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Tv e digitale

VivaRaiPlay. Davvero?

Dopo una manciata di settimane, è tempo di un bilancio del coraggioso esperimento Rai con Fiorello. Cosa resterà del più importante titolo italiano di intrattenimento pensato per lo streaming?

Finita l’intervista in stile late-night show, il conduttore rientra in studio dalla porta di servizio per riprendere lo spettacolo in diretta. Proprio in quel momento un uomo anziano, con indosso un blazer trapuntato blu, sta attraversando il palco con il piglio di chi ha deciso di andarsene dalla festa mentre il dj è sul balcone a fumarsi una sigaretta. Il conduttore è sorpreso, lo saluta e gli chiede “Che fa, se ne va?”. L’uomo, convinto che la trasmissione sia finita, annuisce e insiste per uscire dall’inquadratura. Ma il conduttore, vero animale da palcoscenico, lo prende sottobraccio e lo riporta sotto i riflettori: “Torni a sedersi, su”. Il pubblico ride. Non era una gag, è già una gag. L’uomo adesso è in imbarazzo, è rosso in viso, si abbottona il blazer. Il conduttore indaga e scopre che si tratta di un ex consigliere della Rai (“Staderini! Ma lei è famosissimo!”). Il conduttore ne approfitta per buttarla in politica (“allora, questo governo?”), finché l’uomo in blazer capisce che c’è il rischio di essere coinvolti in qualche mash-up con Giuliano Sangiorgi, la signora delle pulizie o altra gente a caso che passava per via Asiago: l’unica cosa da fare è sedersi e tornare nell’ombra. Applausi. Un momento di grande, avremmo detto una volta, televisione. Un fremito che mette in discussione gli schemi provati e riprovati in allenamento. Doveva essere un cross sbilenco, e invece è andato dritto in rete. Adesso lo spettacolo può riprendere, il conduttore non trattiene l’entusiasmo: “Ragazzi, non c’è programma più bello di VivaRaiPlay!”.

Rosario Fiorello è unico: canta, balla, conduce, fa monologhi, duetta, intrattiene come nessuno sa fare. Anzi: come nessuno può fare. Rosario Fiorello gioca un campionato tutto suo, è unico nel senso che c’è solo lui. Non ha avversari. Se, per fare un esempio, Roger Federer è il più grande anche perché ha dovuto fare i conti con indomiti robottini sottrattori di Slam, Rosario Fiorello è il più grande perché ha fatto la storia della tv senza nemmeno il pungolo di un competitor, riuscendo a reinventare di continuo le regole di un gioco – il varietà – che nessuno sa più cos’è perché nel frattempo gli altri sono tutti morti. Come per ogni vero talentuoso, sembra non ci sia alcuno sforzo in quello che fa. In realtà dietro c’è uno studio matto e di sacrificio, un lavoro enorme per stare al passo con i tempi, e soddisfare una versatilità fuori dal comune.

Ci vediamo quando vuoi, dove vuoi

Del tutto logica dunque la scelta di affidargli il ruolo di psicopompo al contrario: un Caronte capace di traghettare i presunti morti, cioè il pubblico della tv generalista, nel regno dei presunti vivi, cioè questo “misterioso streaming di cui tutti parlano”. Per imbarcare l’esercito di ottuagenari riottosi, a cui non bastava il numero verde gratuito fornito dalla Rai (“Scusi, in che senso non serve più il telecomando?”), Rosario Fiorello ha allestito un oggetto multiforme, VivaRaiPlay!, in onda nell’autunno del 2019 subito dopo il Tg1 delle 20 (in anteprima per cinque puntate su Raiuno e poi esclusivamente sulla piattaforma RaiPlay, tre volte a settimana). 

Rosario Fiorello è unico: canta, balla, conduce, fa monologhi, duetta, intrattiene come nessuno sa fare. Anzi: come nessuno può fare. Rosario Fiorello gioca un campionato tutto suo, è unico nel senso che c’è solo lui. Non ha avversari. Come per ogni vero talentuoso, sembra non ci sia alcuno sforzo in quello che fa. In realtà dietro c’è uno studio matto e di sacrificio, un lavoro enorme per stare al passo con i tempi, e soddisfare una versatilità fuori dal comune.

VivaRaiPlay! aggiorna e remixa i grandi titoli televisivi e radiofonici di Fiorello degli anni Zero e Dieci, con qualche lustrino in meno e più tempo da perdere. È un varietà, con un corpo di ballo part-time, ma anche uno show musicale, uno spettacolo di stand-up, parodia, satira light senza grassi e senza zuccheri, esercizio di stili e riscritture. Intrattenimento purissimo, non tagliato con robaccia come nostalgie, omaggi, paternalismi, autopromozioni. Niente passato, niente futuro, solo il perfetto presente: passano i decenni, ma Fiorello sembra sempre il famoso conduttore giovane che da anni la tv finge di cercare (“eh, una volta qui era tutta tv dei ragazzi”). Al tempo stesso ha anche l’autorevolezza del Decano, il nume tutelare che guarda tutti dall’alto. Uno che finge di inginocchiarsi per farsi benedire da Sua Maestà Pippo Baudo quando in realtà è lui a battezzare gli altri, a patto che stiano sempre un poco di lato e che facciano “qualcosa che non ci aspettiamo noi stessi”. La lista di gente disposta a mettere in pausa il proprio ego per andare da Fiorello è lunghissima: Calcutta, Tommaso Paradiso, Marracash, Achille Lauro, Paola Cortellesi, Michelle Hunziker, Emma Marrone. Sembra il cast di un film di Muccino, ma in positivo. Un consenso inattaccabile, scolpito a suon di duetti, autotune, battute, sorrisi e poi canzoni, sempre canzoni, soltanto canzoni. Ha ragione dunque Fiorello quando dice “non c’è programma più bello di questo”? Per rispondere dobbiamo prima fare i conti con l’elefante nella stanza. 

Entro ed esco da ogni display

Nell’ennesimo collegamento con il Tg1 e l’esausta Emma D’Aquino in perenne attesa di gag, è lo stesso Fiorello a farsi le domande e darsi le risposte: “Ma sempre qua stai? Eh sì, perché noi siamo piattaforma e dobbiamo venire da voi, nella tv generalista, per essere promossi”. La tv generalista. Odiata e derisa, sempre in procinto di morire ma ancora sfruttata, prima come volano e poi come modello su cui costruire il cosiddetto nuovo che avanza. Se ancora non esiste uno “specifico da piattaforma”, di sicuro esiste uno specifico generalista che ha forgiato intere generazioni e da cui, a quanto pare, non si può prescindere. È lì che va a cercare ispirazione Fiorello per VivaRaiPlay!, vuoi per ammirazione, vuoi perché è la cosa che gli riesce meglio. Innanzitutto la diretta, e poi i contenuti, anzi il Contenuto con la maiuscola, gli ospiti e la grande varietà di generi e soluzioni creative (su tutte: Vincenzo Mollica in stile Muppet). La sola differenza sta nel tentativo palese di utilizzare la risorsa “tempo” in maniera diversa, come emerge soprattutto nel segmento off, dopo i titoli di coda. Nel dialogo costante a tre voci tra se stesso, la tv tradizionale e quella del futuro, non si contano i riferimenti lanciati da Fiorello a ciò che non si deve fare su Raiuno e ciò che si può fare su RaiPlay, tipo sedersi sui gradini o togliersi le lenti a contatto in un infinito piano sequenza, per poi magari farsi un’altra cantatina in completo relax. 

Ma i famosi tempi televisivi esistono per ovvie ragioni: se è vero che in tv l’imperativo è non fare scappare gli spettatori, è altrettanto vero che il luogo in cui è più facile “cambiare canale” è proprio lo streaming. L’esito è paradossale: la striscia di 20 minuti andata in onda su Raiuno è riuscita ad aggiornare il linguaggio generalista grazie al ritmo, alla velocità e alla condensazione di numeri di spettacolo. Sembrava un programma già montato, editato, post-prodotto. Per contro, la versione trasmessa su RaiPlay con la durata più o meno di un’ora e venti, ha finito per mostrare un fiato corto: se la forza di Fiorello è fare un intrattenimento sorprendente in cui non sai mai quello che sta per succedere, perché stretchare questo modello per una fruizione così volubile e volatile come quella in streaming? Esiste qualcuno che, in diretta o in differita, in metropolitana o in bagno, sia riuscito a vedere per intero ogni puntata di VivaRaiPlay! senza distrarsi per mettere un po’ di cuori a caso su Instagram? Non siamo forse tutti un po’ Staderini, che a un certo punto “piglia e me ne vado”?

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Fiorello e Calcutta

Nemmeno la visione delle singole clip può giustificare questo enorme spiegamento di forze e investimenti. Proprio per la sua ambizione di programma a vocazione generalista, iper-scritto, iper-confezionato, iper-centralizzato attorno al genio carismatico, VivaRaiPlay! è un testo che va fruito per intero. O niente. Estratto per estratto, allora tanto vale andare su Mediaset Play a cercare vecchi pezzi di Karaoke (quando Fiorello aveva il codino e una sconosciuta Camila Raznovich cantava We Are the World con un giubbotto rubato al principe di Bel-Air).

“Io sono rispettoso del pubblico, il pubblico merita il mio impegno!”

Il grande intrattenimento in bianco e nero di una volta rispondeva a un progetto pedagogico ben preciso: dare spettacoli di qualità a un pubblico che in molti casi non aveva i mezzi per andare a teatro o al cinema, per portarlo verso l’alto ed educarlo così nel senso più nobile del termine. I tempi sono cambiati, all’epoca c’era solo un canale e oggi esistono infinite forme di divertimento. Ma la televisione c’è ancora, è viva, come è ben vivo il pubblico che magari non vuole proprio saperne dello streaming e per cui la tv è ancora necessaria, un pubblico che continua a non avere i mezzi per andare a teatro o al cinema e che si meriterebbe ancora spettacoli di alta qualità (in cambio, ricordiamolo sempre, di un canone obbligatorio). L’aspetto più interessante di VivaRaiPlay! non è dunque quello che è, ma quello che avrebbe potuto essere: la migliore tv generalista che non abbiamo mai avuto. Un epico programma da seconda o terza serata, il late-night show all’italiana da citare nei libri, un oggetto alieno in grado di far respirare un deserto in cui un titolo come Battute si trova a essere la novità più fresca dell’ultimo biennio.

La versione trasmessa su RaiPlay con la durata più o meno di un’ora e venti, ha finito per mostrare un fiato corto: se la forza di Fiorello è fare un intrattenimento sorprendente in cui non sai mai quello che sta per succedere, perché stretchare questo modello per una fruizione volubile e volatile come quella in streaming? Esiste qualcuno che, in diretta o in differita, in metropolitana o in bagno, sia riuscito a vedere per intero ogni puntata senza distrarsi per mettere un po’ di cuori a caso su Instagram?

Al limite la Rai avrebbe potuto seguire una soluzione ibrida, pescando dall’enorme serbatoio della Factory Fiorello e distribuendone un po’ sulla vecchia tv e un po’ sulla piattaforma (magari con un taglio contenutistico più mirato). Si è invece scelto di privare il progetto di quella forza dirompente che solo “la tv fatta per la tv” sa avere, utilizzandolo come la telepromozione più dispendiosa della storia. E, guardando ai numeri, forse nemmeno troppo conveniente. Se le puntate trasmesse su Raiuno hanno fatto in media circa 5,8 milioni di spettatori e il 23%, i dati digitali delle prime settimane su RaiPlay sono meno confortanti. Passata la sbornia dei primi giorni, tutti gli indicatori segnalano un calo progressivo. In particolare, il dato di ascolto nel minuto medio digitale dello streaming live (di fatto il valore più vicino a quello della tv tradizionale) passa da 18mila device (associati ad almeno una persona) della prima puntata ai 9mila della dodicesima. Va aggiunto il consumo on demand, vero cuore dell’offerta del catalogo, che posiziona stabilmente VivaRaiPlay! tra i primi 10 brand televisivi per tempo speso. Il dato cumulato, streaming e on demand, del primo episodio sale così a 40mila device nel minuto medio nella prima settimana – anche se poi cala per la decima puntata a poco più di 21mila nella settimana. Sono numeri notevoli per una piattaforma, ma rimane la sensazione di una sproporzione notevole tra l’investimento e le aspettative da un lato e la capacità di lasciare davvero un segno dall’altro. 
Solo il tempo dirà se sia stata una mossa giusta prendere il numero uno e mandarlo alla conquista di terre vergini mentre l’assedio era ancora in corso, e se un tale sforzo sia servito a strutturare l’abitudine a un consumo diverso, soprattutto per gli spettatori di mezzo, né troppo giovani né troppo vecchi. Di sicuro VivaRaiplay! ha dimostrato che un’altra tv è possibile: una tv in cui il mondo dello spettacolo italiano smette di essere provinciale e accetta di giocare, e divertirsi, anche solo per un’inquadratura, senza nulla in cambio; una tv in cui finalmente abbia senso il termine di produzione, come nei migliori prodotti discografici o editoriali, con un’idea precisa di show, dai testi alle performance passando per gli effetti speciali. L’intero blocco costruito attorno al numero Felici così, eseguito da Fiorello e Anna Foglietta, è tra le cose migliori in lingua italiana viste recentemente. Ed è un vero peccato che il pubblico generalista se lo sia perso, così come le altre decine di ore di splendido intrattenimento. In un momento in cui la televisione si va strutturando sempre più come la somma di cataloghi tutti uguali e di archivi dell’eterno riposo senza distinzione tra repliche e inediti, c’è una domanda che rimane in testa, come un ritornello che non se ne vuole più andare: ne valeva davvero la pena?


Nico Morabito

Palermitano e parigino. Coautore dei film La Dernière Séance (presentato alla Settimana della critica della Mostra di Venezia 2021 e vincitore del Queer Lion) e Fuori Tutto (Miglior documentario italiano al Torino Film Festival 2019). Ha collaborato alla scrittura del film Le Favolose (presentato alle Giornate degli autoridella Mostra di Venezia 2022). È professore a contratto all’Università di Paris Nanterre, dove tiene un corso di scrittura audiovisiva dal 2019.

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