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Mediaset e il cinema italiano

Que viva Maccio! Il caso Capatonda al cinema

Marcello Macchia, detto Maccio: altro personaggio televisivo, e altra strada, anche perché contaminatasi con la circolazione digitale di frammenti e clip. I suoi tentativi filmici non hanno incontrato il largo favore del pubblico, ma si fanno notare.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su Mediaset e il cinema italiano - Film, personaggi, avventure.

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L’operazione produttiva che sta dietro i due film di Maccio Capatonda attore e regista (Italiano medio e Omicidio all’italiana, 2015 e 2017 rispettivamente) – ma occorre aggiungere, tra l’uno e l’altro, nel 2016, l’esordio da protagonista della sua spalla preferita, Herbert Ballerina, Quel bravo ragazzo – ha un suo interesse che va oltre il collocarsi nell’alveo di Medusa, via la Lotus Production di Marco Belardi, di fatto nata soprattutto attorno al rebranding di Paolo Genovese (senza Luca Miniero), da Immaturi in poi, ma appunto, propensa a tentativi più sperimentali, piccoli azzardi, esplorazioni di nuove vie. 

Superando l’equivoco che Maccio sia un talent del web, addirittura uno youtuber, intruppato in una categoria vaghissima e dai contorni indefiniti, insieme ad alcuni collettivi creativi digital-emergenti, in particolare i The Pills e i The Jackal, risulta evidente che la griffe Capatonda (con la sua ShortCuts Productions) è invece nata in tv, addirittura poco prima dell’esplodere autentico del consumo in rete, con le clip e gli sketch per il programma-contenitore comico di Italia 1 Mai dire. Poi, disseminandosi anche altrove in tv, tra All Music e Mtv (che offre, nel 2013, a Maccio il primo racconto strutturato di fiction con la sitcom Mario), si è dimostrata perfettamente coerente con il nuovo ambiente digital, le sue abitudini di consumo e di fruizione, i suoi modi di diffusione immediati e virali. Un po’ com’è accaduto per I soliti idioti, protagonisti di una sketch comedy Mtv divenuta un fenomeno di costume, poi molto condivisa online in forma di clip, e da lì infine approdata al cinema, con ben due film di successo Taodue con Medusa, giusto qualche anno prima. 

Superando l’equivoco che Maccio sia un talent del web, addirittura uno youtuber, intruppato in una categoria vaghissima e dai contorni indefiniti, insieme ad alcuni collettivi creativi digital-emergenti, in particolare i The Pills e i The Jackal, risulta evidente che la griffe Capatonda (con la sua ShortCuts Productions) è invece nata in tv.

In quel particolare momento storico, le produzioni di Maccio e della sua crew hanno le caratteristiche editoriali e di formato ideali per le nascenti piattaforme on demand e più ancora per la condivisione social: concept semplici, rapidi e diretti, spesso anche piuttosto ingegnosi (soprattutto parodie e torsioni demenziali di format e di contenuti seri), organizzati in sequenze/serie; immediata riconoscibilità dei character (anche oltre Maccio, il suo entourage, fortemente stilizzato e cartoonizzato); comicità visiva catch-eye e storpiature linguistiche/sintattiche. Non si tratta di una comicità generalista, ma è riconosciuta da più parti intelligente e per un pubblico selezionato. Anzi, il restare in equilibrio tra i due mondi, quello televisivo d’origine e quello digitale d’adozione, è molto probabilmente la marcia in più che Capatonda ha rispetto alla piccola ma agguerrita truppa di web original, nello stesso momento quasi tutti cooptati dal cinema (anche da Medusa: Valsecchi e Taodue producono Sempre meglio che lavorare di e con i The Pills, Colorado farcisce il cast del suo teen movie demenziale Fuga di cervelli di nomi come Wilwoosh e Frank Matano, direttamente da YouTube). Però, di fatto, (quasi) mai con successo (in sala, almeno). 

Viceversa, l’esordio di Maccio con Italiano medio si realizza sotto premesse completamente diverse, costituzionalmente più cinematografiche, com’è nel pedigree del suo protagonista-autore di se stesso, fin dagli inizi interessato ad approdare sul grande schermo. D’altronde, la prima scaturigine del film parla chiaro: è una sorta di auto-remake dilatato del fake trailer di un vero film (Limitless, 2011), realizzato per un programma tv di Antonello Piroso in onda su La7. Il concept di partenza del film (cosa succederebbe se potessimo usare più del 20% del nostro cervello, come invece facciamo abitualmente?) è abilmente “maccizzato” alla sua solita maniera sghemba (che cosa succederebbe se potessimo usare solo il 2% del nostro cervello?). Però Italiano medio potrebbe incuriosire potenzialmente un pubblico più generalista, visto che sviluppa un discorso satirico più ampio (l’Italia, l’ambiente, il rispetto del prossimo), dove il Giulio Verme di Capatonda potrebbe quasi essere un Fantozzi 3.0, aggiornandone certi tratti di inadeguatezza e di sottomissione al mondo circostante. La parabola degli incassi del film, uscito in sala a gennaio, a sfruttare un momento di mercato sempre più frequentemente favorevole all’uscita di titoli sleeper (come a Medusa sanno bene), è quanto mai chiara: una forte fiammata nel primo weekend, con un graduale spegnimento già nel corso della settimana successiva, a significare che la chiamata del film non si è davvero estesa oltre il fandom più appassionato. 

Il restare in equilibrio tra i due mondi, quello televisivo d’origine e quello digitale d’adozione, è molto probabilmente la marcia in più che Capatonda ha rispetto alla piccola ma agguerrita truppa di web original, nello stesso momento quasi tutti cooptati dal cinema.

Allora, probabilmente, due anni dopo, l’opera seconda, Omicidio all’italiana, è più pensata con Medusa e Lotus in direzione di un superamento della logica only for fan, a partire da un titolo che si è preferito ad altri più criptici e Maccio-style (Assassurdo, Chi l’ha acciso), riconducibile a una tradizione cinematografica nazionale (la commedia all’italiana) e insieme a un atteggiamento “all’italiana” sinonimo di cialtroneria e di pressapochismo. Con la sua storia di un piccolo paesino sperduto di montagna, messo a soqquadro da un omicidio bizzarro in grado di calamitare l’attenzione scatenata dei media, Omicidio all’italiana è certo un film più complesso di Italiano medio, meno diretto, auto-evidente e gratificante, anche nell’innegabile difficoltà a ridurlo a un concept immediatamente comunicabile. Portatore di uno sguardo mordace su un fenomeno scivoloso e ambiguo (la fascinazione morbosa dei media e del pubblico per la cronaca nera), nei confronti del quale assume una posizione poco conciliante, quasi moralistica, cerca di aprirsi a quel pubblico altro più tradizionalista, blandendolo con una scelta di casting precisa (Sabrina Ferilli diabolica conduttrice da tv del dolore) e con una confezione visiva meno estrema rispetto a Italiano medio. La sua natura conclamata di ibrido si traduce in una vita in sala breve e poco felice, con un’uscita di inizio marzo 2017, segnata dal mancato passaparola e da una certa freddezza dell’esercizio, che ancora ricorda il consumarsi rapido e precipitoso del precedente Italiano medio

Come a dire che investire su un talento emergente, oltre i soliti noti e le filiere consolidate, per farne un valore cinematografico consolidato (e non un fuoco di paglia), è un’attività che richiede tempo, procede per prove ed errori, affina gradualmente il tiro e le ambizioni, nasce da un dialogo costante e continuo tra creatività, produzione e distribuzione. Ancor più quando passa da operazioni “transmediali”, va raggiunto un difficile equilibrio tra diverse anime, con l’ambizione di andare oltre gli happy few fedelissimi e già catechizzati, senza smarrire l’identità di partenza. Que viva Maccio, e in Medusa!


Rocco Moccagatta

Critico e studioso di cinema, televisione e new media, analista dei media e insegna Storia del cinema delle origini e classico e Modelli e scenari televisivi e crossmediali nazionali e internazionali presso l’Università IULM di Milano. Da sempre si occupa di generi popolari e di cinema italiano del passato e contemporaneo. Scrive o ha scritto su FilmTv, L’Officiel Homme, Duel/Duellanti, Segnocinema, Comunicazione politica8 ½ , Marla, Nocturno Cinema. Ha appena pubblicato un libro sul cinema dei fratelli Vanzina. È stato ribattezzato “Giancarlo Cianfrusaglie” da Maccio Capatonda e ne va orgoglioso.

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