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Serie tv

A scuola dalle serie tv

Dalle narrazioni seriali si può (anche) imparare qualcosa. Sui temi cruciali del contemporaneo, sui dettagli nascosti della quotidianità, guardare la televisione aiuta a capire meglio il mondo.

Se, così a bruciapelo, vi chiedessero cos’è il coltan e perché – pur non potendone fare a meno – avremmo buoni motivi per sentirci in colpa a usarlo, che cosa rispondereste? Non guardate su Wikipedia, non vale. Se proprio non resistete, aprite piuttosto l’app di Amazon Prime Video e cliccate sull’ottavo e ultimo episodio della serie The Widow. Il coltan e il suo ciclo vizioso di produzione sono lì, in un’intro di due minuti e trenta costruita come un lungo piano sequenza sulle note di “Whole Wide World” dei Wireless Electric. Tutta la serie gira attorno ai traffici di questo prezioso minerale di cui è ricco il Congo. Ma basta guardare quella breve intro per farsi un’idea del suo cuore di tenebra: The Widow ci porta sul greto di un fiume dove miliziani armati di kalashnikov controllano l’estrazione del coltan, che in seguito è caricato sulla moto di un corriere e portato al centro di raccolta. Il passaggio successivo è in fonderia, dove il minerale lavorato è pronto per essere spedito a una fabbrica di smartphone, proprio come quello che abbiamo in mano. Il coltan è infatti un componente essenziale dei chip di qualunque apparecchio elettronico. 

Un tempo l’avremmo definita tv pedagogica. Oggi si dice edutainment. Ma il senso, sotto sotto, è lo stesso: lasciar passare un’informazione attraverso le maglie dell’intrattenimento, fosse anche una serie tv. The Widow è solo l’ultima serie ad averlo fatto, probabilmente spinta dalla necessità di dover dare un simulacro al coltan, che fino ad allora era stato evocato come una sorta di deus ex machina: non è un caso che la clip appaia nell’ultimo episodio, quando tutte le trame stanno per giungere a termine ed è utile fare chiarezza. Escamotage simili li hanno adoperati nel corso degli anni molte serie per offrire a noi spettatori il nécessaire per proseguire nella visione dell’episodio e non solo. C’è persino chi, come Anthony Zuiker, ha ammesso di aver prodotto CSI: Cyber nel segno dell’edutainment, per mostrarci quello che ci sfugge del nostro hi-tech quotidiano. Nell’episodio “Bit by Bit” che conclude la prima stagione, per esempio, è l’agente Krumitz (Charley Koontz) a spiegare in due minuti in che modo la blockchain tiene traccia delle transazioni dei bitcoin e come queste non siano così anonime come si crede: un concetto che ancora oggi sfugge ai più. Krumitz approfondisce l’argomento della detenzione di chiavi private e suggerisce che la persona che le detiene sia probabilmente l’assassino ricercato dai CSI. L’occasione è buona per una spiegazione su come funziona la blockchain. Nella scena, l’attore ha fatto i compiti a casa. Il suo personaggio dice: “Il più grande malinteso su Bitcoin è che è anonimo. Ecco perché è la valuta preferita nel Deep Web. È usato per finanziare gli affari della droga, i sicari, la tratta di esseri umani – ma in realtà non è così anonimo”. Ma non c’è episodio delle due stagioni di CSI: Cyber che non abbia all’interno il suo mini tutorial. 

Buone mogli e buone battaglie

A proposito di bitcoin, se ancora non vi è del tutto chiaro cosa siano e perché una valuta inventata da un anonimo informatico nel 2009 valga più di 5000 euro dopo aver toccato punte di 19 mila euro, vi verrà in soccorso una delle serie più popolari degli ultimi anni. Correva l’anno 2012 quando la madre di tutte le criptovalute apparve in The Good Wife. L’episodio, il 13 della terza stagione, si intitolava manco a dirlo “Bitcoin for Dummies” e ruotava attorno al fantomatico inventore della criptovaluta, Mr. Bitcoin (Jason Biggs). Allora un bitcoin valeva meno di 4 dollari e infatti gli sceneggiatori misero in bocca a Will Gardner (Josh Charles) la battuta: “ma mica ci pagheranno in bitcoin?”. Cinismo da avvocato che la sa lunga, ma non stavolta viste le quotazioni future della criptovaluta. Eppure a Will sarebbe bastato aspettare il settimo minuto dell’episodio per coglierne il potenziale: quando Zack (Graham Phillips), coadiuvato da un video animato, spiega in dettaglio alla madre Alicia (Julianna Margulies) che cosa sono i bitcoin, come funzionano, che vuol dire mining. La lezione dura un minuto e mezzo ed è talmente ben sceneggiata che al tempo tenne incollati allo schermo 10 milioni di americani, i quali scoprirono quello che c’era da sapere sui bitcoin proprio grazie alla televisione. 

Una trovata, quella di ricorrere a video animati di “approfondimento”, a cui Robert e Michelle King, produttori di The Good Wife, ricorreranno anche in seguito, fino a farne il leit motiv di The Good Fight, la serie nata proprio da una costola di The Good Wife. Uno spin-off dove l’edutainment ha un bersaglio ben preciso: Donald Trump e l’alt right. Nella terza stagione, in corso su TimVision, i video animati servono a spiegare in chiave musicale citazioni altrimenti incomprensibili come chi fosse Roy Cohn, il diabolico mentore di Trump (indimenticata a proposito l’interpretazione che ne diede Al Pacino in Angels in America) o l’abitudine del presidente di darsi un portavoce inesistente, tale John Barron, e fingersi lui al telefono. Ma l’intera The Good Fight è disseminata di lezioni su come opera l’alt-right. Nel sesto episodio della seconda stagione, un processo diventa il pretesto per spiegare, prove alla mano, come si è evoluto il look degli estremisti di destra negli States per ingannare gli elettori: è l’avvocato Boseman (Delroy Lindo) a incastrare un imputato, mostrando alla giuria le sue foto mentre marcia con un gruppo di suprematisti vestiti di pantalone khaki e comune polo bianca. Un look solo apparentemente anonimo che, come ha rivelato un reportage dell’edizione americana di Vice, è il nuovo corredo dell’alt-right, che ha scelto di archiviare l’armamentario della vecchia destra in favore di simboli più rassicuranti. 

Attraverso una serie di piani sequenza, Gomorra ricostruisce in controluce il percorso della droga dal momento in cui arriva a Secondigliano fino alla sua trasformazione in denaro sonante: la coca viene tagliata e poi smerciata in una piazza di spaccio, il riciclo dei soldi, e infine il conteggio e persino la stiratura delle banconote attraverso un’efficiente catena di montaggio che vede all’opera le donne dei clan. Immagini più significative di mille cronache sull’argomento.

Anche in Italia

Alt-right, bitcoin, coltan, … Potrebbero essere le prime voci di un video-abbecedario della contemporaneità, dove alla lettera D ci sarebbe tutto lo spazio per “droga”, intesa come business: un tutorial su come funziona il traffico dal Sudamerica verso gli Stati Uniti lo si vide qualche anno fa in Breaking Bad. Ma è certo Gomorra, la serie italiana più venduta all’estero, ad aver fatto del disvelamento dei meccanismi criminali la sua cifra stilistica. Basta guardare il decimo episodio dell’ultima stagione andata in onda, la quarta, per capirlo: i tre minuti in cui la boss Patrizia (Cristiana Dell’Anna) mostra al marito Michelangelo (Luciano Giugliano) gli ingranaggi segreti del principale affare dei clan. Attraverso una serie di piani sequenza, Gomorra ricostruisce in controluce il percorso della droga dal momento in cui arriva a Secondigliano fino alla sua trasformazione in denaro sonante: dal minuto 17, vediamo come la coca viene tagliata e poi smerciata in una piazza di spaccio, il riciclo dei soldi, e infine il conteggio e persino la stiratura delle banconote attraverso un’efficiente catena di montaggio che vede all’opera le donne dei clan. Immagini più significative di mille cronache sull’argomento, concepite come un videoclip sulle note del brano “Madama blu” del cantautore neomelodico Franco Ricciardi. 
Gli esempi citati sembrano dirci che è soprattutto lo storytelling del crimine a generare approfondimenti e tutorial, ma l’edutainment delle serie tv è un filone ben più ricco. Nel 2016 il sito Geekwire ha pubblicato una serie di articoli che, episodio dopo episodio, evidenziavano cosa avesse insegnato di nuovo al pubblico Mr. Robot in fatto di tecnologia applicata, perché “la maggior parte dei programmi televisivi di successo non prevede rappresentazioni accurate dell’informatica avanzata, ma Mr. Robot è un’eccezione degna di nota”. L’anno dopo anche uno dei più famosi software antivirus ha dedicato spazio sul suo blog alle lezioni di sicurezza hi-tech apprese guardando Rami Malek nei panni dell’hacker anarcoide. E forse è proprio questo il modello che potrebbe affermarsi in futuro: educare e informare gli spettatori su cose utili, senza appesantire la trama e farsene accorgere. Volendo ci sarebbe spazio per un nuovo meta-genere: l’educashownal. Chissà che non avesse ragione Doris Lessing quando scriveva: Questo è l’apprendimento. All’improvviso cogli qualcosa che avevi capito da sempre, ma in un modo diverso”.


Eugenio Spagnuolo

Napoletano, giornalista, più o meno 40enne, si occupa di innovazione e cultura per Focus, Wired, Pop Economy. E scrive di serie tv per Panorama e GQ Italia.

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