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Mediamorfosi 3

Tutti i soldi del podcast

Tempo di bilanci per i podcast. Spazio di grande creatività per tante nuove forme di racconto, certo, ma anche settore che fa fatica a trovare la quadra tra costi e ricavi. Almeno per ora.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 29 - Mediamorfosi 3. Gli anni delle piattaforme del 10 ottobre 2023

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Sono passati ormai quasi vent’anni da quando i primi podcast hanno iniziato a circolare. Così come era successo alla radio, ci sono voluti decenni prima che il podcasting diventasse un mezzo di comunicazione “di massa” e molti diversi fattori, sia tecnologici che culturali, hanno contribuito a plasmarlo dandogli la sua forma attuale. Una forma attuale sempre più dipendente dalle scelte commerciali e tecnologiche delle piattaforme digitali (Spotify, Google e Apple su tutte), tanto che da qualche anno alcuni studiosi dei media come John Sullivan parlano di “piattaformizzazione del podcast”, ovvero una nuova fase di sviluppo del medium, caratterizzata dalla centralità sempre maggiore delle piattaforme nella produzione, selezione, distribuzione e consumo di contenuti sonori. Sono queste ultime, tramite i loro algoritmi di raccomandazione, a decidere cosa è rilevante e popolare. Come era già successo per la musica, Spotify e simili si sono affermati come i nuovi gatekeeper del podcasting. In questo contesto di governance algoritmica della visibilità, è molto difficile emergere come un nuovo autore, se alle spalle non si ha già un pubblico o una casa di produzione che investe nella promozione. Come guadagnano allora questi produttori di contenuti? Come si monetizza un podcast? Come si trasforma la creatività e l’ingegno di un autore in reddito? Che tipo di valore economico producono i podcast, e come? I podcast non hanno inventato alcun modello di business originale. Da quando esistono i media, i modi per finanziarli sono sempre gli stessi: essere finanziati dallo Stato, tramite tasse, sovvenzioni o canoni di abbonamento; essere finanziati dal proprio pubblico di lettori/spettatori/ascoltatori, tramite donazioni dirette; essere finanziati da privati interessati a vendere qualcosa a qualcuno (pubblicità); auto-finanziarsi nella speranza, un giorno, di diventare famosi ed essere pagati da qualcuno. Anche nel caso del podcast, i finanziamenti arrivano da enti pubblici, privati o civici. Dal punto di vista dell’economia politica dei media, sappiamo che i modelli di finanziamento dei media influenzano anche i modi in cui sono fatti i contenuti. Bisogna ricordare che nessun autore è veramente “libero” di esprimere la propria creatività, o che per lo meno, ognuno lo è dentro i vincoli dei modelli di finanziamento prescelti: ogni autore dovrà rispondere agli interessi pubblici (di solito educativi o di propaganda); privati (interessi economici); dei cittadini e consumatori (interessi relativi al contenuto).

Pubblicità

Uno dei modelli di business più popolari per la monetizzazione dei podcast è quello pubblicitario, dove si vende l’attenzione del pubblico al miglior offerente. La pubblicità in un podcast però può prendere forme molto diverse dal classico “treno” di spot pubblicitari oggi presenti in radio tra un programma e l’altro. I podcast possono essere sponsorizzati da uno o più brand, in una forma molto simile alle sponsorizzazioni dei primi programmi radiofonici: le soap opera, d’altronde, erano sceneggiati radiofonici sponsorizzati dai produttori di detersivi. Nel caso dei podcast, la sponsorizzazione assume una forma più intima e diretta, perché viene fatta attraverso la voce del conduttore del podcast, come una specie di endorsement che l’autore fa nei confronti del brand che lo sponsorizza. Questi tipi di messaggi sono dinamici, cioè possono variare nel tempo: lo stesso podcast vende spazi pubblicitari a più investitori, in tempi diversi.

Branded podcast

I branded podcast sono quelle serie che hanno l’obiettivo di raccontare in maniera narrativa un brand. Possono assumere diverse forme – association branded podcast, branded podcast editoriali, sponsor produced podcast, special edition branded podcast – con vari gradi di efficacia, come dimostra la ricerca dell’Osservatorio Branded Entertainment del 2022 che evidenzia l’utile apporto dei podcast nel far crescere la reputazione dei marchi che ne fanno uso. La declinazione più sottile del rapporto tra autore di un podcast e brand è quella dell’association branded podcast. Qui il brand finanzia la produzione di una serie, ma non compare direttamente al suo interno come sponsor. Il caso più famoso è quello di The Message, un podcast di fantascienza co-prodotto da Panoply e General Electric (GE) nel 2015 che ha generato più di 450 milioni di download. Il collegamento al brand di GE è stato intenzionalmente molto defilato, essendo lo sponsor citato solo in fondo alla homepage del mini-sito. In Italia nel 2019 è stato realizzato Prime svolte, un podcast motivazionale sul valore delle paure che affiorano prima di affrontare un grande passo, per il brand automobilistico Mini. Altro caso rilevante è Negra y Criminal, il podcast true crime che Podium, la piattaforma spagnola del Gruppo Prisa, ha realizzato sempre per Mini in relazione al sistema audio immersivo con casse Harman Kardon. L’adattamento e attualizzazione di storie classiche del crimine ha reso la connessione con il marchio poco invasiva e assai immaginifica.

Come guadagnano questi produttori di contenuti? Come si monetizza un podcast? Come si trasforma la creatività e l’ingegno di un autore in reddito? Che tipo di valore economico producono i podcast, e come?

Donazioni e crowdfunding

Fin dall’inizio, i podcast hanno sfruttato le loro relazioni dirette con il pubblico chiedendo il sostegno degli ascoltatori attraverso donazioni. Con la digitalizzazione delle industrie culturali, sono emerse moltissime piattaforme per il crowdfunding, che hanno permesso di far scalare le campagne di donazione a comunità non più solamente locali, ma anche a comunità di interesse spazialmente distanti. Siti come Produzioni dal Basso in Italia, o Kickstarter e IndieGoGo su scala globale, hanno permesso di finanziare prodotti culturali facendo leva su comunità di interesse internazionali. Naturalmente il successo di queste campagne dipendeva moltissimo dalla ricchezza della rete sociale attivata dai promotori della campagna, ma molti podcaster indipendenti sono riusciti a finanziare le prime stagioni in questo modo. Patreon, un sito che consente ai consumatori di sostenere regolarmente i creatori, è diventato un’opzione popolare per molti autori.

Sostegno delle fondazioni no-profit e di enti pubblici

Oltre alle donazioni da parte dei cittadini, esistono anche donazioni da parte di enti privati no-profit, di solito fondazioni e realtà del terzo settore, interessate a produrre podcast per finalità educative, di formazione o di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Naturalmente, le sovvenzioni sono spesso accompagnate da vincoli ben precisi: in genere le fondazioni concedono i fondi a condizione che i produttori di contenuti trattino determinati argomenti. Come la serie di giornalismo investigativo realizzata dal collettivo di giornalisti italiani Irpi Media, che nel 2019 ha prodotto uno degli episodi della serie europea The Authoritarian Playbook, finanziati dalla piattaforma no profit The GroundTruth Project, con sede negli Stati Uniti, tramite il programma di fellowship internazionale Democracy Undone.

Abbonamenti

Molti podcast network e aggregatori – tra cui Gimlet Media, Midroll Media e Acast per primi – hanno introdotto modelli di abbonamento o premium, in cui gli abbonati paganti ricevono vantaggi extra (come pubblicità limitate o assenti, episodi bonus, accesso anticipato a eventi o contenuti dal vivo, contenuti riservati ai membri). Quasi tutti i servizi continuano a offrire i loro contenuti gratuitamente, ovviamente con pubblicità, come nel modello di Spotify. Gli unici servizi audio interamente basati su abbonamento sono Audible di Amazon e Storytel, una start-up scandinava attiva nel mercato degli audiolibri e dell’editoria digitale, che però produce e offre anche serie audio originali. Nel 2021, finalmente, sia Apple che Spotify hanno annunciato che avrebbero permesso ai podcaster di offrire abbonamenti ai loro programmi. Per i primi due anni i podcaster non hanno dovuto pagare nulla a Spotify. Tuttavia, i creatori devono coprire il costo delle commissioni di transazione attraverso Stripe, partner di Spotify per i pagamenti. Nel 2023, Spotify ha iniziato a pretendere il 5% dei ricavi totali degli abbonamenti. È una percentuale nettamente inferiore a quella applicata da Apple, il cui nuovo servizio di abbonamento prevede un prelievo che varia dal 15 al 30% dei ricavi. Due anni dopo il lancio, però, la podcast paid subscription è rimasta un’opportunità confinata a Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. In assenza di dati riguardo il suo successo, possiamo ipotizzare che la fase test di questo servizio lanciato nel 2021 non abbia dato i risultati sperati da giustificare un’estensione ad altri contesti nazionali.

I podcaster indipendenti sono imprenditori di se stessi simili ai creatori di contenuti per Instagram, TikTok o YouTube: producono contenuti adatti alle logiche delle piattaforme digitali che stanno egemonizzando le industrie culturali.

Eventi dal vivo e altre forme di introiti

Molti podcast stanno sperimentando l’organizzazione di eventi dal vivo per generare flussi di entrate complementari. Tuttavia, anche se gli spettacoli fanno spesso il tutto esaurito, i costi di produzione degli eventi possono annullare i benefici delle entrate. Mitra Kaboli, produttrice del pluri-premiato podcast The Heart, ha raccontato quanto è difficile guadagnare da questi eventi: “Facciamo sempre il tutto esaurito… Facciamo soldi? Non abbastanza da considerarlo un flusso di entrate. L’obiettivo è quello di chiudere in pareggio. Si tratta più che altro di coinvolgere il pubblico e di aumentare l’entusiasmo per il nostro podcast”. Uno degli spettacoli dal vivo tratti da podcast più popolari è quello messo in scena da Ira Glass intorno al suo This American Life, che contribuisce alla notorietà del programma. Recentemente, poi, una nuova forma di monetizzazione che si sta affermando è la vendita dei diritti di sfruttamento ad aziende terze che vogliono realizzare prodotti derivati (come spettacoli teatrali, programmi televisivi, libri, film e serie televisive) a partire da un podcast originale. Le case di produzione di podcast indipendenti spesso investono in perdita nella realizzazione di un catalogo di podcast originali nella speranza che uno di questi possa essere acquistato da qualche produttore di Hollywood, o più facilmente da Netflix e Amazon, per trasformarlo in una serie tv che li ripagherebbe con gli interessi di tutti gli investimenti fatti nel podcasting. L’esempio più famoso in questo caso è quello della serie podcast Homecoming, un thriller psicologico prodotto inizialmente da Gimlet Media e poi adattata per la tv da Amazon Prime Video. Netflix invece, negli ultimi anni, ha raddoppiato i suoi investimenti in podcasting, sia tramite acquisizione dei diritti di sfruttamento di opere podcast preesistenti, sia tramite produzione di podcast originali per promuovere le proprie serie tv e creare attesa o un maggior volume di conversazioni online intorno a esse.

La piattaformizzazione e il futuro del podcasting

Tra tutti i modelli passati in rassegna, quello più interessante sembra quello degli abbonamenti. Per esempio, quello attuato dalla testata online italiana Il Post, che funziona però solo, anche qui, per voci che hanno ormai acquisito un’ampia notorietà, come Francesco Costa, il cui Morning, un podcast quotidiano di informazione, fa da traino all’intera offerta di contenuti in abbonamento del giornale. Il modello basato sulla pubblicità sembra invece sostenibile per pochissimi produttori, ma nel lungo periodo la quota di investimenti nel settore è destinata a crescere sensibilmente (secondo i dati presentati in Ufficio Studi Rai, Ecosistema audio-suono, 2022). La possibilità di farsi notare su Spotify o Spreaker e di guadagnare dalla pubblicità inserita nelle proprie serie è sempre più concreta, anche se molto precaria e diseguale. Oltre a Spotify e Spreaker, sempre più piattaforme – YouTube, Instagram, Snapchat, Twitch, TikTok, Substack, Patreon – permettono la monetizzazione diretta dei contenuti, sia tramite pubblicità, sia tramite abbonamento dei propri sostenitori. Questa monetizzazione mediata da grandi piattaforme digitali non è tipica solo del podcasting, ma fa parte della ben più ampia industria della creator economy, del mercato dei creatori di contenuti per i social media. I podcaster indipendenti sono imprenditori di se stessi simili ai creatori di contenuti per Instagram, TikTok o YouTube: producono contenuti adatti alle logiche delle piattaforme digitali che stanno egemonizzando le industrie culturali. E la più generale piattaformizzazione delle industrie culturali colpisce pure la micro-industria dei podcast, e sarà un fenomeno sempre più centrale nel futuro: la produzione di contenuti culturali sarà sempre più dipendente dalle logiche delle piattaforme digitali, che stabiliscono visibilità e valore economico. Sebbene oggi esistano dei produttori professionisti di podcasting, anche in Italia, le condizioni di questa particolare professione culturale sono simili a quelle di tutti i lavoratori delle industrie culturali e creative: precari costretti a costruirsi una identità di imprenditori di se stessi, che lavorano sempre alla promozione del proprio brand, una condizione che premia i pochi e stressa i molti. Al di là della effettiva crescita del bacino degli ascoltatori di podcast, in Italia e altrove, il destino di questa industria mediale emergente è allora sempre più determinato dalle decisioni delle piattaforme tecnologiche, come Apple e Spotify. Sono loro che stabiliscono le regole del mercato, in maniera ormai semi-monopolista. Sono loro che stabiliscono se e quanto un autore può essere remunerato sulle piattaforme, quali dati sono rilevanti per la popolarità di un podcast e quanto rendere visibile una serie audio all’interno del loro catalogo, basandosi su un mix di logiche editoriali e algoritmiche quasi del tutto inaccessibili.


Tiziano Bonini

Professore associato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena, si occupa di radio, social media, cultura digitale ed economia politica delle piattaforme digitali.

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Marta Perrotta

Professoressa associata presso l'Università Roma Tre, insegna Culture e formati della televisione e della radio. Tra i suoi libri ci sono Il format televisivo (Quattro Venti, Urbino 2007) e Fare radio (Dino Audino, Roma 2017). Collabora con molti broadcaster come autrice e editor di programmi in radio e tv. Dirige i programmi della web radio di ateneo Roma Tre Radio.

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