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Lontano dal nostro sguardo, negli ultimi anni si sta registrando un boom dell’industria audiovisiva africana. Piccolo viaggio da Nollywood al ruolo di Netflix, passando per il successo del Sudafrica.

Vista spesso con sguardo miope e stereotipato, l’offerta audiovisiva proveniente dal continente africano è stata a lungo snobbata dal pubblico occidentale, faticando a imporsi sul mercato internazionale. Ma le cose stanno cambiando e la perenne caccia ai contenuti da parte degli operatori streaming ha acceso i riflettori su un’industria straordinariamente creativa e dinamica, che al momento fattura solamente circa 5 miliardi di dollari all’anno dando lavoro a 5 milioni di persone, ma che ha tutte le potenzialità per arrivare a 20 miliardi di dollari all’anno e 20 milioni di posti di lavoro.

Il ruolo chiave di Netflix

Soprannominata Nollywood, la Nigeria gode da anni di un proprio modello produttivo e distributivo, gareggiando con le più famose Hollywood e Bollywood per quantitativo di titoli realizzati (circa 2.500 film all’anno). Anche il Sudafrica vanta una lunga tradizione cinematografica e nel campo dell’animazione. Il Kenya, dal canto suo, produce film di successo da quasi un decennio, come Nairobi Half Life (vincitore dell’Afi Festival nel 2012), Kati Kati (premiato al Toronto Film Festival nel 2016) e Supa Modoas (vincitore del Festival del Cinema di Berlino nel 2018), per citarne solo alcuni.

Eppure, è stato solo l’ingresso sul territorio di Netflix nel 2019 a segnare un punto di svolta. Con l’acquisto di un ampio catalogo di film da Angola, Camerun, Kenya, Mozambico, Zimbabwe, il gigante dell’online ha tirato fuori la cinematografia africana da un ambito principalmente festivaliero e di nicchia, per offrirlo all’occhio sempre più bulimico del pubblico di massa. Inoltre, la scelta di commissionare fiction originale ad hoc per il territorio ha dato spazio a nuovi talenti e spinto verso una maggior “freschezza” e qualità dell’immagine: elementi che hanno tolto alla fiction africana la sua patina local, proiettandola sempre di più verso l’internazionalizzazione ed ampliandone il target di riferimento. In tal senso Netflix ha rivestito un ruolo chiave anche sotto il profilo linguistico. Si pensi al Sudafrica, dove si parlano undici lingue ufficiali. Le emittenti locali fino all’arrivo di Netflix avevano sempre realizzato contenuti indirizzati a singoli gruppi linguistici, ma il gigante dell’online ha abituato la popolazione all’utilizzo di sottotitoli, superando la barriera della lingua e rendendo così i contenuti accessibili non solo al pubblico globale, ma anche a tutti i diversi gruppi linguistici del territorio.

La scelta di commissionare fiction originale ad hoc per il territorio ha dato spazio a nuovi talenti e spinto verso una maggior “freschezza” e qualità dell’immagine: elementi che hanno tolto alla fiction africana la sua patina local, proiettandola sempre di più verso l’internazionalizzazione ed ampliandone il target di riferimento. E Netflix ha rivestito un ruolo chiave anche sotto il profilo linguistico.

Risultato: la richiesta di nuovi contenuti è aumentata esponenzialmente, non solo da parte di Netflix e degli altri player stranieri (tra cui figura da maggio 2022 anche Disney+), ma pure da parte delle emittenti e degli Svod autoctoni. I produttori locali intensificano gli sforzi per produrre progetti di prestigio, sollevando l’asticella nella qualità della realizzazione e attingendo a un patrimonio narrativo tanto ricco quanto poco sfruttato per dare vigore a generi e formati già noti. Inoltre, la pandemia e il recente aumento nella diffusione della connettività sul territorio, hanno in qualche modo livellato il campo da gioco, rendendo più facile per i produttori africani collaborare con talenti internazionali tramite Zoom, Google Meet e altre piattaforme senza dover sostenere viaggi costosi per presentare i propri progetti. 

L’interesse delle case di distribuzione internazionali per il Sudafrica

Dopo Israele, Turchia e Corea, l’Africa sembra dunque avere tutte le carte in regola per imporsi come nuovo hot spot creativo. A guidare la carica è lo stato del Sudafrica, in prima linea nella produzione seriale con 42 nuovi titoli di fiction tra il 2021/22 e altri 15 già in lavorazione. Una così vasta produttività ha destato l’attenzione di alcune tra le più importanti case di distribuzione internazionali, che hanno iniziato ad aprire i loro cataloghi alla fiction proveniente da questo Paese, nella speranza di individuare per prime il nuovo fenomeno televisivo da vendere in tutto il mondo, la nuova gallina dalle uova d’oro. Si cerca soprattutto, ma non solo, nel mondo del crime e si stringono in particolare rapporti con il canale M-Net e lo Svod locale Showmax, entrambi operati dalla società di broadcasting MultiChoice, e sicuramente degni di nota per quantità e qualità dei contenuti.

Paradigmatico è il caso di Fremantle, che nel 2021 ha scelto di rappresentare in catalogo il poliziesco Reyka di M-Net e poi ha stabilito con quest’ultimo anche un deal per la coproduzione di nuovi titoli. A detta di Christian Vesper, direttore creativo di Fremantle in ambito drama, si è trattato di un lento corteggiamento. “Abbiamo trascorso del tempo a conoscere produttori ed emittenti locali in tutto il territorio, poiché conoscere il mercato locale è fondamentale”, afferma. “Abbiamo lavorato a progetti in Sudafrica, ma stiamo guardando in tutto il continente. È un panorama estremamente diversificato, quindi vogliamo raccontare una vasta gamma di storie a un pubblico molto diverso”. Anche il distributore tedesco Global Screen ha deciso di scommettere su un titolo del canale M-Net: il giallo al femminile Recipes for Love and Murder, coprodotto dallo Svod americano Acorn TV. Dal canto suo, l’altro distributore tedesco Zdf Studios annovera tra i progetti in cantiere Dark Hearts, serie thriller su una giornalista che deve trovare l’assassino di suo fratello scavando nel mondo contraddittorio del Sudafrica post-Apartheid. E tra i titoli ancora in fase di sviluppo figura anche Paradys. Vincitrice del Best Project Award al Series Mania Forum del marzo 2022, è considerata tra le serie più costose distribuite dall’israeliana Keshet International. Anche qui siamo di fronte a un crime. Ma, a differenza delle rappresentazioni stereotipate cui siamo da sempre abituati, i buoni sono due detective neri inviati a indagare su una serie di omicidi in una piccola comunità rurale dove tutti gli abitanti, e dunque i possibili cattivi, sono bianchi. La francese Studiocanal ha scelto invece di allontanarsi dal poliziesco e per il prossimo futuro punta sulla mitologia precoloniale del Sudafrica con Blood Psalms, storia di una feroce regina africana che combatte contro una profezia apocalittica, guidando il suo popolo attraverso le contraddizioni della politica e una serie di guerre infinite.

Il catalogo più ampio è sicuramente quello della casa di distribuzione anglo-americana Arrested Industries (ex Fugitive TV). Agenzia indipendente, sta conducendo da diverso tempo un’operazione di scouting da paesi meno battuti e ha deciso di focalizzare l’attenzione sull’offerta proveniente dal Sudafrica. Due i titoli più interessanti, entrambi, ça va sans dire, realizzati per M-Net: il thriller Lioness, su una donna benestante ingiustamente accusata di una grave frode commessa dal marito, e Legacy, soap sulle lotte intestine che si scatenano in seno a una famiglia per accaparrarsi l’impero del patriarca. 

Crime e storie al femminile 

Da questa prima ricognizione appare evidente come la bilancia delle grandi case di distribuzione internazionali penda a favore di thriller e polizieschi. Il crime sudafricano interessa soprattutto per la sua capacità di rendersi immediatamente riconoscibile, di raccontare non solo un’indagine ma anche le sfide e contraddizioni di un paese ancora caratterizzato dal fantasma dell’apartheid attraverso nuovi stilemi e setting innovativi. Che si tratti di vasti campi di canna da zucchero come in Reyka o delle zone desertiche dell’Orange River come in Paradys, ci troviamo quasi sempre di fronte a scenari sconfinati e ad ambientazioni millenarie che il pubblico occidentale è stato finora abituato a vedere solo con occhi da tour operator. Ma, anche se in positivo, un pregiudizio resta pur sempre tale, e nel crime sudafricano la geografia del paesaggio cambia di segno, insegnandoci che anche la classica meta da viaggio di nozze può nascondere segreti e trasudare morte e violenza.

Dopo Israele, Turchia e Corea, l’Africa sembra dunque avere tutte le carte in regola per imporsi come nuovo hot spot creativo. A guidare la carica è lo stato del Sudafrica, in prima linea nella produzione seriale con 42 nuovi titoli di fiction tra il 2021/22 e altri 15 già in lavorazione. E una così vasta produttività ha destato l’attenzione di alcune tra le più importanti case di distribuzione internazionali.

Altro elemento molto presente, non solo nel crime ma in tutti i generi, è il protagonismo delle figure femminili: donne forti, assetate di giustizia, quasi sempre reduci da una situazione di sottomissione nei confronti del “maschio” o in lotta per affrancarsi e provvedere da sé al proprio riscatto morale. In Reyka, per esempio, la protagonista è stata rapita da piccola e abusata per anni prima di riuscire a scappare dal suo aguzzino e diventare una detective. In Savage Beauty di Netflix, Zinhle Manzini è una donna in cerca di vendetta dopo che un’azienda di cosmetici ha testato dei prodotti tossici sulla sua pelle da bambina, solo perché era povera e viveva in strada. 

Ma gli esempi sono davvero molti. Donne sfruttate attraverso la tratta del sesso con l’Europa, giovani studentesse che devono lottare con i pregiudizi razziali, affascinanti spie che indagano sui loschi affari della politica: la donna africana rialza la testa e si racconta al mondo attraverso cinema e serie tv. A detta di Dorothy Gettuba, responsabile degli original africani per Netflix e capo della Film Commission dal 2019, “le voci delle donne sono state emarginate o messe a tacere per troppo tempo. Stiamo lavorando con tante donne sia davanti sia dietro alla telecamera per dare loro l’opportunità di raccontare le proprie storie e affrontare in maniera innovativa tematiche come la discriminazione di genere e l’empowerment femminile. Le storie africane da molto tempo sono state raccontate dall’esterno, da terre lontane, ma ora siamo capaci di raccontarle dal nostro punto di vista. Vogliamo storie vere e autentiche. E constatiamo che più una storia è specifica sull’Africa, più il mondo la apprezzerà”.

Tutte queste storie, Dorothy Gettuba ne è convinta, possono contribuire a fare conoscere meglio l’Africa superando la barriera del razzismo, perché sono rese coinvolgenti – al di là della nazionalità di ciascuno – dal potere dello storytelling. Quanto performanti possano rivelarsi le serie africane resta difficile a dirsi, ma in un continente in cui le emittenti a corto di liquidità hanno imposto per anni un tetto alle ambizioni dei creativi, i produttori ora godono di nuove possibilità. C’è un’ondata di storie africane che offrono una nuova prospettiva e una nuova visione del mondo, e chissà che il prossimo Squid Game non arrivi proprio da qui.


Sarah Rezakhan

Specializzata in semiotica e iconografia dei media, ha pubblicato diversi saggi su riviste specializzate e dal 2008 lavora presso l’Osservatorio Internazionale Mediaset come analista di mercati televisivi internazionali.

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