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Onda spagnola

La Spagna ha un ruolo sempre più importante nelle narrazioni televisive contemporanee. Viaggio alla scoperta di un nuovo centro produttivo, dove le storie locali ottengono un successo globale.

La Spagna non è più un centro produttivo di periferia. L’industria televisiva e cinematografica in pochi anni è cresciuta vertiginosamente, e complici lo zampino dello streaming e una valanga di finanziamenti pubblici ormai è in grado di competere da protagonista sul mercato internazionale. A maggio 2020, il governo spagnolo ha alzato da 3,6 milioni a 14,4 milioni di dollari il tetto per i rimborsi fiscali di progetti internazionali e per le produzioni locali. Nel marzo 2021, il primo ministro Pedro Sánchez ha stanziato 1,9 miliardi di dollari per il potenziamento dell’industria audiovisiva locale, con l’obiettivo di attirare player internazionali per girare nuovi titoli e aprire centri di produzione in Spagna. Questa apertura è diretta conseguenza del grande successo di alcune serie tv che però si collocano in una posizione quasi antitetica rispetto alle caratteristiche dell’audiovisivo dell’era globale.

Smarcandosi dalla definizione tradizionale di global film, inteso come solo fenomeno produttivo pensato per essere fruito in egual modo dal pubblico di tutto il globo, la studiosa Veronica Pravadelli aggiunge il fatto che la struttura di questi prodotti “mostra un legame forte – fino a rispecchiarlo in alcuni casi – con le dinamiche della globalizzazione […, dove] gli spazi e gli ambienti mostrati e/o rappresentati restituiscono l’idea del pianeta come totalità, entità unitaria e percorribile nella sua interezza”. Stanno in questo filone i film di spionaggio (dalla saga di Jason Bourne a quella di 007), quelli d’autore (volendo essere un po’ spericolati possiamo far aprire la tendenza da Happy Together di Wong Kar-wai) e, perché no, considerare anche quelli pro loco di Woody Allen. In questo panorama interconnesso la serialità fa fatica a integrarsi: le produzioni non hanno budget sufficienti (tra i pochi titoli consapevolmente in questo orizzonte c’è Sense8). A circolare, nell’era della tv globalizzata, sono i format, le serie di successo sono vendute, girate e adattate ex novo nei Paesi di destinazione. Questo fino all’avvento dello streaming.

La serie che visse due volte 

In principio fu La casa di carta, e come sempre più spesso succede in questi anni, quando si parla di successi seriali “globali”, il merito e la colpa sono di Netflix. 2015: Atresmedia, a seguito del discreto successo della serie carceraria Vis a vis, commissiona ad Álex Pina (sceneggiatore) e Jesús Colmenar (regista) un nuovo progetto da mandare in onda su Antena 3, una delle tre reti televisive principali del Paese. Per l’occasione Pina e Colmenar fondano una casa di produzione, la Vancouver Media, e danno forma alla prima grande rapina della tv spagnola, La casa di carta. Álex Pina all’inizio la concepisce come una miniserie, ma le cose vanno diversamente. L’esordio su Antena 3 fa ben sperare (più di 4 milioni di telespettatori), poi gli ascolti calano e nel complesso la serie è accolta tiepidamente. Qui entra in gioco Netflix, che la acquista in blocco assieme ad altri titoli Antena 3/Atresmedia. Per l’occasione la serie sarà rimontata e resa più snella: i 15 episodi originali passano da 75 a 50 minuti e diventano 22. Nel 2018, senza una vera campagna pubblicitaria, La casa di carta diventa un successo internazionale ed è rinnovata da Netflix per altre tre stagioni (ora la new hot sensation di Netflix è Squid Game, serie coreana pensata come autoconclusiva, ed è facile immaginare come anche stavolta andrà a finire).

La collaborazione tra Álex Pina e Netflix si rivela quindi più che fortunata, e fanno così seguito altri titoli come White Lines (2020), che non incontra il successo sperato (chiuso dopo la prima stagione), e Sky Rojo (2021). Quest’ultima riduce sia gli episodi (8) sia il minutaggio (25”), restando nel mondo della criminalità e dintorni, con tre prostitute in fuga da un pappone. L’obiettivo è ovviamente quello del successo istantaneo, “cotto e mangiato”, ma il titolo di punta resta sempre La casa di carta

Di fatto, con La casa di carta inizia un’era in cui a essere esportate non sono solo le serie tv statunitensi (a volte nate dall’adattamento di format stranieri cannibalizzati e reimmessi sul mercato internazionale – Betty la fea, Hatufim e Good Doctor, per citare i casi più famosi): lo streaming rende la circolazione dei titoli pressoché immediata, senza il bisogno di reimmaginare il prodotto, i sottotitoli sono un ostacolo via via minore e il pubblico globalizzato è abituato ad appassionarsi a storie con protagonisti fisicamente diversi dal suo riflesso, ma in cui può comunque identificarsi emotivamente, mettendo a norma nella pratica quello che era già un fenomeno sotterraneo (e illegale) molto vivo.  

Stile soap

La casa di carta ha spalancato alla serialità spagnola (o a una sua fetta particolarmente appetibile) le porte del mercato globale, facendole fare il “grande” salto dalla tv generalista allo streaming, diventato un catalizzatore in grado di abbattere i tempi e le distanze, nel pieno spirito della globalizzazione. Netflix scommette sulla Spagna e nel 2018 apre a Tres Cantos, appena fuori Madrid, il suo primo centro di produzione europeo. Tra gli altri titoli che trovano riscontro immediato c’è Élite, versione aggiornata di Fisica o chimica (entrambe a firma di Carlos Montero e Darío Madrona). Quest’ultima serie da noi ha avuto una vita breve ma intensa, tra attacchi di Libero, polemiche con Carlo Freccero allora direttore di Raidue, interruzioni. Élite è ancora più spregiudicata: scuola privata con adolescenti impegnati in lotte di classe, sesso e omicidi misteriosi, ma è trasmessa on demand e nessuno ha avanzato lamentele. La serie è un successo, per Montero arrivano altri ingaggi (Il caos dopo di te) e altri prodotti cavalcano l’onda.

La formula del successo per le serie spagnole sdoganate dallo streaming è un mix che unisce il giallo e la soap, strizzando l’occhio al mondo degli adolescenti e con la giusta spruzzata di “locura”. In questo senso incarnano alcune delle caratteristiche tipiche del cinema postmoderno contemporaneo che nel pastiche, spesso citazionistico, dei generi trova una formula facile per calamitare l’interesse del pubblico: la telenovela si contamina con il mind-game movie.

I tag Netflix incasellano tutti questi titoli come “stile soap”, “tensione crescente”, “avvincente”, “emozionante”, “suspense”. La formula del successo per le serie spagnole sdoganate dal colosso streaming è un mix che unisce il crime e la soap, strizzando l’occhio al mondo degli adolescenti e con la giusta spruzzata di “locura”. In questo senso incarnano alcune delle caratteristiche tipiche del cinema postmoderno contemporaneo che nel pastiche, spesso citazionistico, dei generi trova una formula facile per calamitare l’interesse del pubblico: la telenovela si contamina con il mind-game movie.

Anche per il cinema in streaming il discorso sui generi e sui temi è similare. Basta citare la trilogia tratta dai thriller di Dolores Redondo, Il guardiano invisibile, Inciso nelle ossa e Offerta alla tormenta, tutti distribuiti da Netflix e diretti da Fernando González Molina, già regista del remake spagnolo di Tre metri sopra al cielo, prodotto tra gli altri da Álex Pina. Quelli di sceneggiatori, registi (e attori) sono tutti nomi che tornano: i player internazionali difatti non sono arrivati per invadere un segmento produttivo, ma lo hanno foraggiato valorizzando quanto già presente sul posto. 

Investire sul territorio 

In risposta al fenomeno del global cinema la serialità spagnola ha saputo investire, anno dopo anno, sul territorio, concentrandosi su storie legate alla propria identità culturale e dando modo alle maestranze locali di proseguire nella costruzione di una solida rete di strutture produttive e professionali. Il riscontro del pubblico internazionale sembra quasi un effetto collaterale (come lo è stato, in origine, per La casa di carta), ma è stato accolto come un segnale chiaro: non serve puntare su temi transnazionali per essere appetibili, anzi sviluppare storie locali ha un doppio vantaggio: in primo luogo permette di creare prodotti che raccontano con cognizione di causa la propria realtà (rendendo i titoli interessanti per il mercato interno), in seconda battuta risponde anche alla vocazione turistica dell’audiovisivo, d’appeal quindi per il pubblico internazionale che è trasportato in nuove parti di mondo, sfruttando il magnetismo di luoghi mai visitati ma sognati, spesso sconosciuti e irraggiungibili.

Questo nuovo fermento produttivo in loco, per esempio, ha visto il proliferare di serie ambientate in Galizia, drammi e noir, tant’è che – dopo i fortunati anni del noir nordico – ora si parla di noir galiziano, con titoli come Il caso dopo di te (di Montero) e Il sapore delle margherite (O sabor das margaridas), o Auga seca (Dry Water) per Hbo, tutti recitati in lingua galiziana. I paesaggi di questa regione giocano un ruolo centrale: coste frastagliate, spiagge sabbiose, cittadine costiere ventose e campagne collinari, la gamma di ambientazioni rurali si rivela particolarmente adatta per i thriller, in superficie sembra essere tutto tranquillo, ma la sottile inquietudine che pervade il paesaggio si rivela perfetta per alimentare la suspense. Grande vantaggio inoltre è la presenza di maestranze tecniche e creative locali. Netflix, Hbo España, Amazon e Movistar+ si sono quindi inseriti in un’industria locale molto attiva e consolidata, dandole l’opportunità di una lente – e un budget – internazionali.

Altre storie 

Ad arricchire la proposta, dal 2019 sono iniziate anche le produzioni Hbo España – 5 solo nel 2020 (tra queste 30 monedas di Álex de la Iglesia, miniserie horror nel tipico stile grand guignol del regista). Queste serie sono caratterizzate da un livello qualitativo in media più alto rispetto a quelle del catalogo Netflix, e uniscono l’attenzione per soggetti dal carattere particolarmente forte, nella tradizione della rete, a storie connotate in modo ancora più stringente a livello storico e locale, non limitandosi a sfruttare il territorio e i professionisti del settore, ma puntando a raccontare temi di snodo della storia e della cultura spagnola, con un’adesione decisa all’immaginario e all’identità nazionali, in ottica anti-global, con la capacità di riflettere su tematiche identitarie, sociali e culturali, con un altro grado di complessità. 

Grazie all’uscita di Veneno e a questa strategia ibrida Atresplayer Premium ha registrato un incremento dei suoi abbonati del 42%. La storia di Cristina Ortiz Rodríguez, in arte la Veneno, icona transessuale della cultura pop spagnola degli anni Novanta, è diventata così il titolo queer cult del 2020.

Una storia simile a quella di La casa di carta è quella di Paquita Salas di Javier Ambrossi e Javier Calvo. Nata come serie web per Flooxer (proprietà di Atresmedia), la sitcom è comprata da Netflix, piace ed è rinnovata per altre due stagioni (una quarta è in arrivo). La consacrazione internazionale per i due autori arriva però con un’altra serie, Veneno, prodotta sempre da Atresmedia ma per la piattaforma streaming Atresplayer Premium e comprata per mercato internazionale da Hbo Max. In Spagna i primi 3 episodi della miniserie sono stati proiettati al cinema e poi, per promuovere il finale, in chiaro su Antena 3, con ottimi ascolti: grazie all’uscita di Veneno e a questa strategia ibrida Atresplayer Premium ha registrato un incremento dei suoi abbonati del 42%. La storia di Cristina Ortiz Rodríguez, in arte la Veneno, icona transessuale della cultura pop spagnola degli anni Novanta, è diventata così il titolo queer cult del 2020. Tratta dalla biografia ¡Digo! Ni puta ni santa scritta da Valeria Vegas, la serie fotografa i cambiamenti del Paese nei confronti delle politiche identitarie e sessuali. 

Un altro successo di critica è stata Patria, miniserie basata sul bestseller di Fernando Aramburu e prodotta da Alea Media per Hbo España, lanciata con un primo episodio in chiaro su Telecinco (confermando la via ibrida). La storia va dagli anni di piombo del post-franchismo al 2011, anno in cui l’Eta – dopo la tregua del 2006 – annuncia la definitiva cessazione delle attività terroristiche. Le vicende di due famiglie basche, la presenza pervasiva del terrorismo e la sua pesante eredità sono al centro della narrazione. Alla sceneggiatura c’è Aitor Gabilondo, fondatore di Alea Media (con Mediaset España) che, dopo il grande successo ottenuto con El Príncipe (con picchi share del 33% su Telecinco), è tra le firme più quotate – la serie è arrivata anche su Canale 5, ma con risultati modesti. Patria, diretta da Óscar Pedraza, regista anche di Sky Rojo, abbraccia a pieno il marchio Hbo senza tradire la radici del soggetto. In entrambi i casi, per il mercato italiano non ci sono notizie in merito: Sky detiene i diritti di distribuzione di Hbo fino al 2024.
Sia che si tratti di produzioni con intenti smaccatamente mainstream, facili quindi da inserire nei cataloghi streaming di tutto il mondo, o di serie più high profile, ciò che si è verificato nella filiera dell’audiovisivo in Spagna è stato un rafforzamento delle produzione incentrate su storie, temi e protagonisti locali, ponendosi così non solo in controtendenza con le spinte global e transnazionali degli ultimi vent’anni, ma anzi rafforzando quella tendenza – più recente – che punta al recupero e alla valorizzazione delle identità territoriali. Ma in una forma accessibile indiscriminatamente al pubblico di tutto il mondo.


Lorenzo Peroni

Storico dell'arte con una lunga storia d'amore per il cinema e la scrittura, non sempre corrisposto. Scrive per Artslife e Doppiozero.

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