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Nuove stagioni?

L’emergenza sanitaria, per la produzione scripted, è diventata anche emergenza produttiva. Negli Stati Uniti e in Europa, per i broadcaster, le case di produzione e le piattaforme on demand. Problemi e opportunità del new normal.

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Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 26 - Dopo l'evento. I media e la pandemia del 09 novembre 2020

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Era dalla crisi finanziaria del 2008 che l’ecosistema audiovisivo mondiale non si trovava al centro di una turbolenza tanto imprevista ed estesa da modificarne configurazioni e pratiche, a cominciare da quelle produttive. La pandemia di Covid-19 sta mettendo a dura prova la sostenibilità dei processi produttivi: per le tempistiche dilatate, per la difficoltà oggettiva dei nuovi protocolli, quelli sanitari e assicurativi in primis, per le complessità gestionali del “fattore umano”, così drammaticamente impattato dal lockdown. E tutto questo in un contesto che vede i costi moltiplicarsi insieme alle incognite, mentre le risorse finanziarie si contraggono, almeno nei dintorni dei broadcaster tradizionali, in particolare quelli commerciali e legati alla pubblicità. Tra tutti i feriti della guerra invisibile, lo scripted, genere premium dell’intrattenimento, è al centro di movimenti divergenti: croce e delizia del sistema, da una parte sconta la propria complessità in termini di finanziamento, pianificazione editoriale e realizzazione, e dall’altra resta saldamente sul podio dell’industria come genere più ambito e strategico (anche se con spostamenti sempre più marcati dalle free verso gli streamers).

La nuova stagione statunitense

Basta dare un’occhiata ai palinsesti televisivi autunnali dei network statunitensi per avere la misura palpabile dei danni immediati della pandemia sullo scripted. Il sistema produttivo americano, ancora in gran parte ancorato al ciclo rigido della pilot season (piloti che si girano tra febbraio e aprile, per essere selezionati dai network a maggio, e solo a quel punto mandati in produzione da giugno a settembre) e basato su un tasso di consumo del prodotto originale che prevede pochissime scorte, è stato messo in ginocchio dai lockdown e dalla necessità di ricostruire tutto il processo scommettendo su sceneggiature scritte con tempistiche proibitive e brancolando nell’incertezza di pochi ordini straight-to-series. Non ci si poteva dunque aspettare molto dalla partenza autunnale, e la realtà ha confermato le fosche previsioni. La maggior parte dei network – costretti ad attendere la consegna o conservare la fiction nuova per i november sweeps – ha riempito gli slot tradizionalmente illuminati dalle serie originali con intrattenimento e sport. I palinsesti, ripensati, non sono riusciti a costituire un richiamo adeguato e, nella prima settimana di garanzia, i network e le cable hanno dovuto registrare un calo di oltre il 20% del totale ascolto rispetto alla stagione scorsa, a dimostrazione che senza l’appuntamento storico con le serie nuove il pubblico americano fatica a tornare sui network.

La pandemia ha fatto esplodere una fame di contenuti già prevista in crescita esponenziale fino al 2030, con conseguenti grandi possibilità di espansione del business per i fornitori europei (perché gli Svod devono destinare per legge il 30% dell’offerta ai prodotti del continente).

Non era peraltro mai capitato che giganti come Cbs e Fox si trovassero ad aprire la stagione, pur di avere prodotto scripted, con piccole serie “gentilmente usate”, il modo in cui gli addetti ai lavori definiscono questa nuova tendenza dei network di promuovere al proprio prime time prodotti acquistati o “prestati” da piccole piattaforme o canali, all’interno o all’esterno dei gruppi editoriali di appartenenza. In questo caso, sia Cbs sia Fox hanno sperato che la minima penetrazione della piattaforma Spectrum (della telco Charter Media) garantisse ai titoli scelti, rispettivamente l’anthology true crime Manhunt: Deadly Games e il poliziesco L.A.’s Finest, di essere promossi come novità network, ma il verdetto eufemisticamente tiepido del pubblico non ha premiato questa soluzione creativa. Anche The Cw, non riuscendo a costruire per la nuova stagione un output in linea con quello dell’anno precedente, ha attivato il gentle use. Qui, però, la scelta di far debuttare in piena stagione di garanzia la coproduzione internazionale a dna italiano Devils, thriller finanziario sulla carta parecchio distante dalla linea supereroi e fantasy tipica del giovane network, se si rivelerà un successo, potrebbe confermare un mutamento epocale per la produzione europea: smarcarsi dall’etichetta dell’esotismo indie, trasformarsi da ospite sporadica di premium cable o Ott di nicchia ad abitante con pieno diritto dei palinsesti dei network.

Apertura all’Europa

In questa direzione va l’ingente investimento produttivo degli Sky Studios Elstree nei dintorni di Londra, i cui lavori sono partiti nella primavera 2020, resi possibili anche dagli investimenti di Comcast: dodici studi di posa (su una superficie equivalente a diciassette campi di calcio), con spazi totalmente modulabili per offrire le migliori soluzioni a prova di Covid-19. Un giro di investimenti produttivi nell’economia scripted e unscripted previsto di 3 miliardi di sterline in 5 anni, con l’obiettivo di sviluppare un nuovo modello di contenuto imperdibile per il mercato statunitense, data la qualità ineccepibile dei prodotti (scripted e grande cinema) e la maggiore efficienza realizzativa (comodità e sicurezza delle location, costi, tempi e condizioni sanitarie e assicurative più vantaggiose). Sicuramente la pandemia ha fatto esplodere una fame di contenuti già prevista in crescita esponenziale fino al 2030, con conseguenti grandi possibilità di espansione del business per i fornitori europei (perché gli Svod devono destinare per legge il 30% dell’offerta ai prodotti del continente).

Che Netflix, Amazon, Hbo e più recentemente Disney e Apple vedano nell’Europa un mercato imprescindibile per il loro sviluppo e per il sostentamento dell’output produttivo, è ormai chiaro. La battaglia strategica si gioca sull’approvvigionamento continuativo e massivo di prodotto “fresco”, per stare al passo con gli appetiti e gli umori sempre più bulimici dei nuovi clienti. L’arena è resa incandescente dal fatto che la maggior parte dei conglomerati media americani (Warnermedia, NBCUniversal, ViacomCBS) si stanno configurando anche come streamer, con l’obiettivo di ottenere nuovi ricavi e clienti traendo vantaggio dalla ricchezza dei cataloghi e insieme minando la forza dei competitor, riducendo al minimo le vendite di contenuto pregiato a terzi.

In questa polarizzazione e arroccamento sui contenuti proprietari da parte dei media giant statunitensi si apre la partita per i player europei. Certo, con rischi che non vanno sottovalutati sotto il profilo della spartizione dei diritti e delle specificità culturali, come sottolineano di frequente in questi mesi numerose associazioni europee di produttori. Ma anche con opportunità importanti per un settore che ha bisogno di avere nuovi impulsi per fare fronte alle avversità epidemiche e per crescere.

Fare economie di scala, contenere i costi

Per rispondere al bisogno degli Svod e gestire la produzione in un momento così sfidante, le case di produzione hanno la necessità di fare scala, e risultare competitive su un mercato che non può più essere solo quello locale. Ecco il motivo delle tante ondate di consolidamento, già iniziate pre-pandemia, che stanno portando alla costituzione di veri e propri giganti dell’intrattenimento, come quello battezzato tra Banijay e EndemolShine, ma anche alla nascita di tante super indies europee creativo-distributive. La logica è quella di “federare” boutique produttive pregiate, attive in mercati diversi, per costituire gruppi paneuropei che valorizzino al massimo la creatività e i talenti locali, ma che siano anche in grado di metterli in sinergia nei progetti di co-produzione internazionale, di approfittare dei migliori incentivi, oltre che di controbattere all’approccio “totalitaristico” degli streamers con una distribuzione mirata per territori. I capofila di questa strategia sono per ora in Francia e Germania: si fanno notare Picture Perfect Federation, che dalla Francia in poco più di cinque anni ha acquistato la maggioranza di Fabula, aperto operazioni nuove in Spagna, creato una joint-venture negli Stati Uniti; o Mediawan Alliance, entità di “alleanze” paneuropee, sostenuta dai fondi  Kkr e Macsf, scatenata nello shopping di indie europee, mirando ad acquistare anche la nuova super indie tedesca Leonine, a sua volta frutto dell’alleanza tra le case di produzione tedesche più cool del momento (come Wiedemann & Berg).

Gli altri attori coinvolti nel momentum della produzione sono i broadcaster europei, che non hanno i budget stellari degli streamers e non sono stati baciati, durante la pandemia, dalla fortuna di trasformare il ritorno del pubblico tv davanti al focolare tradizionale in investimenti pubblicitari, per cui si trovano a fare i conti con un logorante taglio dei costi e risparmio sui palinsesti. All’interno di questa congiuntura comune si innestano direzioni strategiche diverse. 

Nella rapidissima evoluzione del mercato, i broadcaster devono individuare direzioni evolutive non più procrastinabili. Posizioni e orientamenti sono diversi, ma i broadcaster sono accomunati dalla consapevolezza che il presidio del valore del contenuto proprietario, la capacità di configurarsi come fornitore di prodotto di standard globale e la scala paneuropea sono le chiavi per la sopravvivenza nell’ecosistema dell’intrattenimento. Un’altra tendenza è la diversificazione del business, con il lancio di offerte direct-to-consumer, che alcuni scelgono per combattere l’invasione degli streamers sul loro terreno, finanziando in modo autonomo contenuti per l’intera famiglia di canali e limitando al massimo le collaborazioni con terzi (è il caso di Rtl con TvNow), e altri come nuova fonte di revenues e clienti (AtresPlayer Premium, Joyn Plus). A partire dal mercato più maturo e più prezioso per i clienti americani, quello britannico, si individua poi la via più ambiziosa nella costituzione di studios produttivi propri, ma rivolti al mercato internazionale (Bbc Studios, Sky Studios, Buendìa Studios di Atresmedia e Movistar), mentre altri broadcaster commerciali europei cercano un consolidamento strutturale con realtà omogenee (Mediaset prosegue il suo percorso evolutivo verso una realtà compiutamente paneuropea, dopo la presenza in Italia e Spagna e la partecipazione in Pro7), per mantenersi competitivi nella nuova era.

I broadcaster devono individuare direzioni evolutive non più procrastinabili: posizioni e orientamenti sono diversi, ma è comune la consapevolezza che il presidio del valore del contenuto proprietario, la capacità di configurarsi come fornitore di prodotto di standard globale e la scala paneuropea sono le chiavi per la sopravvivenza nell’ecosistema dell’intrattenimento.

Risposta alle sollecitazioni

In maniera quasi universale, comunque, il day-by-day dei broadcaster si potrebbe chiosare con il motto “l’unione fa la forza”: le partnership, più o meno “ortodosse”, diventano la pratica più utilizzata per colmare il gap di risorse finanziarie, da parte dei broadcaster, e di disponibilità di prodotto originale o in anteprima, da parte delle piattaforme, dovuto alla pandemia. Se ci sono infatti aspetti positivi in un sistema così fortemente impattato dal Covid e dallo streaming chaos sono la caduta dei modelli unici di business e l’elasticità pragmatica che impronta gli accordi che hanno come obiettivo di poter generare racconti di qualità.
Il drama si trova a esplorare un ciclo di vita articolato in modi nuovi, sulla cui efficacia è difficile avere controprove. In attesa di certezze, le serie commissionate dai broadcaster, diventate improvvisamente molto appetibili per gli Svod in penuria di propri originals, a volte esordiscono sulle piattaforme per poter esistere (il modello di co-finanziamento che si prevede ha una prima finestra, con orizzonti temporali che variano molto da Paese a Paese, in cambio della copertura della maggior parte del budget di serie che altrimenti rischierebbero di non venire finanziate). Oppure, nei casi di serie ritenute difficili, per dare alla storia il buzz necessario a incuriosire poi anche il pubblico generalista. In altre occasioni si tenta la via della condivisione massima nella (quasi) contemporaneità della distribuzione, in un incessante esercizio di creatività negoziale che molti vedono come il bacio della morte degli Svod alle tv e alcuni invece leggono come boccata d’ossigeno per il prosieguo della vita. Fino alla prossima frontiera.


Ludovica Fonda

È la responsabile dello sviluppo internazionale scripted e delle coproduzioni per Mediaset. Collabora con l'università Cattolica ed è co-curatrice, nell'ambito dello Short-Film Market a Torino, di Oltrecorto, progetto di sviluppo internazionale dai corti ai lunghi e alle serie tv.

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