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Cultura Digitale

Il complesso mondo delle malattie “Internet-based”

Il morbo di Morgellons e la vulvodinia sono due patologie diverse, ma con una storia simile: entrambe sono nate e cresciute online prima di trovare un confronto con la comunità scientifica. Il loro percorso racconta un nuovo modo di percepire e affrontare la malattia nell’era di Internet.

L’accoppiata “malattie e Internet” di solito viene tirata fuori dal cilindro per parlare di dipendenza da Internet o al massimo per fare divulgazione e “normalizzare” questa o quella malattia. Quello di cui si parla molto poco, invece, è un fenomeno che riguarda alcune malattie che potremmo definire “Internet-based”, ovvero malattie a cui è stato dato un nome e uno storytelling prima sui social media, e solo dopo l’opinione pubblica e la comunità scientifica hanno iniziato a occuparsene. Sono malattie particolari, che condividono lo stesso ciclo di vita online: si inizia sempre con un nome mai sentito prima, che improvvisamente acquista una sua viralità; il nome porta con sé uno storytelling che lo definisce, e intorno a quello storytelling inizia a formarsi una community di utenti che si identificano con quella malattia, che di solito è “totalizzante” cioè investe e in un certo senso definisce ogni aspetto della vita dell’utente, sia online che offline.

La community ha un nemico: i medici che non vogliono riconoscere quella malattia. Ma non è propriamente vero che i medici non riconoscono quelle malattie, a volte le chiamano semplicemente in un altro modo, oppure sono la somma di una serie di disturbi psico-somatici, con procedure che cambiano da persona a persona: sono malattie di solito dovute a infiammazioni acute di origine autoimmune, e possono provocare dal prurito al dolore, fino a rendere impossibile un normale svolgimento della vita quotidiana. Ma, curiosamente, sembrano quasi avere più rilevanza sociale come fenomeni online che come malattie vere e proprie. In effetti, in virtù della loro forza online possono essere considerate veri e propri “content”, che hanno una loro evoluzione, sono soggetti al “ciclo dell’hype”, si propagano contagiando altri utenti e hanno effetti imprevedibili anche nel mondo reale. Qui parlerò di due malattie “Internet-based” in particolare: il morbo di Morgellons e la vulvodinia, che benché abbiano tutte le caratteristiche suddette, hanno poi avuto due approdi completamente diversi. Il morbo di Morgellons, infatti, è stato rigettato nelle periferie di Internet, cadendo praticamente nell’oblio. La vulvodinia, invece, ha avuto decisamente più successo online e offline, e il termine è stato ufficialmente inserito nell’ICD-11 dell’OMS. Esiste, quindi, un nesso concreto tra la comparsa di certi disturbi psicosomatici, che poi sfociano in malattie vere e proprie, e la nostra esistenza online? Alcune malattie di cui si parla oggi, dovrebbero essere considerate principalmente dei veri e propri fenomeni online, che poi hanno trovato la loro strada anche nel mondo reale?

La patologia come content

Ho iniziato a pormi queste domande, e a pensare che Morgellons e vulvodinia avessero la stessa radice ma approdi diversi, dopo aver letto Esami di empatia di Leslie Jamison (NR edizioni, 2021), una raccolta di “saggi sulle sofferenze degli altri” che tentava di riassegnare un senso al concetto di empatia, una parola usata e abusata online fino a essere svuotata di significato, un po’ come “resilienza” e “gentilezza”. Leslie Jamison, per mettere alla prova la sua empatia, era andata a parlare con persone affette dal “morbo di Morgellons”; gli ultimi saggi invece parlavano proprio del “dolore femminile”, ma non usava mai il termine “vulvodinia” perché, principalmente, i saggi risalgono a prima del boom online del termine (che si è verificato più in Italia che negli Stati Uniti). Il morbo di Morgellons nasce ufficialmente nel 2001 su un forum online, dai post di una ex tecnica di laboratorio e con la laurea in biologia, Mary Leitao. A essere malato in questo caso era suo figlio di due anni, soggetto a strane dermatiti che nessun medico riusciva a diagnosticare, perché dai controlli il bambino poi risultava fisicamente sano. Mary Leitao, grazie ad alcune ricerche che aveva fatto online, aveva scoperto questo “morbo di Morgellons”, descritto in un articolo di una rivista medica francese del XVII secolo e l’aveva associato alla malattia di suo figlio. Si tratterebbe di una particolare forma di dermatite, che può causare prurito e dolore, nonché piaghe da grattamento: dalle piaghe uscirebbero degli “strani filamenti”, delle fibre di provenienza incerta, dei “granuli neri”, che sarebbero poi la causa del derma infiammato. Il sospetto dei medici in realtà era che Mary Leitao soffrisse di Münchausen by proxy, cioè che “ammalasse” apposta il figlio per ottenere attenzioni. Nonostante ciò, la signora insieme al marito (anche lui impiegato in ambito medico) aveva creato un’associazione e continuava a “divulgare” online questa malattia che i medici secondo lei si rifiutavano di diagnosticare. Il suo impegno e carisma online hanno portato alla creazione di una community di “morgies”, persone affette da morbo di Morgellons, che con gli anni si è ingrandita, per poi regredire ma comunque è ancora esistente. Sono le stesse persone che poi è andata a intervistare Leslie Jamison: la malattia continua a non essere veramente riconosciuta dalla comunità scientifica, se non come “parassitosi delirante”, un mix tra dermatite dovuta a una reazione autoimmune fuori-scala e psicosi paranoiche di vario grado. La cura infatti è un mix di anti-infiammatori e antipsicotici, più l’invito a seguire uno stile di vita salutare evitando le fonti di stress. Non c’è un protocollo univoco, alcuni guariscono totalmente e altri mai. Alcuni “morgies” hanno finito per fidarsi dei medici e hanno seguito le loro cure, mentre altri non credono alla diagnosi dei medici: sono tutte persone che comunque nella realtà convivono con una malattia psico-somatica che rende la loro esistenza estremamente difficoltosa e invalidante, nonché dolorosa per via delle piaghe. Alcuni di loro finiscono per scarnificarsi intere parti del corpo, alla ricerca di filamenti e granuli.

Se le persone affette da morbo di Morgellons sono state respinte ai margini di Internet e della società, la vulvodinia ha avuto molto più successo, prima online e poi offline, arrivando fino alle agende politiche.

Avevo già sentito parlare del morbo di Morgellons in programmi televisivi come Mistero e Voyager, che intrattenevano parlando di pseudoscienze e cospirazioni. Dicevano che queste persone pensavano di essere state infettate dagli alieni, o dalle scie chimiche, e che i medici non li curassero perché in combutta con gli alieni o con governi ombra che facevano esperimenti sulle persone. Nei forum, i morgies si davano dei consigli per cure fai-da-te, cercavano l’attenzione dei media. Alcuni di loro sono arrivati a bere l’Ivermectina, un anti-parassitario per animali. Osservazione: è lo stesso (pericolosissimo) anti-parassitario che poi è stato usato anche dalla community dei no-vax contro il Covid. La stampa ufficiale e le altre community online sono sempre state poco empatiche verso i “morgies”, considerati dei picchiatelli, a cui comunque era meglio non dare troppa attenzione. Il New York Times titolò “malattia o delirio?”; sul sito italiano del CICAP ancora oggi si trova il poco empatico titolo “malattia mentale o mistero preoccupante?”. La comunità scientifica continua a considerare la malattia con il nome ufficiale di “parassitosi delirante”, che in virtù della sua viralità online ha causato “un’ondata di autodiagnosi dovuta a un tipo di isteria di massa proliferata su Internet”. Nonostante il momento di hype, il morbo di Morgellons come content alla fine è stato risospinto verso le periferie di Internet ed è caduto nell’oblio internettiano.

Performance virale

La vulvodinia, a differenza del morbo di Morgellons, ha avuto certamente più popolarità e successo in contesti mainstream. Nessuno si sognerebbe mai di titolare un articolo sulla vulvodinia come “malattia o delirio?”. Anche la vulvodinia ha raccolto intorno a sé una community online ma è molto più grande e variegata di quella dei “morgies”; è una community che si interseca con quella del femminismo performativo e dell’attivismo online. Anche in questo caso i medici sono dei nemici: non vogliono riconoscere la malattia, perché sono “permeati di cultura patriarcale”, che impedirebbe loro di prendere sul serio il dolore provato nella zona genitale dalle donne che ne soffrono. Online si trova una quantità enorme di articoli che hanno sempre lo stesso titolo: “Vulvodinia: ne soffre una donna su sette”, oppure “la sperimentano il 12-15% di donne nella loro vita”, senza però che venga mai specificata l’origine di queste statistiche. Nella maggioranza dei casi sono a tutti gli effetti semplici articoli “clickbait” che si copiano tra di loro, ma rappresentano su Google una massa di content davvero importante: per chi non ne sa niente e si trova a googlare potrebbe effettivamente sembrare che ci sia una epidemia di vulvodinia non riconosciuta dalla scienza ufficiale. Alcuni siti di associazioni linkano invece una ricerca scientifica del 2013, fatta su un campione di circa 15mila donne americane e le statistiche verrebbero da lì, ma il campione sarebbe molto più ristretto e localizzato rispetto a quello che si dice negli articoli sulla diffusione della malattia. Anche per la comparsa online del termine “vulvodinia” c’è uno starting-point, facilmente verificabile con Google Trends: il 2020, con un picco nel 2022 quando viene presentata e depositata al Senato la proposta di legge scritta dal “Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo”. La proposta di legge ha un ambassador: l’influencer Giorgia Soleri, all’epoca fidanzata con Damiano David.

Sono tutte queste “malattie dell’attenzione” con sfoghi reali di vario tipo? Sono state aggravate da Internet? Internet aumenta il contagio?

In effetti, la viralità della vulvodinia è stata ulteriormente veicolata online da Giorgia Soleri e poi anche da altre influencer e tiktoker online, tutte perlopiù inserite a vario grado nelle community del femminismo performativo e dell’attivismo online, in lotta contro la mentalità patriarcale dei medici e della società. La vulvodinia è diventata una di quelle parole chiave in grado di attrarre l’attenzione se inserita all’interno di qualsiasi content, che sia articolo di giornale, video o card su Instagram. A Giorgia Soleri viene assegnata anche una rubrica di salute su un quotidiano nazionale, “per la divulgazione di malattie invisibili”.

Il ruolo di Internet

Insomma, se le persone affette da morbo di Morgellons sono state respinte ai margini di Internet e della società, la vulvodinia ha avuto molto più successo, prima online e poi offline, arrivando fino alle agende politiche. In entrambi i casi tutto nasce da “un salto della specie” che però avviene online; al posto di virus e batteri ci sono le parole chiave, che risolvono una sorta di “irrequietezza da mancanza di categorizzazione”. Il fatto che la malattia abbia finalmente “un nome” dà conforto agli utenti di queste community. In entrambe le malattie sembra venire rigettata una causa endogena, stress e problemi mentali: il problema viene dall’esterno, è “reale”. “La realtà qui significa qualcosa di diverso per tutti”, scrive Leslie Jamison nel suo reportage, “a volte sono semplicemente tutti confusi, i medici e i pazienti”. Se pure entrambe le malattie hanno origine incerta, sono comunque entrambe invalidanti. Le persone affette da Morgellons vivono in uno stato costante di paranoia, passano le giornate a cercare ossessivamente strane fibre nella loro pelle, non riescono a concentrarsi su altre attività come il lavoro. Alcuni di loro finiscono con parti del corpo completamente scarnificate. Anche la vulvodinia impedisce a molte donne una vita normale, motivo per cui è stato richiesto l’inserimento in “malattie croniche e invalidanti”. Solo che il Morgellons è molto più difficile da “romanticizzare” attraverso determinate aesthetic online, e non ha avuto ambassador.

Ci sono molte altre malattie che come “content online” funzionano piuttosto bene: creano influencer, fanno diventare virali video e contenuti di vario genere. Hanno così tanto successo da finire nelle agende politiche. Questo ha portato a effetti imprevedibili: alcune persone hanno iniziato a fingere le loro malattie online. Sono aumentati i casi di Münchausen e di Münchausen by proxy: si finge la malattia per il content e le performance online ma comunque la malattia psichiatrica con effetti sul corpo, esiste. Si è iniziato a parlare anche di Transhausen by proxy: mamme che iniziano transizioni di genere ai loro bambini, documentando tutto attraverso i loro profili online. Sono tutte queste “malattie dell’attenzione” con sfoghi reali di vario tipo? Sono state aggravate da Internet? Internet aumenta il contagio? Al momento non ci sono risposte, solo la speranza che la comunità scientifica incrementi ricerche e studi su questi nessi e nel caso in cui la risposta dovesse essere affermativa ci si dovrà scontrare con le piattaforme che sono imprese private e che mai ammetterebbero cose del genere se non quando messe alle strette. Nel frattempo “qui la realtà significa qualcosa di diverso per tutti”.


Laura Fontana

Lavora da più di dieci anni come esperta di comunicazione digitale per brand nazionali e internazionali. Si occupa di società digitale e analisi del web. Scrive di internet e pop culture, influencer e creator economy su Rivista Studio e altri magazine.

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