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Mediamorfosi 2

Dio è morto. Marx è morto. E anche la televisione…

Riflettendo sulla rivoluzione digitale che ha investito la tv e i media, si può capire quanto tutto sia in movimento. E distinguere almeno quattro tipi di spettatori.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 22 - Mediamorfosi 2. Industrie e immaginari dell'audiovisivo digitale del 11 dicembre 2017

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La tv non è morta. E non morirà tanto facilmente. A parte che dovremmo intenderci sul significato di televisione, perché oggi più che mai il termine designa molte cose. Ma anche circoscrivendone l’ambito al broadcasting sul televisore domestico, appare evidente la sua resilienza. Lasciamo dunque gli annunci sulla scomparsa imminente della televisione a chi ha specifici interessi di parte in gioco, e proviamo a guardare come stanno davvero le cose.

I tempi stanno cambiando, è evidente. Ma questo cambiamento si può comprendere meglio se tralasciamo, almeno per un attimo, le metafore biologiche (nascita, evoluzione, morte), per utilizzare quelle geologiche (deposito, stratificazione, infiltrazione). Sì, perché il consumo di video, nel cambiare, più che trasformarsi si sta stratificando.

Alcuni spettatori non si sono accorti di nulla. Continuano a vedere la televisione come prima. Hanno notato, sì, che ci sono più canali; e qualche volta ci fanno anche un giro. Ma alla fine guardano la tv ancora come hanno sempre fatto: in casa – in salotto, in cucina, in camera. La tv è lì, viva e vegeta, per costoro, che chiameremo il tipo A. Un gruppo ancora molto numeroso.

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Altri spettatori invece hanno colto delle novità. La digitalizzazione del sistema tv e la moltiplicazione dei canali, anzitutto (anche quelli pay). Ma anche il fatto che la televisione sta uscendo dal televisore, per andare sugli schermi di pc, tablet e smartphone: sia in live streaming che on demand; sia su destination dedicate che nei feed dei social network. Il televisore domestico resta il luogo deputato alla visione dei contenuti televisivi; ma il second screen sta guadagnando terreno, specialmente fuori casa. Per questi spettatori – il tipo B, il gruppo più nutrito a oggi nel panorama italiano – la tv non sta però cambiando pelle: sta solo adattandosi ai tempi, ampliando la sua offerta, moltiplicando le occasioni di visione, colonizzando i nuovi display. Ma resta, tutto sommato, televisione.

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Altri spettatori invece – chiamiamoli C – stanno un po’ alla volta entrando in un nuovo mondo: hanno connesso il televisore alla rete broadband. Sullo schermo rimangono in primo piano i contenuti dei broadcaster; ma su di esso si affaccia anche il mare magnum dei contenuti di rete: i video di YouTube, le serie di Netflix e Amazon, le library degli operatori pay e telefonici; e anche i film scaricati e le partite piratate… E non è solo un fatto di quantità e natura dei contenuti video. Più profondamente, l’abitudine al consumo online sta ridisegnando i paradigmi di fruizione di questi spettatori, che – anche quando guardano un tradizionale canale televisivo – vogliono poter vedere un programma dall’inizio o metterlo in pausa; poter recuperare immediatamente la scena saliente, per rivederla o condividerla sui social; potersi muovere facilmente dalla dimensione live a quella on demand. Ancora non sono tanti, ma vanno tenuti d’occhio, perché la tv per loro sta diventando davvero qualcosa di diverso. Difficile anche definirla – è ancora tv? – perché i suoi elementi più caratteristici non sono più imprescindibili: né il broadcasting, né il palinsesto, né il televisore!

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Altri spettatori infine sono nati nel nuovo mondo. La frattura generazionale qui si avverte: sono perlopiù giovani, nativi digitali. Sanno poco di cosa sia la televisione. Sanno bene cos’è il televisore, perché lo usano per guardare una partita di calcio o un evento in diretta; o perché vi vedono una serie o un video della rete. Ma la tv fatta di canali, più o meno generalisti, e di flussi giornalieri e appuntamenti non la conoscono. Sono grandi consumatori di video – gli spettatori di tipo D – ma cercano in rete ciò che vogliono o se lo fanno raccomandare da qualche algoritmo; e poi lo guardano dove e quando dicono loro. Per questi, la tv non è che sia morta, proprio non è mai nata.

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Processi, percorsi

Non c’è bisogno di essere Nostradamus per sapere come andrà a finire, perlomeno a grandi linee. Il gruppo A, oggi molto nutrito, si spopolerà progressivamente, lasciando arroccate in quella modalità di visione tradizionale le fasce più anziane e marginali della popolazione. Il gruppo B sarà una condizione di transito: raccoglierà le fasce A più evolute, che man mano migreranno a un nuovo stile di consumo; e cederà a sua volta le fasce più aperte all’innovazione al gruppo D. Ma per molti anni ancora rimarrà il gruppo più consistente, sia come popolazione sia come stile di consumi. Il gruppo C crescerà e diventerà quello più nutrito. Il mainstream del consumo video sarà infatti incentrato su un ecosistema di device connessi alla rete, compreso il tv set domestico; e sarà caratterizzato dal paradigma any (anything, anytime, anywhere), tipico dell’on demand. Anche il gruppo D è destinato a crescere. Difficilmente sarà maggioritario (perlomeno nell’orizzonte temporale dei 12-15 anni), ma farà sentire il suo peso.

Quello che è davvero difficile da valutare sono la magnitudine e la velocità di questi cambiamenti (qui neanche Nostradamus…). Dipendono da moltissimi fattori. Tra questi ricordiamo l’evoluzione della struttura demografica della popolazione, la diffusione del broadband nel nostro Paese, la penetrazione degli smart tv e la loro effettiva connessione; i comportamenti degli operatori pay, che sono degli apripista per nuove forme di offerta e consumo, e delle aziende di telecomunicazione, che all’estero fungono anch’esse da motore del cambiamento e invece in Italia non hanno ancora adottato politiche aggressive incentrate sull’offerta di video; il comportamento dei broadcaster free (ancora obiettivamente incumbent e in grado di muovere ingenti volumi di consumo); l’ingresso di piattaforme e operatori globali; e così via.

Bisogna anche capire come cambiano gli stili di fruizione a fronte di importanti discontinuità. Discontinuità legate all’arrivo di tecnologie abilitanti (come cambia il consumo di video quando una famiglia dalla dimensione del broadcasting puro entra in quella digitale/connessa?); alle faglie generazionali (quanto è davvero diverso il consumo, man mano che cresce, di chi nasce digitale da quello di chi lo è diventato dopo e da quello di chi mai lo diventerà?); e alle stagioni della vita (il consumo di un nativo digitale rimane così diverso da quello di un tardivo digitale anche quando si sposa, ha figli, deve stare a casa la sera?).

E, in ultimo, vanno considerati poi fattori esogeni. Fattori di mercato, come l’imminente introduzione della metrica Auditel della total audience, che spingerà verosimilmente i soggetti in campo a moltiplicare i loro sforzi nel second screen; e fattori regolamentari e di sistema, come lo switch-off delle frequenze 700 Mhz pianificato per il 2022, passaggio che comporterà la transizione al nuovo regime Dvb-T2 + Hevc e implicherà un cospicuo rinnovo del parco televisori, con un’iniezione di tv set connettibili.

Altra cosa non facile da stimare è come, in questo scenario multiforme, si evolveranno i modelli di offerta televisiva che oggi vediamo in campo: il generalismo storico, il mini-generalismo, il tematismo di genere e di target, il consumo on demand. Azzardiamo solo alcune ipotesi. Generalismo e mini-generalismo si rimescoleranno. Le due reti ammiraglie, che in questi ultimi anni stanno dimostrando una sorprendente resilienza, reggeranno i nuovi urti e manterranno la propria centralità nel panorama mediale italiano (dove altrimenti trovare audience di massa?). Le altre reti generaliste storiche, assieme alle neo-generaliste, competeranno in un differente segmento, caratterizzato da audience ancora significative, ma complessivamente in calo. Il multichannel – che pure ancora crescerà nel medio periodo – potrebbe invece ridimensionarsi nel lungo periodo, compresso delle offerte Ott, pay e forse anche free. Anche qui potremmo assistere a una divaricazione: da un lato, un multichannel fatto di prodotti originali, capace di distinguersi dalla concorrenza degli operatori non lineari; dall’altro, l’offerta di canali di diritti (film e telefilm), che farà più fatica per la penetrazione dei servizi Ott.

Comunque vada, l’appuntamento è fra una decina d’anni…


Federico di Chio

Direttore Marketing strategico di Mediaset e direttore editoriale di Link. Idee per la televisione. Insegna Media Management all’Università di Bologna e all’Università Cattolica di Milano. È stato Ceo di Medusa Film e vicedirettore generale contenuti di Mediaset. Tra i suoi libri, Analisi del film (con Francesco Casetti, 1990), L’illusione difficile (2011), American Storytelling (2016) e Il cinema americano in Italia (2021).

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