Brutte notizie per chi ha comprato un televisore 4K. Ai nastri di partenza c’è infatti un nuovo standard che migliora suoni e immagini televisive. Stiamo a vedere.
Sulla piattaforma digitale terrestre, è stata la Francia il primo Paese ad aver “spento” la trasmissione del segnale in definizione standard, a favore di una offerta di canali tutta in alta definizione, in HDTV.
Non c’è dubbio che la qualità dell’immagine di un programma televisivo in alta definizione incontri il gradimento del telespettatore. L’occhio, di certo, gradisce immagini più belle, più definite e fluide. Con il costante incremento delle dimensioni degli schermi – nel 2014, il 63% di televisori venduti globalmente erano maggiori di 40 pollici, e IHS Technology stima che nel 2019 la percentuale salirà all’80% – sono necessari più pixel, più informazioni o, se volete, più bit, per coprire l’area sempre più grande con una densità di pixel adeguata. Ma lo sviluppo tecnologico offre anche pixel “migliori”, in grado cioè di riprodurre più colori, più luminosità e quindi più contrasto, e con maggiori dettagli rispetto a come siamo abituati oggi a vedere le immagini televisive.
L’HDR è in grado di offrire immagini più contrastate, più luminose e con dettagli percepibili sia nelle zone più chiare sia in quelle più scure. Un classico esempio, per capire meglio, sono le riprese di un campo di calcio dove una parte del campo è in pieno sole mentre l’altra no.
Da Standard a Ultra
Sebbene la trasmissione in definizione standard (SD) non sia stata ancora abbandonata – anzi, in Italia, la maggioranza dei canali trasmessi sul digitale terrestre è ancora in SD, come anche la stragrande maggioranza dei canali ricevibili via satellite sono in SD –, per soddisfare il bisogno di un’alimentazione più ricca di informazioni verso i nuovi pannelli televisivi (le più recenti gamme di televisori OLED arrivano ai 77 pollici, mentre gli LCD/LED possono essere “tagliati” fino agli 88 pollici) è stato studiato e definito un nuovo standard di trasmissione: l’Ultra Alta Definizione (UHD TV). Questo nuovo standard definisce una risoluzione quattro volte quella dell’HD (3840×2160), con una gamma di colori più ampia (WCG – Wide Color Gamut, come dalla raccomandazione ITU-R BT.2020), una maggiore gamma dinamica (HDR – High Dynamic Range, che si riferisce alla raccomandazione ITU-R BT.2100) e un numero di immagini al secondo doppie per migliore fluidità (HFR – High Frame Rate).
In Europa il nuovo standard è stato definito dal DVB (Digital Video Broadcasting Project), l’ente di standardizzazione europeo, partecipato dai rappresentanti di tutta l’industria televisiva, che ha definito, a partire dai primi anni Novanta, gli standard di trasmissione tv terrestre, satellitare e via cavo adottati da una larghissima parte di paesi del mondo, con ovvia prevalenza dei paesi europei. La standardizzazione dell’UHD TV è stato un processo lungo, faticoso, complesso, dove gli interessi, a volte contrastanti, di parti dell’industria, alla fine ha portato al consenso su uno standard in due fasi temporali. La prima fase – l’UHD TV Phase 1, standard pubblicato nel 2014 – ha la risoluzione quattro volte superiore all’HD e una gamma cromatica più ampia, e i produttori di televisori ne hanno subito approfittato per metterli sul mercato, spesso non integrando il WCG e chiamandoli impropriamente 4K, formato leggermente diverso dall’UHD TV e preso dal cinema, ma commercialmente più breve, immediato, e quindi più facile da comunicare (il 4K utilizza un rapporto di 21:9 contro i 16:9 dell’UHD e ha un numero di pixel leggermente diverso, ma i due termini sono normalmente usati uno per l’altro).
Questa prima versione dello standard, e i relativi televisori sul mercato fin dal 2015 e già nelle nostre case, non integra, però, quella che è ampiamente riconosciuta come la più importante caratteristica di qualità dei pixel dell’immagine, ovvero l’HDR (High Dynamic Range). Definito solo nella seconda fase dell’UHD TV, standard pubblicato alla fine del 2016, l’HDR è in grado di offrire immagini più contrastate, più luminose e con dettagli percepibili sia nelle zone più chiare sia in quelle più scure. Un classico esempio, per capire meglio, sono le riprese di un campo di calcio dove una parte del campo è in pieno sole mentre l’altra no: il sistema di trasmissione attuale non è capace di rendere i dettagli di entrambe le aree, sceglie o l’una o l’altra; l’HDR è in grado, invece, di farlo, offrendo immagini molto gradevoli, più definite e bilanciate, più “reali” e simili a quelle che percepiamo naturalmente con i nostri occhi. Quindi l’UHD TV con l’HDR offre non solo quattro volte più pixel dell’HD, che di per sé non fanno molta differenza, a meno di non avvicinare il divano del salotto al grande schermo, ma anche pixel di maggiore qualità in grado di fare la differenza in luminosità, in contrasto e nei relativi dettagli rispetto a quelli dell’UHD TV di fase 1 e della stessa HD TV.
Oltre all’HDR, un’ulteriore caratteristica dello standard UHD TV di fase 2 è l’High Frame Rate, che, grazie a un numero di immagini al secondo doppie, garantisce una maggior fluidità, specialmente importante per la trasmissione di eventi sportivi dove c’è un’alta dinamica di movimento. La controindicazione è che un numero doppio di immagini al secondo implica una banda di trasmissione teoricamente doppia, e questo impatta sui costi di trasmissione di un segnale HFR. I primi ricevitori e i primi servizi compatibili con l’UHD TV con HDR arriveranno intorno alla fine del 2017 e a inizio 2018, mentre quelli con anche l’HFR non prima del 2019.
Alle immagini si aggiunge poi l’innovazione nell’audio, con l’NGA – New Generation Audio – che tratta il sonoro in modo differente, scomponendolo negli elementi che lo compongono come, nel caso di una partita di calcio, il commento del cronista, il pubblico sugli spalti, i calciatori e l’arbitro, ognuno dei quali è trasmesso separatamente, piuttosto che “tutti i suoni per la cassa destra” e “tutti i suoni per la cassa sinistra” come per la stereofonia. Questa innovativa modalità di descrivere l’audio di un evento tramite gli elementi che lo compongono, chiamati “oggetti audio”, porta interessanti benefici: prima di tutto una maggior efficienza di trasmissione, e poi il telespettatore, interattivamente, può personalizzare l’esperienza di ascolto come meglio crede, accendendo o spegnendo gli “oggetti audio”: per esempio, potrebbe eliminare il commento della partita o “alzarlo” per una migliore comprensione.
Infine, l’NGA integra la capacità di trasmettere e riprodurre il suono in modo “immersivo”. È l’audio tridimensionale, tutto intorno al telespettatore, che riproduce in modo più realistico l’esperienza audiovisiva; per questo, però, bisognerà aggiungere al proprio schermo tv, troppo sottile per ospitare altoparlanti adeguati, una soundbar in grado di rendere l’effetto audio tridimensionale.
Alle immagini si aggiunge l’innovazione nell’audio, con l’NGA – New Generation Audio – che tratta il sonoro in modo differente, scomponendolo negli elementi che lo compongono. Nel caso di una partita di calcio, il commento del cronista, il pubblico sugli spalti, i calciatori e l’arbitro.
Esperienza di visione e contenuti future proof
La tecnologia promette insomma un futuro in cui sarà sempre più facilmente accessibile e riproducibile nelle nostre case un’esperienza di visione più vicina a quella del cinema. Per ottenerla, oltre all’hardware da mettere nei nostri salotti, dovranno essere prodotti e adeguatamente distribuiti contenuti con analoghe caratteristiche di qualità. Un ruolo fondamentale, credo, lo avranno produttori e distributori di contenuti che dovranno scegliere con quale tecnologia HDR produrre e distribuire i propri prodotti. Naturalmente l’obiettivo sarà quello di fare contenuti “future proof”, ovvero che siano riproducibili, o che possano essere trasformati negli standard integrati nei ricevitori sul mercato e di quelli che verranno in futuro. La stragrande maggioranza degli attuali ricevitori sul mercato oggi non è in grado di gestire il segnale HDR. La prossima generazione di televisori – già sugli scaffali dei negozi e centri commerciali – non mancherà dell’HDR e si differenzierà in funzione delle strategie di mercato dei grandi marchi di televisori. Questi ultimi, ne abbiamo avuto conferma al CES di gennaio, integrano, o integreranno, nei loro dispositivi di fascia alta più di una tecnologia HDR – sì, certo, perché il mercato ne offre molteplici e diverse l’una dall’altra – e gli accordi tra produttori di contenuti, distributori e i produttori di televisori saranno determinanti per il successo di una o più tecnologie HDR.
C’è poi il complicato aspetto della distribuzione, ovvero dell’accesso e della trasmissione dei contenuti UHD TV, con HDR e HFR, ai ricevitori dei telespettatori. Nonostante la recente standardizzazione dell’UHD TV, l’integrazione dell’HDR nel flusso produttivo di un broadcaster non è semplice. A differenza degli operatori OTT – sia quelli globali come Netflix e Amazon sia quelli locali come Vudu negli Stati Uniti e Tencent in Cina – che possono facilmente affiancare alla versione UHD TV in “standard dynamic range” di un contenuto quelle in HDR, e in futuro in HFR, con il solo aumento della complessità del loro “media asset management” e dei maggiori costi di banda, i broadcaster sono vincolati dalla legacy dei dispositivi sul mercato e dalla maggiore quantità di banda necessaria per la trasmissione in UHD TV, tema molto sentito soprattutto dai broadcaster terrestri, per la scarsità di capacità intrinseca al sistema e per il costo della banda terrestre stessa. Tutto questo ha in qualche modo rallentato l’adozione dell’HDR da parte dei broadcaster, ma alcune posizioni pubbliche mostrano che, presto, anche le reti free e pay potranno offrire contenuti HDR. Bbc ha dichiarato che le prossime produzioni di contenuti UHD TV saranno in HDR, mentre Sky ha pubblicato le specifiche tecniche per l’acquisizione di contenuti HDR che dovranno essere conformi allo standard UHD TV.
L’HDR sembra ben posizionato per essere sfruttato appieno dal satellite e dall’OTT che, come detto, ha già sposato i formati UHD TV, ma resterà da vedere quanti utenti avranno accesso alla connettività a larga banda necessaria (15-20 Mbit/s) per goderne attraverso internet. Inoltre, i contenuti OTT sono offerti in “adaptive streaming” (adattamento del bit rate alla capacità disponibile nel tempo di una connessione) che, pur essendo un meccanismo intelligente per gestire la qualità in funzione della quantità di connessioni contemporanee, lascia ampi dubbi sulla sua sostenibilità economica. Per contro, per il forte impatto sul bit rate necessario alla trasmissione, per la scarsità di banda e per il costo della stessa, il broadcast terrestre faticherà ad avvalersene. Ma per le caratteristiche di maggiore qualità dei pixel, l’HDR potrà, probabilmente, essere preso in considerazione anche per l’alta definizione e il broadcast terrestre se ne potrebbe avvantaggiare fornendo un formato HD migliorato con l’HDR e con una gamma di colori molto più ampia di quella che possiamo godere oggi.
Questo racconto viene in parte dalla esperienza di lavoro nei gruppi di standardizzazione del DVB e in parte dallo studio del mercato e della sua evoluzione tecnologica. Sebbene gli standard siano lenti a inseguire il mercato – perché di inseguimento si tratta – la loro è una funzione, quando hanno consenso e successo commerciale, regolatrice del mercato stesso, a beneficio non solo dei consumatori, ma anche dei fornitori di servizi. Qualora una tecnologia non sia integrata in uno standard – ed è il caso di alcune tecnologie HDR – queste sono a rischio di estinzione; è molto probabile, infatti, che siano adottate dall’industria solo quelle standardizzate. Nel caso specifico, quello che sta succedendo è che chi è rimasto fuori dalle specifiche DVB dell’UHD TV sta combattendo per un’ulteriore evoluzione dello standard HDR, per arrivare a standardizzare, mediante una modalità di trasmissione di metadati che dinamicamente possano aggiustare scena per scena e immagine per immagine la luminosità dello schermo, un’ancora superiore ricchezza di dettaglio e di luminosità, sempre più vicino a quell’“artistic intent” che il direttore della fotografia oggi si vede “tagliare” dalle immagini della sua opera per via di un sistema non ancora in grado di riprodurlo. Come è naturale, l’industria ha già la soluzione. Vedremo presto se anche questa verrà adottata come standard.
Angelo Pettazzi
Laureato in fisica, ha lavorato dal 1981 nel Gruppo Mediaset; è stato responsabile della “Content factory DTT”, avanguardia, dal 2003 al 2008, dell’interattività sulla televisione.
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