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Immaginari

Benedetta tv

Buone o cattive, simpatiche o ritrose, fittizie o reali, le suore continuano a dominare il panorama dei media ancora oggi, e – tra serie di grande successo e tv della realtà – ci attraggono e incuriosiscono.

“C’è forse qualcuno che non ama le suore? Tutti le adorano. Sono irresistibili!”

Whoopi Goldberg

2023, Monastero Maria Tempio dello Spirito Santo, un gruppo di suore ribelli rischia l’epurazione da parte del Vaticano, contro di loro anche curia e comune. La loro colpa? Quella di essere troppo social: hanno avuto l’ardire di usare Facebook per attirare nuovi fedeli con formule di ospitalità B&B e per vendere marmellate e confetture fuori dal convento. A guidare le benedettine dissidenti, che hanno rifiutato la nomina di una nuova abbadessa chiamata per rimetterle in riga, Suor Diletta, madre superiora con un passato da maresciallo della guardia forestale. No, non si tratta di una nuova fiction con Giuliana De Sio nei panni della suora marescialla, ma è quanto sta succedendo realmente a Pienza in questi mesi. Ancora da capire come si concluderà la vicenda, colpisce però come tutto – fatta eccezione solo per la mancanza di un crimine misterioso da risolvere – suoni sfacciatamente televisivo.

Misteri gaudiosi 

“Perché ho visto delle suore? Perché ci sono delle suore? Ci sono delle suore!”, una ragazza armata di trolley si guarda in giro con aria sospettosa, è un promo che gira su Tiktok per la nuova stagione di Ti spedisco in convento. Il claim? 5 ragazze, 1 convento! Troveranno la retta via?. Suore, sì, ovunque. Al cinema è da poco uscito Benedetta, il nuovo film di Paul Verhoeven su Bendetta Carlini, scandalosa suora, veggente (truffaldina) e lesbica; ma anche Quando, il nuovo film di Walter Veltroni con Valeria Solarino che campeggia sulla locandina nei panni di una suora in abito azzurro. In libreria invece troviamo Suore che si comportano male. Compendio di storie dai monasteri italiani dal 1500 al 1700 (tra stregoneria, sesso e ribellioni di vario genere), ma anche A tavola con le sorelle. Il ricettario delle suore della comunità di Mont Saint-Michel (per imparare a preparare il clafoutis di sant’Abramo). In tv è possibile sintonizzarsi su Ti spedisco in convento, versione italiana del format britannico Bad Habits, Holy Orders, dove alcune ragazze “moderne” sono affidate alla vita monastica, private di cellulare e belletti, in un percorso che dovrebbe accompagnarle ad abbracciare valori meno frivoli; p su qualche fiction che vede protagoniste suore detective, pasticcione, caritatevoli, tormentate, combattenti… Volanti, perfino. Non mancano le suore ai fornelli, con il cooking La cucina delle monache, su Food Network (“benedetto chi cucina!”).

Nulla di nuovo, il mondo dei media ha sempre giocato, su diversi piani e con estrema facilità, con le immagini del sacro, trovando – in particolare – nell’immaginario della religione cattolica un terreno fertile da cui attingere temi, modelli e personaggi. Stupisce però come non si veda all’orizzonte un esaurimento di questo “pozzo”. Un sistema complesso di immagini e simboli che nel corso dei secoli, da una parte, ha acquisito un’indipendenza dai suoi valori religiosi originari, ma che dall’altra sembra continuare ad avere un’eco fortissima verso questa sua natura spirituale (o filosofica). Come ha sottolineato Vittorio Montieri in un’intervista per l’uscita del libro La manipolazione del sacro. L’immagine religiosa nel mondo della comunicazione, “quante delle rappresentazioni di personaggi e frammenti di narrazioni bibliche in circolazione sono testimonianza del messaggio testamentario e quante di una comunicazione ‘non ufficiale’ a soggetto religioso che scorre autonoma e parallela, e le ricicla nella cultura di massa come un racconto mitico o storico indipendente dal suo senso originario?”. 

Santi, preti e soprattutto suore. Ovunque. Viene da chiedersi perché e grazie a quali meccanismi i personaggi religiosi – in contesti narrativi laici – funzionino (ancora) così bene. La religiosità diventa quindi intrattenimento (non religioso) per il grande pubblico (religioso e non), con diversi gradi di libertà a seconda del target a cui saranno rivolti i prodotti massmediali.

Lo spazio dei media (cinema, tv e internet, nelle loro diverse incarnazioni) si è popolato di immagini religiose prodotte però in contesti e con obiettivi laici che si misurano tramite box office, audience e visualizzazioni, non con gli effetti dell’evangelizzazione. Abbiamo assistito quindi a un proliferare di personaggi di estrazione religiosa che hanno colonizzato le narrazioni audiovisive: “la disponibilità a una lettura alternativa di quelle immagini e di quelle narrazioni ha aperto il varco a una loro gestione emancipata dalla proprietà intellettuale della Chiesa, – ancora Montieri – quindi mondanizzata non solo al livello dell’interpretazione ma della loro riproduzione e riformulazione. Da leggibile, richiamando Barthes, il testo sacro diventa scrivibile. Cinema, televisione, letteratura, arte, moda, musica, pubblicità, ciascuna forma espressiva vi rintraccia nuove affordance semantiche funzionali alle proprie finalità».

Misteri luminosi

Santi, preti e soprattutto suore. Ovunque. Viene da chiedersi perché e grazie a quali meccanismi i personaggi religiosi – in contesti narrativi laici – funzionino (ancora) così bene. Da una parte abbiamo il filone della blasfemia, con tutto ciò che concerne la satira, lo scandalo e lo shock (preti posseduti e suore sexy), dalle campagne pubblicitarie di Oliviero Toscani alla letteratura licenziosa, fino al recente Benedetta di Verhoeven. Al cinema c’è una predilezione per le suore cattive: Madre Giovanna degli Angeli di Jerzy Kawalerowicz, I Diavoli di Ken Russell, Narciso Nero di Powell e Pressburger, e ancora L’indiscreto fascino del peccato di Pedro Almodóvar, solo per citare qualche titolo di un nutrito cineforum pruriginoso. Accanto a queste ovviamente anche quelle impiegate per incarnare personaggi drammatici, da Audrey Hepburn in Storia di una monaca di Fred Zinnemann ad Anna Magnani in Suor Letizia di Mario Camerini (ma ce ne sono molte altre), o, casi forse più rari ma non meno rilevanti, in ruoli brillanti e fuori dagli schemi, Sister Act, diventato anche un musical per il teatro, un esempio per tutti. 

Nel mondo della serialità televisiva invece primeggiano le suore buone, concilianti e rassicuranti – con dovute eccezioni che abbracciano tendenzialmente la serialità breve, come Le ali della vita con la cattivissima Sorella Alberta di Virni Lisi, o American Horror Story: Asylum con le sue suore indemoniate e sadiche, Jessica Lange nei panni di Sister Jude Martin e Lily Rabe come Sister Mary Eunice McKee. I modi in cui i media impiegano l’ausilio dell’immagine religiosa, anche solo nel caso della figura “suora”, sono molteplici, cambiano in base agli scopi dell’intrattenimento, ma il perdurare dell’efficacia che l’immagine primitiva ha in sé sembra essere caratteristica comune a tutti questi trend. La religiosità diventa quindi intrattenimento (non religioso) per il grande pubblico (religioso e non), con diversi gradi di libertà a seconda del target a cui saranno rivolti i prodotti massmediali. Da Suor Germana, impegnata ai fornelli tra ricette del buon Dio e agende, a Suor Paola, la tifosa del Lazio ospite a Quelli che il calcio di Fazio, le suore buone e simpatiche (a modo loro) hanno da sempre un appeal del tutto particolare sul pubblico. Nelle fiction per famiglie poi, i personaggi in abito monastico sembrano poi essere una vera manna dal Cielo. Tralasciando le declinazioni fantastiche in voga negli anni Sessanta, come The Flying Nun con Sally Field (in onda per tre stagioni dal 1967 al 1970), e limitandoci alle serie contemporanee, si può ricordare Dio vede e provvede, con Angela Finocchiaro, prostituta in fuga che si rifugia in un convento sotto le mentite spoglie da consorella (sulla falsariga del canovaccio di Sister Act); rimasta nel convento anche a pericolo scampato, sotto il nome di Suor Amelia, aiuterà le suore, diventate la sua nuova famiglia, a salvare il convento che rischia di essere venduto per diventare un resort. Oppure Che Dio ci aiuti, fiction Rai che, arrivata (per ora) alla settima stagione, ha visto per le prime sei Elena Sofia Ricci protagonista nei panni di Suor Angela, un’ex carcerata che ha cambiato vita. Di puntata in puntata si susseguono personaggi che vanno e vengono, cambi di location (da un convento all’altro) e misteri da risolvere, con una narrazione degna della malleabilità narrativa di Grey’s Anatomy. È il “modello Pescia”. Un ciclone in convento è invece la serie tedesca (21 stagioni) sulle avventure di una congrega di suore in lotta per salvare il loro convento dalle mire del sindaco di Kaltenthal (città fittizia della Bassa Baviera).

La suora ha il vantaggio di essere un personaggio-sistema, con un nutrito bagaglio di caratteristiche già a suo carico. Ha persino già una divisa: è facilmente riconoscibile, è familiare e incarna una serie di valori acquisiti, pregressi e condivisi. Prefigura il percorso della storia di cui sarà protagonista, secondo il modello del viaggio dell’eroe: un sistema valoriale di regole entro cui muoversi, cercando di superarne i confini senza tradire la propria natura (vocazione). Il mondo ecclesiastico è già di per sé un sistema costruito sulle proibizioni, quindi uno scenario perfetto per uno sviluppo classico, come nelle favole più tradizionali. La proibizione dell’amore romantico, di quello carnale, della vanità, perfino della socialità, il conflitto tra mondo spirituale e mondo materiale si esplicita nel conflitto tra ideali e vita quotidiana. 

La suora ha il vantaggio di essere un personaggio-sistema, con un nutrito bagaglio di caratteristiche già a suo carico. Ha persino già una divisa: è facilmente riconoscibile, è familiare e incarna una serie di valori acquisiti, pregressi e condivisi. Prefigura il viaggio dell’eroe: un sistema valoriale di regole entro cui muoversi, cercando di superarne i confini senza tradire la propria natura (vocazione).

I conflitti da utilizzare a favore dello sviluppo finzionale abbondano, in un sistema di interferenza a doppio senso rispetto alla realtà: viene da chiedersi quanto queste suore siano familiari perché viste continuamente in tv e quanto perché presenti nel nostro vissuto al di qua dello schermo (la scuola, il catechismo): ne risulta un pastiche con un altissimo grado di pervasività e apparentemente senza soluzione di continuità tra simboli devozionali e laici. Attorno a questo nucleo sono state sviluppate innumerevoli declinazioni, dalla soap sudamericana (La donna del mistero) alle suore guerriere di Netflix (Warrior Nun). Tra le suore assurde, la recentissima Mrs. Davis, nuova serie tv di Damon Lindelof (Lost, The Leftovers), serie sci-fi con protagonista Sister Simone, suora in lotta contro la dittatura distopica dell’Intelligenza Artificiale (ovviamente una grande metafora su religione, fede, scienza e libero arbitrio). 

Misteri dolorosi 

Pur muovendosi in un panorama di maggiore libertà rispetto al passato, è evidente come il sentimento religioso rimane ancora oggi un tema estremamente sensibile, come sono evidenti i riflessi pavloviani che le sue manipolazioni sono in grado di attivare in una fetta incredibilmente ampia di pubblico, interessato o meno da questo sentimento. Negli anni sembra essersi venuta a formare una forma di religiosità cattolica di cortesia, apertamente sempre meno dedita alla pratica ma ancora molto ferma sulla forma, una forma di devozione “amarcord”, introiettata nella cultura collettiva in maniera profonda, istintiva e contraddittoria. Proprio Un ciclone in convento è stato oggetto di censura da parte della Rai, che aveva deciso di non trasmettere un episodio della decima stagione della serie in cui veniva celebrato un matrimonio gay, in chiesa, con il benestare delle consorelle: troppo per il Paese con la Santa Sede. È una tradizione di lungo corso quella che vede la televisione come osservata speciale dall’occhio vigile della Conferenza Episcopale Italiana: L’ultima tentazione di Cristo in Italia è stato trasmesso dalla tv per la prima volta nel 1993, da Odeon, l’anno prima avrebbe dovuto essere in palinsesto su Retequattro: “Berlusconi aveva comprato i diritti per la trasmissione nel 1989, ma in quei mesi stava progettando un suo protagonismo politico e dunque l’agenda veniva riscritta sulla base delle nuove esigenze, tra cui anche la necessità di porsi come la nuova forza che avrebbe, tra le altre cose, cercato di coagulare il voto dei cattolici moderati e conservatori” (da Crociate Contemporanee, La blasfemia tra film, varietà, serie televisive e animazione di Federico Ruozzi, saggio in La manipolazione del Sacro). Quello religioso è un argomento polemico per natura, il megafono dei media trova un’abbondanza di ingredienti per alimentare conflitti di opinione caratterizzati sempre da fortissime polarizzazioni. 

Misteri gloriosi 

E poi ci sono loro, le suore vere, perché non di solo fiction vive la televisione. C’è stata Suor Sorriso, nome d’arte per l’Italia di Jeanne-Paule Marie Deckers (in religione Suor Luc-Gabriel), diventata famosa come con una canzone incisa nel 1963, Dominique. Segue una storia triste che la vede allontanarsi dell’abito monacale, fino alla morte, suicida nel 1985, assieme a “un’amica”. Dominique, canzone maledetta, è non a caso, il brano tormentone della colonna sonora di AHS ASylum. Caso emblematico, che meriterebbe uno studio a sé, è Suor Cristina. La sua “parabola” aggiunge un tassello inedito, molto contemporaneo, a quello di altre sue colleghe illustri. Dopo aver vinto un talent canoro, The Voice, e aver inciso qualche album, dopo esser passata attraverso un talent di ballo, Ballando con le stelle, il colpo di scena dell’addio alla tonaca e, dopo una strategica comparsa su TikTok, la partecipazione all’Isola dei famosi, per ritrovare se stessa, sotto una nuova luce, sempre fedele al Signore ma pur sempre al centro dell’attenzione. Nel 2013 è andato in onda il primo e ultimo talent televisivo per scrittori, Masterpiece: tra le prove del programma – presieduto da una giuria formata da Giancarlo De Cataldo, Taiye Selasi e Andrea De Carlo – una prova di scrittura immersiva ispirata all’incontro tra i concorrenti e le suore di un convento di clausura. Quella che ruota attorno alla vita delle suore sembra essere quindi una realtà fertile ai meccanismi della narrazione. Questa attrazione (simpatia?!) che proviamo, oltre a quel senso di religiosità ormai ingrediente portante del nostro retroterra culturale (le nostre “tradizioni”), dipende forse da uno dei nostri istinti primari: la curiosità. Lo si nota proprio nel caso della fu Suor Cristina, tempestata di domande dagli altri concorrenti dell’Isola tra una prova ricompensa e un collegamento con la palapa: “ma sei vergine?, all’amore ci pensi?, figli ne vuoi?, ti piacciono gli uomini o le donne?”. E lei, da brava donna di fede, risponde non rispondendo: “credo nell’amore”.

Queste donne ci appaiono così familiari, nel bene o nel male, severe, umane, burbere, pasticcione, ma sono sempre avvolte da un velo di mistero, lontane per via di una distanza che rende la loro vita quotidiana così diversa dalla nostra, una dimensione che necessita di essere indagata, raccontata, fantasticata. Dopotutto, come ha scritto Eco nel Pendolo di Foucault, “L’incredulità non esclude la curiosità, la conforta”.


Lorenzo Peroni

Storico dell'arte con una lunga storia d'amore per il cinema e la scrittura, non sempre corrisposto. Scrive per Artslife e Doppiozero.

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