per aver eseguito materialmente gli omicidi. In un documentario su YouTube, risalente agli anni Settanta e con un giovane Vincent Bugliosi, ci si può fare un’idea dello stile di vita condotto all’interno della Family. Dall’esterno appare davvero come la realizzazione del sogno hippie: giovani seminudi con delle corone di fiori, che ballano, cantano, si abbracciano. Dalla testimonianza di Linda Kasabian viene fuori un ritratto meno idilliaco, fatto di abusi sessuali e uso massivo di LSD, per manipolare personalità fragili e rimuovere ogni tipo di tabù.

Un altro libro, uscito di recente, aiuta a entrare ancora più in profondità. Si tratta del caso editoriale dell’esordiente Emma Cline, Le ragazze. In un saggio per The Paris Review, l’autrice ha affermato di aver da sempre provato empatia per “le ragazze di Manson”, e una sorta di invidia per la loro vita nello Spahn Ranch (l’ex-set cinematografico dove avevano il loro accampamento) con il loro guru: “Era qualcosa che potevo capire. Erano ragazze accolte nel ranch, a cui erano stati dati soprannomi sia infantili che aspirazionali. Era stato detto loro che erano diverse da chiunque altro”. Ragazze inquiete, infelici, che avevano bisogno di esprimere la loro sessualità senza venire condannate, manipolate o manipolatrici. Contrapposte alla vittima più famosa, Sharon Tate, bella, bionda, con una carriera in ascesa, famosa e uccisa un attimo prima di diventare famosissima. Accoltellata mortalmente all’ottavo mese di gravidanza, da altre ragazze giovani, belle e alla ricerca del loro posto nel mondo, che non fosse solo quello familiare. Come si fa a non rimanere turbati di fronte a uno scenario del genere? La domanda non è quanto sarà macabro, cinico e pulp il nuovo film di Quentin Tarantino, ma se parlerà dell’elefante nella stanza, del grande tabù dei nostri tempi: il successo e quello che fa alle persone che lo vogliono, quelle che l’hanno sfiorato, quelle che ce l’hanno, quelle che l’hanno avuto. Più di ogni altra cosa, la storia di Charles Manson è una storia di Hollywood.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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