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Cultura digitale

L’epoca dello screenshot

Man mano che il nostro rapporto con le interfacce digitali si fa più intimo, l’atto di catturare un’immagine sullo schermo si trasforma in un linguaggio visivo inedito, in cui fotogrammi e istantanee danno vita a un flusso creativo di meme, arte e promozione culturale.

Quante volte capita di aprire la galleria immagini del proprio cellulare e scoprirla inondata – tra le foto personali – di catture schermo di cui non si ricorda neanche l’origine? Residui digitali, cristallizzazioni di istanti di un flusso incessante, selfie del dispositivo, fotografie rimediate: gli screenshot o screencapture sono tante cose, ma più di tutto sono prove inconfutabili del rapporto tra l’essere umano e i suoi inseparabili dispositivi. Permettendo la circolazione di piccole parti di un archivio in continuo movimento, gli screenshot preservano così momenti rubati alle nostre vite all’interno dell’ecosistema digitale, diventando una forma ambigua di medium pronta a fondere lo sguardo di chi naviga il web con quello dello stesso apparato tecnologico.

Uno screenshot, infatti, conferma il fatto che ogni esperienza di navigazione sia totalmente diversa, nonostante le interfacce possano sembrare simili per qualsiasi utente. Documento che attesta la veridicità di un’interazione o crudele arma utilizzata per minacciare la privacy di chi non vorrebbe che i propri dati circolassero – si pensi all’utilizzo delle catture schermo nella cancel culture o nel revenge porn – uno screenshot gioca con il sottilissimo confine tra spazio privato e pubblico, tra libertà e copyright: non è un caso che piattaforme streaming come Netflix o Mubi non permettano di catturare lo schermo durante la visione di un film o di una serie, o che social media come Snapchat e Instagram avvertano con un messaggio i propri utenti quando una foto inviata privatamente viene catturata dal destinatario. 

Orientarsi nel flusso

C’è un motivo per cui lo screenshot è il perfetto figlio dell’era contemporanea, accuratamente descritto dalla scrittrice Anna Korbluh nel suo Immediacy: Or, The Style of Too Late Capitalism, edito da Verso Books: la cultura contemporanea privilegia l’istantaneità, “flusso” sembra essere la parola d’ordine del XXI secolo, e la velocità, l’espressione diretta, la non-mediazione e l’urgenza di un’iper-esposizione sono i valori portanti dell’attualità. Una cattura schermo è il massimo dell’immediatezza, una porzione di esperienza che non richiede altre spiegazioni, una superficie piatta in cui tutto è già esplicitato, verificato: un invito a osservare com’è il mondo (virtuale) dal proprio sguardo. Ma lo screenshot è anche il modo per restituire tempo e spazio all’immaterialità, all’accumulo e all’infinitezza degli archivi digitali. Nel suo Screenshot society, la sociologa della comunicazione Elisabetta Zurovac descrive uno screenshot come un esempio di “materializzazioni e disancoramenti dal contesto originario” che in quanto tale acquisisce “dignità materica”. «Fare screenshot diventa il modo di esercitare un controllo che può assumere la forma di una sorveglianza ma anche del tentativo dei singoli di orientarsi», aggiunge. File, messaggi, immagini, una mole di dati travolgente in cui arrestare lo scrolling perpetuo è l’unico modo per avere l’impressione di emergere ed esalare un respiro profondo.

Una cattura schermo è il massimo dell’immediatezza, una porzione di esperienza che non richiede altre spiegazioni, una superficie piatta in cui tutto è già esplicitato, verificato: un invito a osservare com’è il mondo (virtuale) dal proprio sguardo.

In quanto capsule di una personalissima esperienza online, gli screenshot restituiscono un alone di familiarità, e diventa sempre meno raro fruire contenuti online attraverso la rimediazione della cattura schermo di qualcun altro. In Has the Tweet Become a Meme?, saggio di Chloe Arkenbout all’interno di The Lazy Art of The Screenshot, la ricercatrice descrive il momento in cui si è resa conto che i meme account di Instagram e Facebook non facevano altro che re-postare screenshot presi da Twitter, invece che pubblicare contenuti nuovi. «Una delle scoperte più interessanti è stata che i nostri dataset di meme erano pieni di screenshot di tweet – scrive Arkenbout – così, lo screenshot di un tweet riceve una nuova dimensione creativa memetica, e dalla parte opposta, il meme adotta un nuovo formato. I tweet diffusi in forma di screenshot sono forse diventati uno standard di immagini virali?» Osservando l’utilizzo dello screenshot nelle dinamiche di circolazione di dati online, abbiamo motivo di pensare che assisteremo, sempre più spesso, a contenuti che ci vengono proposti attraverso il formato della cattura schermo.

La nuova cinefilia Screenshot-based 

Nel 2022 la critica cinematografia Maya Cade scrive su Twitter «Bisognerebbe studiare il modo in cui Tumblr e la ricerca di una scena “perfetta da condividere” abbiano cambiato il modo in cui gli spettatori interagiscono con il cinema. L’estetizzazione di un film ne ridefinisce il contesto per adattarlo alle intenzioni dell’utente, spesso attraverso catture schermo che fanno da entry-point per un film». Non serve aver trascorso tanto tempo sui blog vecchio stampo per avere conferma di questa teoria: basta dare uno sguardo ai profili Instagram e Facebook di piattaforme come Mubi, Netflix, Amazon Prime Video, o dare uno sguardo agli archivi online che registrano le scene più iconiche – più relatable, che invitano a essere ricondivise – di un’opera cinematografica. Si tratta di freeze frame ancorati a una citazione del personaggio immortalato, un contenuto che, vicino al linguaggio del meme (e prodotto proprio per ricrearne le dinamiche di diffusione) si posiziona molto diversamente rispetto a una locandina, una fotografia ufficiale, una fotografia di scena. La differenza sta nell’origine che lo screenshot suggerisce: un contenuto che non proviene dalle dinamiche di produzione del film, bensì da quelle di fruizione; un contenuto fatto dagli utenti per gli utenti. Non è un caso che il testo in cui viene riportato uno stralcio di dialogo estrapolato dal film appaia nello stesso font utilizzato per i sottotitoli disponibili sulle rispettive piattaforme (o che in alcuni casi, venga utilizzato il font utilizzato da Player come VLC, che accentua ancor di più la parvenza di star osservando la cattura schermo emessa da uno spettatore che sta guardando il film sullo schermo del proprio computer).

Con l’arrivo del digitale, la natura della ripetizione e dei nuovi metodi di fruizione di un’opera cinematografica sono cambiati per sempre: un film viene frammentato in momenti privilegiati o preferiti, che lo spettatore può conservare, possedere, ricondividere. Con l’ascesa dei social media, lo screenshot ha preso dunque la forma di un soggetto estremamente interessante se applicato all’industria cinematografica: quale miglior tattica di distribuzione, se non quella della scena di un film che, oramai già animata nella mente dell’utente – a causa dell’ancoraggio immagine-testo – è diventata già, come un meme, densa di shareability? Laura Mulvey intuì le nuova modalità “screenshot-based” della fruizione del cinema nel suo Death 24x a Second: in The Possessive Spectator, descrive la comparsa di un nuovo tipo di spettatore “feticista” che si appropria dei momenti di un film per infonderli della sua stessa immaginazione.

Lo screenshot ha preso la forma di un soggetto estremamente interessante se applicato all’industria cinematografica: quale miglior tattica di distribuzione, se non quella della scena di un film che, oramai già animata nella mente dell’utente, è diventata già, come un meme, densa di shareability?

A distanza di pochi giorni, l’account Instagram di Mubi Italia e Mubi Francia postano lo stesso freeze-frame – indice di un’unica strategia – dal celebre film francese Gli Amanti del Pont Neuf, dove l’estratto di un commovente dialogo pronunciato da Juliette Binoche diventa il modo perfetto per convincere i loro clienti a visionare il film sulla piattaforma, oltre che dare in pasto ai loro follower il perfetto contenuto da ricondividere – ancora e ancora – in centinaia di Instagram stories. Con risultati meno eleganti, l’account Instagram di Netflix àncora a dei freeze frame di un’emozionante scena di Stranger Things il testo di una delle canzoni protagoniste dell’ultima edizione di Sanremo, innescando un détournement situazionista mirato a coinvolgere fette diverse di utenti nella sezione dei commenti.

Arte e Screenshot

I giochi permessi dall’ancoraggio testo-immagine di uno screenshot sono spesso d’ispirazione per artisti contemporanei che, riflettendo proprio su quell’immediatezza e quell’affidabilità che si è soliti attribuire a una cattura schermo, ne sovvertono le aspettative. Nell’opera collaborativa Fake Screenshot Contest, il net artist Brody Condon invita gli utenti a creare dei finti screenshot: immagini manipolate per ricreare ambienti digitali non esistenti, in cui si gioca a trasformare fotografie personali in paesaggi di un videogioco o a creare interfacce che non sono mai esistite. Con il progetto New Lyrics for Old Songs l’artista Marc McEvoy associa immagini e testi che non hanno nulla a che vedere le une con gli altri, creando associazioni impreviste – alcune dagli effetti grotteschi, altre inaspettatamente credibili – per provare in che modo il cervello umano si adatta alle informazioni ricevute connettendo elementi distanti tra loro. Così, una frase pronunciata da Donald Trump viene attribuita a Marcel Duchamp, e il risultato non è così straniante come ci aspetteremmo. Quell’immediatezza e quella superficialità di cui lo screenshot è il manifesto scende stavolta in campo per invitare gli utenti a non credere a tutto ciò che si incontra fugacemente online, anche quando sembra che non ci sia nessuno a mediare tra noi e ciò che consumiamo.


Arianna Caserta

Scrittrice e studiosa di Film Studies; la sua area di ricerca verte attorno alle ibridazioni tra audiovisivo e cultura internet, con un focus su identità e auto-narrazioni online.

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