A volte il flop si dimentica, oscurato dai ricordi del successo che ha seguito quei primi passi incerti. È il caso di un programma simbolo degli anni Novanta, raccontato dalla viva voce dei protagonisti.
Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 24 - Flop. Il fallimento nell'industria creativa del 03 dicembre 2018
Karaoke debuttò su Italia 1, alle 20, il 27 settembre 1992. Il programma nasceva da un’idea di Fatma Ruffini. “Un giorno stavo in Olanda, in un locale, e c’era un televisore acceso: mi colpì una donna in uno spot che faceva cantare le persone su un barcone, per vincere il premio offerto da uno sponsor. Poco dopo, tornata in Italia, ho letto un articolo che parlava dei locali karaoke. Il karaoke era una forma d’intrattenimento canora, tipica dei locali giapponesi; e non c’erano programmi televisivi o radiofonici che lo proponessero al grande pubblico. Allora ho fatto due più due: ho chiamato Claudio Cecchetto, perché mi è subito venuto in mente Fiorello, e gli ho detto: ‘vorrei un numero zero!’. Naturalmente ha accettato immediatamente. Ho preso un palchetto con una telecamera, siamo andati in piazza Castello con una troupe e ho messo Fiorello sul palchetto a cantare. Nel giro di venti minuti c’era la folla!”.
L’esperimento pilota
Fiorello era ancora pressoché sconosciuto e il suo modo di relazionarsi con il pubblico, mutuato da Radio Deejay, era piuttosto estraneo per il pubblico televisivo di allora. Era già apparso su Italia 1 nella conduzione collettiva di Deejay Television, ma si può dire che fosse noto solo in radio. “Cecchetto lo vendeva come un imitatore dei cantanti. A me però le imitazioni non piacevano perché non c’entravano con la trasmissione”, dice ancora Ruffini. Poteva cantare, certo, ma senza prendersi troppo la scena: il protagonista, nella testa della capo-struttura, era il pubblico, con le sue canzoni. Erano altre qualità a impressionare la produzione: Fiorello era il candidato ideale, un “predestinato”, poiché come racconterà in seguito nella sua esperienza nei villaggi turistici già si dilettava a far cantare gli ospiti suggerendo i testi con i cartelloni. Fiorello era nato per fare Karaoke.
L’esperimento funzionò bene e il programma fu proposto a Silvio Berlusconi, che cercava un nuovo programma per il preserale di Italia 1, in sostituzione de Il gioco dei nove. Il popolare game, condotto da Raimondo Vianello, era arrivato da Canale 5, dove aveva dovuto far spazio al nuovo Tg5 diretto da Enrico Mentana, ma le sue performance erano state deludenti (la stagione primaverile del 1992 si era chiusa al 7,8% di share: un valore ben inferiore alla media di rete, allora quasi al 12%!). Berlusconi approvò il nuovo programma, sperando che potesse riportare la rete sopra la media in quella fascia strategica. “A dire il vero – racconta ancora Ruffini – avrebbe preferito il più popolare titolo italiano di Canta tu, ma poi si convinse e confermò l’esotico nome originale, Karaoke”. La formula era semplice: il programma era registrato ogni sera in una diversa piazza italiana e tra il pubblico che l’affollava Fiorello chiamava sul palco concorrenti, o “cantanti potenziali” come li definiva il conduttore, che si esibivano cantando su una base musicale. Il pubblico in piazza decretava poi il vincitore. La prima puntata fu registrata ad Alba, in provincia di Cuneo, e fu aperta, non per caso, da “L’italiano” di Toto Cutugno, perché quel “lasciatemi cantare” si sposava perfettamente con l’obiettivo del programma.
La falsa partenza
Federico di Chio, oggi direttore del marketing strategico di Mediaset, era allora un giovane analista di marketing che si occupava della lettura dei dati di ascolto e delle ricerche qualitative sui programmi. E ora ricostruisce quei momenti: “In quel periodo, Italia 1 stava vivendo un delicato momento di passaggio. Carlo Freccero era stato appena sostituito da Carlo Vetrugno, che aveva un’idea molto chiara su come dovesse essere la rete: maschile, adrenalinica, animata da forti passioni e dal deciso gusto americano. In tale contesto Karaoke, con la sua natura strapaesana, melodica e giocosa, era vissuto dal nuovo direttore come un corpo estraneo. In più, non si era sentito coinvolto nel processo decisionale che aveva portato il programma nel preserale della sua rete e ne aspettava il debutto sulla difensiva”.
E il debutto non fu per nulla fortunato. “Il programma partì molto male”, ricorda ancora di Chio. “La prima settimana ottenne uno share del 7%; e nella seconda settimana scese ancora, arrivando al 5,5%. Ricordiamo che Karaoke era entrato in palinsesto in sostituzione del già deludente Il gioco dei nove, che era stato chiuso facendo percentuali ben più alte! Le reazioni al flop furono disparate: alla delusione e allo sconcerto di chi credeva nel programma si opponevano la rassegnazione di chi aveva alzato già bandiera bianca, e persino le orgogliose rivendicazioni di chi proclamava l’immancabile ‘che vi avevo detto?’. Come spesso succedeva allora (e anche oggi, per la verità), al marketing furono chiesti lumi sulla situazione. Cosa dicevano i dati di ascolto? Cosa pensavano gli spettatori del programma? I dati testimoniavano una certa curiosità per lo show: le coperture nette erano abbastanza alte, ma il pubblico si soffermava poco. Assaggiava il prodotto, magari per una o due canzoni, e poi andava altrove. Quanto alle reazioni del pubblico, il principale motivo della difficoltà che il programma incontrava a radicarsi era proprio la sua novità: il karaoke, inteso come intrattenimento pubblico, era poco diffuso nel nostro Paese (i primi locali dedicati a quel tipo di esibizione iniziavano a nascere proprio in quegli anni). In più Fiorello, personalità di forte impatto e dal look eccentrico, che certo risultava simpatico e contagioso, accentrava però su di sé tutta l’attenzione, oscurando un po’ i concorrenti in gara, il vero patrimonio del programma. Anche il contesto poi era difficile per un programma emergente: nella stessa fascia oraria sulle altre reti c’erano i tg nazionali che attiravano un’ampia porzione di spettatori. Insomma, anche noi del marketing, lo dico serenamente, non intravedevamo un futuro roseo per il programma”.
Nonostante tutto, però, si decise comunque di andare avanti, sia per mandare in onda le puntate ormai già registrate, sia perché cercare una nuova trasmissione avrebbe richiesto tempo. In un primo momento, sembrò la decisione giusta: alla fine del mese di ottobre Karaoke superò per la prima volta l’8% di share; poi crebbe ancora, chiudendo novembre al 9,75%. Ma nelle prime settimane di dicembre, gli ascolti ebbero una nuova flessione e scesero al 9,45%. Dopo oltre due mesi, insomma, i risultati attesi erano ancora lontani, e il trend del programma non era lineare e non faceva intravedere una chiara direzione di crescita. Vetrugno fremeva. Era convinto che il karaoke non ce l’avrebbe fatta e che invece un bel telefilm avrebbe risollevato le sorti della rete in quella fascia. E nelle bozze di palinsesto della stagione gennaio-giugno 1993 Karaoke non compariva più…
“Il programma partì molto male. La prima settimana ottenne uno share del 7%; e nella seconda settimana scese ancora, arrivando al 5,5%. Le reazioni al flop furono disparate: alla delusione e allo sconcerto di chi credeva nel programma si opponevano la rassegnazione di chi aveva alzato già bandiera bianca, e persino le orgogliose rivendicazioni di chi proclamava l’immancabile ‘che vi avevo detto?’”
La testardaggine
Fatma Ruffini, però, non si arrese. Convinta delle potenzialità del programma trovò ulteriore appoggio nel grande capo Berlusconi, che decise di dare un’ultima chance al programma, mantenendolo in onda nelle festività natalizie. Era una mossa inusuale, perché di solito le produzioni si fermavano durante il periodo delle cosiddette “strenne”. Ma questo si rivelò il punto di svolta. Durante le feste, complice un totale ascolto diverso (il pubblico più giovane è libero dagli impegni scolastici e dalle altre attività) e un quadro di offerta televisiva mutato (più semplice in termini competitivi), Karaoke si “fece vedere” da un pubblico nuovo e iniziò a catalizzare la curiosità di tutta la famiglia. Il clima del Natale, la leggerezza e la simpatia di Fiorello, i grandi successi da cantare tutti insieme fecero sì che il pubblico adottasse lo show. In valori assoluti l’ascolto non era diverso da quello delle settimane precedenti, ma lo share si stava alzando. “In questo periodo – commenta di Chio – il programma costruì senza dubbio un credito che avrebbe poi riscosso all’inizio del nuovo anno, superando finalmente i 3 milioni di spettatori nella terza settimana di gennaio e conquistando quasi il 15% di share nella prima di febbraio. All’inizio della primavera ci fu poi un’ulteriore crescita, raggiungendo il picco di 4 milioni di spettatori. Questo sarà il risultato più alto registrato dal programma, considerando tutte e tre le stagioni di messa in onda”.
Prosegue Fatma Ruffini: “I motivi del successo sono tre: il primo è la centralità dei concorrenti, gente comune, persone spontanee, elemento portante dello spettacolo; il secondo sono le canzoni eseguite, brani famosi che potevano essere cantati anche dalle famiglie a casa; e infine Fiorello, il mattatore del programma, che intanto aveva imparato a dare più spazio agli improvvisati cantanti”. Ma a questi elementi bisogna aggiungerne un altro, decisivo: la pazienza, senza la quale questi elementi caratteristici non avrebbero potuto dare i loro frutti. Se i primi episodi erano registrati su piccoli palchi improvvisati, circondati da poche decine di spettatori inquadrati strategicamente, dopo quel Natale la folla superava le migliaia di persone. Il palco itinerante presto fece tappa nelle più grandi piazze italiane, stracolme di pubblico e magistralmente illuminate per farne risaltare la bellezza: è storica la concessione di Piazza Duomo a Milano, utilizzata per la prima volta per l’intrattenimento, raccogliendo circa 30 mila fan. La folla, gli affascinanti sfondi delle più belle città italiane, i concorrenti che rappresentavano le diversità culturali e linguistiche della penisola e lo spettacolo organizzato in piazza richiamavano il grande successo, nella tv delle origini, di Campanile sera, trasmissione itinerante nella provincia italiana.
Man mano che le date si moltiplicavano e il fenomeno si diffondeva per lo stivale, gli ascolti salivano. C’era un rapporto di diretta proporzionalità: quasi fosse servito un passaparola fisico, di piazza in piazza, per arrivare finalmente a registrare grandi numeri anche davanti allo schermo. Karaoke era un programma nuovo con un piede nel passato, un talent ante litteram. I concorrenti erano selezionati con appositi casting giorni prima della registrazione, per cercare i talenti migliori o personaggi divertenti. Su quel palco hanno esordito giovanissimi talenti come Elisa e Tiziano Ferro. E il fenomeno è diventato una moda, un fatto di costume, moltiplicando i locali che proponevano quel tipo di intrattenimento. E ancora oggi, nei palinsesti delle tv di tutto il mondo, sono presenti programmi che richiamano il format.
La morale del successo
Karaoke cresceva, e parallelamente a esso anche la popolarità di Fiorello. Ancora oggi ci si domanda se è stato Karaoke a lanciare Fiorello o se al contrario è stato il conduttore a rendere imperdibili quei trenta minuti di trasmissione. Se all’inizio le sue giacche sgargianti e il lungo codino potevano far storcere il naso, con il tempo diventarono moda per i giovani degli anni Novanta. Le inquadrature sul pubblico e i concorrenti documentavano le metamorfosi del costume. Ed è questo il grande successo che è ricordato ancora oggi, definito allora da alcune testate come lo show che “fa cantare gli italiani alle 20”.
“Con il senno di poi, non ci piove, abbiamo fatto flop noi del marketing”, ammette di Chio. “Ma lasciatemi addurre almeno qualche scusa, o perlomeno delle attenuanti. Intanto bisogna considerare che Karaoke raggiunse il successo sperato solo 26 (ventisei!) settimane dopo la messa in onda della prima puntata. Un tempo lunghissimo, anche per le logiche televisive di allora. E poi va detto che non era stata fatta alcuna ricerca sugli spettatori per sancire che il programma effettivamente non piacesse: non era stato testato il pilota, né erano stati condotti focus group per comprendere meglio le ragioni del pubblico. Si fece solo un’indagine telefonica lampo da cui, appunto, era emerso più l’attendismo nei riguardi della novità che una vera reazione di accettazione o rifiuto. Certamente, prima di esprimere un giudizio così tranchant avremmo dovuto raccogliere più elementi e analizzare meglio il caso. Quanto all’analisi dei dati, nulla lasciava intravedere quello che poi sarebbe successo. Il dato di ascolto delle prime settimane testimoniava semmai delle difficoltà del programma a radicarsi nelle abitudini; e il successo venturo era assolutamente illeggibile nelle prime evidenze. Insomma, come diceva il celebre sceneggiatore hollywoodiano William Goldman, nel mondo dell’intrattenimento non ci sono regole o paradigmi certificati: ‘nobody knows anything!’. E anche il marketing, che pure con la sua strumentazione analitica può aiutare molto a comprendere il perché dei fenomeni e a ridurre l’alea delle decisioni, ha dovuto imparare a sue spese che la bellezza di questo settore sta nella sua imprevedibilità”.