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Ma per ora vince Netflix

Non c’è pace nel mondo del non lineare, parte seconda. Se non l’ha proprio inventato, l’azienda di Los Gatos ha tracciato un confine chiaro del mercato. E per ora lo presidia saldamente.

Netflix è il leader assoluto del mercato Svod a livello mondiale. Punto. Ha conquistato la vetta muovendosi tempestivamente, anticipandone e dettandone le tendenze e investendo moltissimo denaro. Quali sono le prospettive di tenuta o di crescita del colosso dello streaming, ora che sta per scatenarsi la battaglia? Il cambio di passo delle major statunitensi, che entrano nel mercato lanciando piattaforme proprie, per Netflix non significa soltanto più concorrenza, ma vuol dire anche fronteggiare la prospettiva di una penuria di contenuto disponibile. Se è evidente che i titoli autoprodotti stanno aumentando, infatti, il catalogo di Netflix è stato finora molto debitore verso il contenuto altrui.

La forza resistente delle sitcom

Secondo uno studio di 7Parks, su un campione di 3,5 milioni di utenti di Netflix, Hulu e Amazon Prime Video, nella top ten delle serie Netflix metà sono originali e metà provengono dagli altri studios: The Office, Friends o Grey’s Anatomy. E proprio Friends è stata al centro di un caso significativo: tra gli abbonati a Netflix si è diffuso il panico quando si è saputo che i diritti della sitcom sulla piattaforma sarebbero scaduti a fine 2018; Netflix ha dovuto rassicurare tutti, confermando che la serie non avrebbe lasciato la piattaforma prima del 2020, e si è affrettata a stipulare un rinnovo con Warner. Rinnovo che, però, pare sia costato circa 100 milioni di dollari per il solo 2019, a fronte dei 30 milioni dell’accordo quadriennale 2014-18. AT&T Warner, dal canto suo, ha dichiarato di essere ben conscia del valore degli accordi con le piattaforme e, prospettando un futuro sempre più affollato di operatori, ha parlato di un sistema di finestre dinamico e di diritti non in esclusiva. Solo qualche mese dopo, delineando l’offerta della sua piattaforma, tuttavia, affermava che “i gioielli della corona sarebbero rimasti in casa”.

Si sta chiarendo sempre più quanto siano preziose per le piattaforme le sitcom off-network più longeve, tanto che Disney+ ha scelto di annunciare data di lancio e prezzo del suo servizio legandolo al rilascio, dal 12 novembre, delle 30 stagioni dei Simpson, e non al debutto di una delle strombazzatissime serie legate a Marvel o Star Wars. Proprio Disney, che tra le major è quella più aggressiva, ha già annunciato da tempo il ritiro di tutti i suoi titoli da Netflix, man mano che scadono gli accordi. Questo ha portato a cancellare i quattro titoli Marvel sviluppati ad hoc per la piattaforma e significherà che un’altra delle serie più amate, Grey’s Anatomy, sparirà presto, con il catalogo Fox confluito in Disney dopo l’acquisizione. Ma non è un fulmine a ciel sereno per Netflix: se nel 2017 il 24% del catalogo proveniva da Fox, nel 2018 la percentuale è già scesa al 4%, con buona parte della library della major migrata su Hulu.

Quanto all’ultimo titolo da tutti citato come emblema della dipendenza di Netflix dalle major, The Office (ancora una volta una sitcom evergreen), si dovrà attendere la decisione di Nbc Universal alla scadenza del contratto, nel 2021. Il servizio streaming Nbc arriverà per ultimo e con un modello ibrido Svod/Avod, ma al di là delle dichiarazioni rese a inizio anno sulla necessità di ragionare e decidere titolo per titolo, sembra assodata la tendenza delle major a riprendersi la gran parte dei propri programmi, soprattutto se hanno già dimostrato di essere top performer online.

Il prezzo degli originals

Ancora una volta Netflix è stato lungimirante. Si calcola che nel 2018 circa il 30% del catalogo di Netflix negli Stati Uniti fosse proveniente dalle major. Ma il contenuto originale per Ampere Analysis è passato dal 4% del dicembre 2016 all’11% di dicembre 2018. Se si considera il numero di titoli, il 25% del 2016 è diventato il 51% del dicembre 2018. E, calcolando i prossimi titoli annunciati, a metà 2019 il sorpasso dei titoli originali su quelli di acquisto verrà consolidato definitivamente.

Cbs, Warner e Universal continuano, per ora, a produrre per o a vendere a Netflix: oltre ad aumentare la produzione originale Netflix aumenta anche il volume dei prodotti acquistati in esclusiva per i suoi servizi, venduti e brandizzati worldwide come originals. Star Trek: Discovery fuori dagli Usa, i titoli teen in onda su The Cw (prodotti da Warner e Cbs). E lo stesso fanno i distributori europei, con per esempio Peaky Blinders fuori dal Regno Unito. In futuro si vedrà. Come sempre, però, Netflix ha dimostrato di vederci lungo, facendo i compiti in anticipo: la sua strategia, iniziata sei anni fa, va chiaramente verso l’autosufficienza e questo la mette in posizione di forza rispetto agli altri giganti dello streaming come Amazon. A ciò si aggiunge il vantaggio di first mover rispetto a tutti i nuovi arrivati, Disney+ compresa.

Sia per Netflix sia per gli altri servizi è ormai assodato come siano i contenuti originali ad attirare nuovi abbonati mentre il prodotto in licenza, magari già popolare e con un cospicuo numero di episodi, aiuta la retention. La produzione di fiction originale Netflix è aumentata in maniera esponenziale nel 2018 e non accenna a diminuire. A serie, sitcom e animazioni si affiancano inoltre contenuti di altri generi, dal documentario all’intrattenimento. Tuttavia, se la strategia mette al riparo Netflix dal pericolo di veder depauperata la propria offerta per la fuga delle major, non è detto che dia un vantaggio economico. Per esempio, Disney può contare su enormi economie di scala e su un ampio ventaglio di possibilità per piazzare i propri titoli in un ecosistema che comprende canali network, cable, tematici e piattaforme, mentre Netflix deve continuare a svenarsi per popolare solo la propria piattaforma e lanciare brand.

Netflix continua a fare debito e bruciare cassa per finanziare la produzione di contenuti. Il budget dovrebbe sfiorare i 15 miliardi di dollari nel 2019 (le stime sono continuamente ritoccate al rialzo) e superare velocemente i 20 miliardi negli anni successivi. Questo incremento del 22-25% anno su anno è gestibile dato il ritmo di crescita degli abbonati, circa 25 milioni all’anno a livello mondiale. In effetti gli investitori sembrano interessati soprattutto al tasso di crescita degli abbonamenti, tanto che il valore del titolo in borsa sale ogni volta che è annunciato un nuovo incremento, mentre non vi sono reazioni particolarmente negative relative alle notizie sui debiti. Qualche dubbio sulla sostenibilità a lungo termine del modello Netflix, però, rimane. Un immediato aumento del valore delle azioni si è registrato non a caso all’annuncio dell’aumento dei prezzi negli Stati Uniti, nei principali mercati del Sudamerica, e in seguito in alcuni territori europei tra i quali l’Italia. E l’aumento è stato apertamente giustificato con la necessità di finanziare la produzione di contenuto originale.

Negli Stati Uniti l’aumento dei prezzi, il primo dal 2017 e il più cospicuo della storia, riguarda tutti i tre tipi di abbonamento, è effettivo dal primo trimestre 2019 per i nuovi abbonati e dal secondo trimestre per chi è già abbonato. Netflix si aspetta un lieve rallentamento della crescita in casa, mentre è fiducioso sul tasso di permanenza dei vecchi abbonati (anche se non ha mai reso noto alcun dato relativo al tasso di abbandono). Se dunque è chiaro che Netflix ha bisogno di incassare per mantenere i suoi standard di crescita, è anche vero che ha ancora spazio di manovra sul prezzo: negli Stati Uniti resta uno degli abbonamenti più economici e tutti i sondaggi fissano a un prezzo maggiore la cifra che la maggior parte degli utenti è disposta a spendere per fruire di contenuto premium. Ancora una volta, è Disney a rompere le uova nel paniere, fissando il prezzo iniziale del suo servizio a 7 dollari.

Gli investitori sembrano interessati soprattutto al tasso di crescita degli abbonamenti, tanto che il valore del titolo in borsa sale ogni volta che è annunciato un nuovo incremento, mentre non vi sono reazioni particolarmente negative relative alle notizie sui debiti. Qualche dubbio sulla sostenibilità a lungo termine del modello Netflix, però, rimane.

Il rebus della sostenibilità

Secondo Bernstein Analysis, quando Netflix sarà in grado di investire 20 miliardi di dollari in contenuti, riuscirà a distribuire un nuovo contenuto appetibile al giorno, assicurando un flusso continuo di abbonati. Ma tutto ciò è economicamente sostenibile? Il colosso Svod ha chiuso il 2018 con 139 milioni di abbonati globali, 29 in più rispetto all’anno precedente. Nei primi tre mesi del 2019 ha superato i 148 milioni. La prima trimestrale del 2019 riporta ricavi in crescita del 22% su base annua, pari a 4,52 miliardi di dollari, leggermente meglio delle aspettative. Ma Netflix ha dovuto ammettere di prevedere un rallentamento, soprattutto negli Stati Uniti, nel secondo trimestre. Il dato sembra aver preoccupato gli analisti finanziari più di quello del cash flow negativo (-460 milioni nei primi tre mesi del 2019 vs -287 milioni nei primi tre mesi del 2018), con un debito che è passato dai 2 miliardi del 2017 ai 3 del 2018.

Dopo un lieve calo del valore delle azioni tutti gli analisti finanziari hanno confermato le valutazioni positive sul titolo. Per ora, nonostante i debiti, le cifre sembrano dare in gran parte ragione a Netflix, che promette di diminuire sensibilmente il debito dal 2020. Dalla sua parte ci sono alcuni vantaggi strategici. Netflix ha sviluppato un modello molto efficiente per monetizzare i suoi titoli, trasformando gli originals in nuovi subscribers. Spulciando il catalogo di Netflix, è chiaro che gran parte delle serie sono composte da 10 episodi per ogni stagione e che per la maggior parte dei titoli non si va oltre le due o tre stagioni. Secondo i dati raccolti da Netflix, infatti, una stagione da 10 episodi è ideale per il consumo online, mentre aggiungere altri episodi non fa che aumentare i costi di produzione senza creare vantaggi (ovvero attirare nuovi abbonati o abbassare il tasso di abbandono dei fan).

Come tutte le tv e le piattaforme, Netflix rinnova i titoli di grande successo, come Stranger Things, e cancella i flop. In genere diffonde due stagioni di una serie, dandole il tempo di trovare il suo spazio nella galassia dell’offerta di fiction: se poi la serie non ha generato interesse, probabilmente non lo farà più. Ma ci sono altre ragioni per cui è spesso antieconomico andare oltre la seconda o terza stagione, legate al modo in cui sono strutturati i contratti stipulati da Netflix con i produttori. Inizialmente Netflix copre i costi di produzione e aggiunge un bonus di circa il 30%, rendendo dall’inizio il deal piuttosto vantaggioso rispetto agli standard televisivi. Questo compensa l’impossibilità per i produttori o lo studio di vendere la serie sul mercato internazionale o in syndication e quella di far sopravvivere la serie dopo la cancellazione su Netflix, date le clausole che impediscono il passaggio su altre piattaforme o la messa in onda tv per almeno due o tre anni (l’esatto contrario di quanto fa invece proprio Netflix quando resuscita titoli cancellati da altri per concedere una seconda vita sulla piattaforma). A ogni nuova stagione il bonus diventa più cospicuo, e pare crescere notevolmente dopo la terza, facendo lievitare i costi. Non è dunque un caso che i titoli giunti fino a sei stagioni (un tempo la soglia per considerare una serie davvero un successo, tanto che la durata standard dei contratti con i team creativi era proprio di sei anni) si contino sulle dita di una mano: i “legacy titlesHouse of Cards e Orange Is the New Black o la commedia Grace and Frankie interpretata da Jane Fonda e Lily Tomlin. Inoltre, come tutti i network tradizionali nell’era della verticalizzazione, anche Netflix sta diminuendo i titoli commissionati a studi esterni (eliminando i relativi surcharge) e aumentando le produzioni in-house, spostando i fondi ai cosiddetti A-List showrunner Shonda Rhimes, Ryan Murphy, Kenya Barris e Shown Levy, legati da ricchi contratti in esclusiva. Ora è chiaro il senso della campagna acquisti degli ultimi anni, che ha visto Netflix sottrarre talenti chiave alle major, soprattutto Disney e Fox: ultima in ordine di tempo la super manager Channing Dungey, che supervisionerà i progetti di Shonda Rhimes la quale, da quando è passata a Netflix, non ha ancora prodotto nulla, nonostante ben otto titoli annunciati.

Tutti contro Netflix, nel mondo. Ma non è troppo tardi?

Un altro grande vantaggio di Netflix è il successo dell’espansione internazionale, nonostante sia costata moltissimo. Se la crescita in patria, dove il panorama Svod è più maturo e ricco, sta rallentando, quella mondiale è quasi trionfante. Su 139 milioni di abbonati nel 2018, solo 58 milioni erano statunitensi. Nei primi tre mesi del 2019 Netflix ha guadagnato 9,6 milioni di abbonati, 1,74 milioni negli Stati Uniti e 7,86 milioni nel resto del mondo. Il mercato europeo dello Svod nel 2018 valeva 6 miliardi di dollari, e la previsione è di 7 miliardi nel 2022, con più di 60 milioni di abbonati a fronte dei 45 milioni nel 2018. Il mercato dell’Estremo Oriente dovrebbe triplicare da qui al 2023 e raggiungere i 15 miliardi di dollari.

Al momento, Netflix ha circa il 52% del mercato europeo, davanti a Amazon (21%) e Sky (4%) Ben più difficile la situazione in Oriente: in India e Indonesia ci sono servizi più economici e la Cina è bandita. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un fiorire di annunci da parte di tutti gli operatori europei, tv e telco, sul lancio di piattaforme proprie, di joint venture, di potenziamento dei servizi esistenti e di cospicui investimenti. Benché l’elenco dei competitor sia lungo, il vantaggio di Netflix è qui ancora maggiore: non solo è arrivato primo, ma i budget non sono neanche paragonabili. Mentre le tv europee riflettevano su quante risorse spostare sui servizi streaming e cercavano alleanze, Netflix ha aperto tre sedi in Europa oltre ad Amsterdam: Parigi, Londra e Madrid, dove è sorto un grande hub produttivo.

Dato che l’80% dei nuovi abbonamenti arriva dai 189 territori altri dagli Stati Uniti, Netflix ha annunciato a marzo di volersi concentrare sulla produzione per questi territori: cresce sensibilmente la porzione di budget dedicata alle produzioni internazionali e ai deal per accaparrarsi i diritti per serie e film locali. Dopo Medio ed Estremo Oriente sono arrivati i primi progetti africani, animazione compresa. Nel 2019 il numero degli originals in lingue differenti dall’inglese dovrebbe essere di 30-35, per arrivare ai 100 entro due anni. Nel 2020 ci dovrebbero essere mediamente almeno 10 titoli originali per ogni paese europeo. Le risorse economiche messe in campo da Netflix rimangono infinitamente superiori a quelle dei competitor europei. Un paio di esempi: Itv ha stanziato 33 milioni di sterline per il servizio Britbox nel 2019, l’equivalente di quanto ha speso Netflix per tre puntate di The Crown; il budget contenuti stanziato dal colosso paneuropeo Rtl per le sue piattaforme TVNow in Germania e Videoland nei Paesi Bassi è di 3 milioni di euro complessivi in tre anni.

Netflix rinnova i titoli di grande successo e cancella i flop. In genere diffonde due stagioni di una serie, dandole il tempo di trovare il suo spazio nella galassia dell’offerta di fiction: se poi la serie non ha generato interesse, probabilmente non lo farà più. E spesso è antieconomico andare oltre la seconda o terza stagione, per il modo in cui sono strutturati i contratti stipulati da Netflix con i produttori.

Chi vincerà?

Se Disney+ è al momento il competitor più temibile per potenza di fuoco, Apple lo è per la potenziale diffusione mondiale che potrebbe avviare velocemente sui propri device (oltre, naturalmente, al fattore economico e all’impressionante elenco di talenti arruolati). Di fronte ai competitor che allungano le mani sulla torta, però, Netflix ostenta fiducia nel futuro, dichiarando che il mercato Svod ha ancora ampi margini di crescita per accogliere i nuovi arrivati. In effetti le previsioni, solo negli Stati Uniti, passano da 110 milioni di abbonamenti del 2018 ai 270 milioni nel 2024.

Per ora Netflix è in netto vantaggio in termini di abbonati, tempo speso sulla piattaforma e library di contenuti. È l’unica vera piattaforma globale che non solo ha portato il contenuto hollywoodiano nel mondo, come è sempre accaduto con le major, ma sta diffondendo contenuti provenienti da vari angoli del globo, in maniera inedita. La maggior parte degli osservatori allora concorda sul fatto che Netflix, pur perdendo quote di mercato, rimarrà leader almeno fino al 2024. Ma è innegabile che il livello della competizione abbia preso un’incredibile accelerata in questi primi mesi del 2019.


Paola Ruggeri

Analista per l’Osservatorio Internazionale di RTI dove si occupa di ricerche sul mondo dell’audiovisivo e sulla fiction internazionale. È responsabile della selezione dei cortometraggi per i canali del Gruppo Mediaset e della programmazione dei corti per Il Cinemino. Insegna presso il master International Screenwriting and Production dell’Università Cattolica. È autrice di pubblicazioni sulla televisione europea e statunitense e sull’industria del cortometraggio italiano.

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