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Streaming Wars

Vuoi più bene a Jennifer Aniston o a Baby Yoda?

In Italia e altrove, il panorama della tv on demand si prepara all’ingresso in forze di nuovi player come Apple Tv+ e Disney+. E ora, a distanza di qualche mese dal lancio americano, che succede?

“Il monopolio di Netflix è finito!”. “Ecco i Netflix Killers”. “Parte la caccia a Netflix!”. Quando sono state annunciate le due nuove piattaforme Disney+ e Apple Tv+ i necrologi del servizio di Reed Hastings campeggiavano già in ogni articolo, prevedendo che il prezzo più basso degli abbonamenti, la solidità finanziaria e la notorietà dei due brand avrebbero provocato una migrazione degli utenti verso i nuovi arrivati. Ma a distanza di qualche mese dalla loro uscita statunitense, cos’è veramente successo?

La forza dei contenuti

Da un lato la popolarità degli attori, dall’altro la forza dei brand. Da un lato Jennifer Aniston, Steve Carell e Jason Momoa, dall’altro Star Wars, Pixar e Marvel. Apple e Disney hanno fatto leva su due elementi differenti per lanciare i propri prodotti originali, con risultati altalenanti. 

Costose, di forte impatto visivo ma tutto sommato rinunciabili, le serie di Apple hanno tutte le caratteristiche dei device del brand. Ci sono il fantasy distopico See con Jason Momoa, nato per attirare i fan orfani di Game of Thrones, il costume-pop Dickinson con l’ex bambina de Il Grinta Hailee Stainfeld, per un pubblico teen, il giallo più adulto Truth Be Told con Octavia Spencer e Aaron Paul e soprattutto The Morning Show con Jennifer Aniston, che segue il trend del #metoo. Nonostante il budget di 6 miliardi di dollari, nessuna delle produzioni ha davvero lasciato il segno. Per dare qualche numero: See ha un costo di 15 milioni a puntata, proprio come l’ultima stagione di Game of Thrones, e ben superiore alle hit di Netflix Stranger Things, con 8 milioni a episodio, o a The Crown, 10 milioni a episodio. La serie di punta è The Morning Show (300 milioni di dollari!), un dramma sugli abusi di potere e sessuali dietro le quinte del piccolo schermo, figlio delle vicende di Weinstein e di Roger Ailes. Rilevante catalizzatore è la scelta degli attori: protagonista della serie è una triade costata più dei draghi in CGI, con Bradley (Reese Witherspoon) che prende il posto di Mitch (Steve Carell), accusato di molestie sessuali verso una collaboratrice, e affianca Alex (Jennifer Aniston) nella conduzione di un morning show americano. Considerati la trama e il cast prestigioso, ci si aspettava un successo di pubblico maggiore, ma la serie ha comunque ottenuto ben tre nomination ai Golden Globe 2020, tra cui quella come best drama

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Se la piattaforma di Los Gatos si è sempre distinta per la release dell’intera stagione al momento del lancio, Disney rieduca i fruitori all’attesa, nutrendoli un boccone alla volta, scommettendo sulla pubblicazione degli episodi a cadenza settimanale. Così facendo ha alimentato le ipotesi e il dibattito sui social, riuscendo allo stesso tempo ad ancorare gli abbonati alla piattaforma.

Tra spin-off e reboot, la strategia di Disney+ è opposta a quella di Apple Tv+ (o Netflix). Prima di parlare di successo o insuccesso bisognerà aspettare l’arrivo della piattaforma in Europa, ma possiamo già farci un’idea dai titoli che hanno riscosso più attenzione sul suolo americano. Tralasciando i film, le serie tv pubblicate al lancio erano solo due: il reboot di High School Musical e lo spin-off di Star Wars The Mandalorian. Se il primo è passato inosservato, non si può dire lo stesso del nuovo prodotto della saga di George Lucas, ambientato nel tempo tra Il ritorno dello Jedi e Il risveglio della Forza, a seguire le avventure di un cacciatore di taglie, il Mandaloriano. Alla serie l’arduo compito di compensare la delusione degli incontentabili fan della saga dopo l’ultima trilogia, rea di aver tradito il vecchio spirito della serie. E a giudicare dalle ottime recensioni sembra esserci riuscita: la serie è “la più richiesta del 2019” secondo Parrot Analytics, grazie al numero di commenti e interazioni sui social e al download di file peer-to-peer, riuscendo così persino a detronizzare Stranger Things, da mesi al primo posto della classifica. Il merito principale del successo è da attribuirsi al fortunato personaggio di Baby Yoda. Sfido chiunque a non essersi imbattuto in lui scrollando l’home page di un social negli ultimi mesi. Baby Yoda che beve, nella culla, che fa cose. In realtà non si chiama nemmeno Baby Yoda, è stato battezzato così da alcuni utenti su Twitter, nella serie si chiama semplicemente The Child. Tra meme, gif e fotomontaggi, è diventato il personaggio dell’anno, e lo stesso Bob Iger, CEO di Disney, si è fatto ritrarre sul Time con la mascotte in braccio, sancendo la nascita dell’icona dell’ultima generazione della saga.

Baby Yoda non solo sembra un personaggio Pixar, ma è immediatamente riconducibile all’universo Star Wars anche da chi non ha visto la serie, grazie alla sua somiglianza con il più noto Yoda da cui prende il soprannome. Come ha scritto James Poniewozik sul New York Times, in un articolo dall’emblematico titolo “Baby Yoda is Your God Now”, la chiave del successo è proprio nell’aspetto: “se sei un adulto lo vuoi accudire; se sei un bambino, vuoi giocare con lui”. Disney è riuscita dove Netflix ha fallito: portare l’evento tv su una piattaforma streaming. Se la piattaforma di Los Gatos si è sempre distinta per la release dell’intera stagione al momento del lancio, Disney rieduca i fruitori all’attesa, nutrendoli un boccone alla volta, scommettendo sulla pubblicazione degli episodi a cadenza settimanale. Così facendo ha alimentato le ipotesi sulla trama e sui personaggi e il dibattito sui social, come una qualunque serie di Hbo, riuscendo allo stesso tempo ad ancorare gli abbonati alla piattaforma, evitando il rischio di bruciare l’attenzione sulla serie dopo pochi giorni, come spesso succede alle serie di Netflix. Questa strategia è però un’arma a doppio taglio: se il prodotto non riesce a intercettare e catturare pubblico sin dai primi episodi, l’attenzione può calare nelle settimane successive, come è stato per The Morning Show, abbandonato da molti dopo i primi tre episodi.

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Plus vs Plus

Assodato il successo di alcune produzioni, parliamo ora del numero di abbonati. Apple Tv+ è stato lanciato in pompa magna il 1 novembre 2019 in 190 paesi, al prezzo di 5 euro al mese; mentre Disney+ invece è arrivato due settimane dopo negli Stati Uniti, Canada e Paesi Bassi (e a fine marzo sarà nei principali paesi europei), alla cifra di circa 7 dollari al mese. Secondo le stime di Barclays, Apple dovrebbe raggiungere i 100 milioni di iscritti entro il primo anno, riducendo la distanza da Netflix di 60 milioni di utenti in un solo anno. Il ragionamento è semplice: stimando che Apple venderà 200 milioni di device nei prossimi dodici mesi, se il 50% di questi accede al periodo di prova di un anno (compreso nell’acquisto di un prodotto Apple) si raggiunge la cifra. Trainati dal periodo di prova, secondo le stime di IMA Research, gli abbonati avevano superato il milione dopo la prima settimana, un numero alto ma nettamente inferiore al risultato di Disney che, solo il primo giorno, contava oltre 10 milioni di abbonati (le stime prevedevano 15 milioni in un anno!), nonostante la limitata distribuzione territoriale.

Gli utenti di Disney+ alla fine del 2019 hanno raggiunto i 24 milioni, di cui l’80% già in possesso di un abbonamento a Netflix, mettendo quindi in evidenza un fenomeno di sovrapposizione piuttosto che di migrazione di utenti, nonostante la limitata distribuzione territoriale.

Secondo uno studio condotto da Cowen & Co., gli utenti di Disney+ alla fine del 2019 hanno raggiunto i 24 milioni, di cui l’80% già in possesso di un abbonamento a Netflix, mettendo quindi in evidenza un fenomeno di sovrapposizione piuttosto che di migrazione di utenti. La ricerca però sottolinea anche la perdita di oltre un milione di abbonati per Netflix dopo il lancio delle due piattaforme, prevedibile e tutto sommato inferiore a quanto ci si potesse aspettare guardando i risultati dei concorrenti, dato che solo il 6% degli utenti di Disney+ ha disdetto il suo abbonamento a Netflix. 

Non resta che abbonarsi 

È quindi davvero finita l’era di Netflix? È presto per dirlo, ma è probabile che si assisterà a una sovrapposizione tra piattaforme più che all’abbandono di Netflix per una nuova proposta. Il problema di Netflix, in realtà, è Netflix stesso: fino a quando potrà aumentare il budget di produzione delle serie, continuando a indebitarsi? Se la distribuzione delle puntate a cadenza settimanale si è dimostrata una strategia vincente per Disney, Netflix potrebbe optare per la stessa soluzione, ottimizzando le risorse solo su alcuni titoli ed evitando che i riflettori si spengano pochi giorni dopo la pubblicazione.

In attesa dello sbarco nei principali Paesi europei, Disney+ prepara i suoi assi nella manica, le killer app, come il revival di Lizzie McGuire e le serie provenienti dall’universo Marvel, WandaVision e Falcon e Winter Soldier. AppleTv+, invece, oltre alla serie antologica Little America sugli immigrati negli Stati Uniti, non sembra riservare altre sorprese. Serve però sottolineare che per Apple e Disney le piattaforme streaming sono un servizio in più, appunto un plus, che arricchisce un già consolidato core business. Pure se l’offerta di AppleTv+ può sembrare scarna, con l’implementazione dei titoli il servizio rappresenterà un valore aggiunto per scegliere un prodotto Apple, una strategia a lungo termine per vendere più hardware, e questo spiega anche il costo dell’abbonamento nettamente inferiore alla concorrenza, scelta inusuale per un prodotto brandizzato con la mela. Anche per Disney il servizio streaming consente di ampliare ulteriormente la galleria di titoli e personaggi a cui attingere, che saranno poi commercializzati negli store e nei parchi a tema, con magliette, tazze, peluche e gadget di ogni tipo.

Insomma, sono soprattutto due interessanti operazioni di marketing sulle quali i due giganti hanno voluto scommettere e su cui, stando ai primi risultati, valeva la pena puntare. Il 2019 sarà ricordato come l’anno del cambiamento nel settore dello streaming, l’inizio dell’ennesima streaming war, durante la quale noi poveri consumatori saremo travolti da uno tsunami di contenuti, costretti a fare zapping tra una piattaforma e l’altra per stare al passo. Nell’attesa di nuovi competitor, nuove offerte sempre più cheap e nuove serie, io intanto comincio a mettere nel carrello di Amazon il peluche di Baby Yoda.


Alessandro Laborano

Dall'ombra del Vesuvio a quella della Madunina. Laureato in Economia Aziendale, si è specializzato in Marketing Management presso l'Università Cattolica Del Sacro Cuore. Ha lavorato al Marketing Strategico di Mediaset prima e, oggi, in Warner Bros. Discovery.

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