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Attention economy, screen time: ricerca del luogo felice online

I media e le grandi aziende digitali sono impegnati in una furiosa corsa alla conquista della nostra attenzione. E allora la gestione del tempo, e la possibilità di fuga in un altrove, diventano preziose.

All’incrocio tra il successo di videogiochi come Fortnite e la crescente preoccupazione legata agli effetti che smartphone e social media possono avere su tutti noi, c’è la ricerca di un modo di essere online e felice. Può sembrarci strano, oggi, ma c’è stato un momento, nemmeno tanti anni fa, in cui i media digitali erano circondati da un’aura di positività: un mondo migliore, più felice, più connesso. Da quant’è che non sentite una buona notizia provenire dalla Silicon Valley?

La rivoluzione mobile ha stravolto le nostre abitudini di consumo, creando anche notevoli problemi legati al nostro rapporto con gli schermi – ansia, depressione, insonnia, impossibilità di “staccare”. Sono quindi in continua diffusione strumenti e metodi per controllare se stessi e l’attività dei nostri dispositivi: parliamo delle varie app dedicate al monitoraggio dello screen time, la quantità di tempo che passiamo a usare certi servizi, anche se il vero focus sembra essere sulla qualità di questo tempo. Facebook, Instagram, Slack e i client mail assorbono attenzioni e influenzano il nostro umore. 

Utenti “costretti”, infelici e senza entusiasmo sono anche utenti che prima o poi smetteranno di tornare. Per questo, da Apple in giù, i giganti del settore hanno iniziato a interessarsi alla questione dello screen time, introducendo nel nuovo iOS la possibilità di monitorare l’utilizzo delle app. Che l’intento sia sincero o machiavellico, è l’approccio a essere cambiato.

Milioni di persone incapaci di staccare i propri occhi da un sito sono una buona notizia per un imprenditore particolarmente senza scrupoli ma un possibile grattacapo per chi ha una visione meno miope. Utenti “costretti”, infelici e senza entusiasmo sono anche utenti che prima o poi smetteranno di tornare. Per questo, da Apple in giù, i giganti del settore hanno iniziato a interessarsi alla questione dello screen time, introducendo nel nuovo iOS la possibilità di monitorare l’utilizzo delle app (anche se già da tempo Instagram indica agli utenti quando hanno visto tutti i post che ci sono da vedere). Che l’intento sia sincero o machiavellico, è l’approccio a essere cambiato. Persino Twitter – da anni alle prese con problemi di molestie, minacce e troll estremo – sembra essere stato costretto a rimuovere alcuni dei profili più tossici, mentre Facebook ha pubblicato alcuni studi sul legame tra il sito e la depressione.

Che fare quindi?

Una possibile soluzione è proprio quella offerta da Fortnite, intesa come “terzo luogo” digitale. Dopo la casa e il lavoro c’è sempre stato qualcos’altro, un luogo collettivo e terzo, appunto, in cui rilassarsi. Nell’era digitale tale luogo non deve essere “reale” per forza: ecco quindi che prodotti videoludici di massa diventano grandi ambienti digitali (sandbox) in cui tutto è possibile, persino stare con amici e amiche. Un mondo colorato felice, scherzoso, al riparo da troll, politica e stress da like, dove essere fare amici o parlare con vecchie conoscenze. Un fenomeno perlopiù ristretto a giovani e giovanissimo ma che rende Fortnite un prodotto simile a quello che Second Life mirava a diventare anni fa (ma con bazooka e la possibilità di grandi avventure).

Prodotti videoludici di massa diventano grandi ambienti digitali (sandbox) in cui tutto è possibile, persino stare con amici e amiche. Un mondo colorato felice, scherzoso, al riparo da troll, politica e stress da like, dove essere fare amici o parlare con vecchie conoscenze.

L’elemento social si declina anche online, con la possibilità di trasmettere in streaming le proprie partite, grazie a servizi come Twitch. Secondo un sondaggio di Newzoo dello scorso anno, la categoria ludica Battle Royal (di cui fanno parte Fortnite, Pubg, Apex Legends) ha i giocatori più attivi: il 51% dice di aver usato lo streaming, mentre il 35% dona o ha donato soldi a giocatori online (contro il 22% della media).
Le preoccupazioni dello screen time e la ricerca di un’isola felice in un mondo iperconnesso sono due elementi di un costrutto più grande, che potremmo definire l’assedio alla nostra attenzione. Non ci sono mai stati così tanti spettatori e così tanti contenuti: attirare lo sguardo e mantenerlo concentrato su qualcosa – qualsiasi cosa – è sempre più difficile. Anche perché se tutto è intrattenimento, tutto può essere un competitor: “la nostra competizione è il sonno”, disse il CEO di Netflix, nel 2017. Un’iperbole con cui Hastings ha voluto sfoggiare i muscoli, ma anche indicare la prateria di opportunità e rischi davanti ai suoi occhi. In questa ottica anche un fenomeno di massa come Fortnite è competitor di un servizio di streaming come Netflix: nel weekend di Stranger Things, del resto, molti spettatori hanno dovuto scegliere se guardare la nuova stagione o… fare altro. Non importa quindi di quale tipo di media si stia parlando: se è su uno schermo, allora è in concorrenza diretta con tutto il resto online.



Pietro Minto

Nato a Mirano, in provincia di Venezia, nel 1987; vive a Milano. Collabora con Il Foglio, Il Post e altre testate. Dal 2014 cura la newsletter Link Molto Belli.

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